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Le avventure del signor Fine Palanca: Prologo

di Francesco Verducci
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Pubblicato il 21/04/2015 14:12:24

  

Prologo

 

Il signor Fine Palanca era un omone grande e grosso di almeno un quintale distribuiti abbastanza bene sui suoi 2 metri. Egli era avvezzo alla frequentazione di club esclusivi, costosi e di dubbia moralità – tanto per intenderci, il nostro signor Palanca non disdegnava la frequentazione di donne libere da ogni sorta di moralità che anzi era per lui, scapolo, il modo per soddisfare le sue esigenze sessuali.

Dunque, il signor Fino Palanca doveva disporre di un consistente gruzzolo di palanche per far fronte al suo piccolo vizietto, cosa che, in realtà, era dubbia; il signor Fino Palanca non aveva neanche una palanca che anzi era addirittura - a causa della morte della moglie - senza una palanca. Disponeva si di un piccolo vitalizio - lascito generoso della sua defunta moglie che in vita lo teneva al guinzaglio come un cagnolino a causa della sua tendenza, alquanto discutibile, a scialacquare il suo e l’altrui danaro - che gli permetteva di tirare avanti – ciò significava avere un tugurio dove dormire, un pasto al giorno e qualche straccio da indossare solitamente grazie a quei gruppi umanitari che infestavano la periferia delle grandi metropoli. Ma questo non bastava certo a giustificare i suoi vizi.

 

Riguardo alla morte della povera signora – una donna ,che pur venendo da un ambiente benestante era, nell’aspetto, insignificante a causa della sua riluttanza a curare le apparenze del corpo, cosa che l’avrebbe resa tutt’altra donna dato le sue potenzialità fisiche. Era ella una donna medio alta e dalle forme rotonde quel tanto che basta a modellare alla perfezione le sue curve slanciate; aveva seni generosi e sodi, gambe lunghe e ben tornite, fianchi larghi e vita stretta (questa descrizione “intima” della consorte è il frutto dei racconti del consorte fatti ai suoi amici) -, avvenuta in circostanze mai chiarite, il Palanca fu interrogato per mesi nella convinzione dei magistrati che fosse lui il colpevole, essendo il primo ad avere il movente più significativo, ovvero, essere l’ereditario degli averi della moglie; le palanche, di cui la signora disponeva in quantità cospicua. Indagine che alla fine risultò illusoria dato che la signora, prevedendo una sua prematura fine per mano del consorte – cosa questa emersa nell’interrogatorio dell’amica del cuore che ne ebbe conoscenza proprio dalla signora Palanca stessa -, redasse un testamento ove si diceva che, in caso di morte violenta o comunque dubbia, tutto il suo avere doveva essere dato in beneficenza, salvo una piccola rendita al consorte, ai gruppi umanitari di cui lei fu promotrice. E così fu. Questo convinse i magistrati a lasciar perdere la pista del consorte che, così poté tornare alla sua solita vita.

 

Palanca aveva però, in vita sua, coltivato molte amicizie proprio nell’ambiente della consorte; amicizie che dopo la morte della moglie, gli procurarono aiuti non indifferenti. Uno di questi aiuti fu proprio la possibilità di accedere ai favori delle signore di alcuni dei club esclusivi. Ovviamente, per poter frequentare detti club aveva bisogno anche di vestiti idonei, anche questi gli furono procurati dagli amici. Per il resto, il Palanca si arrangiava con quello che riusciva a trovare dai gruppi umanitari.

Si possono raccontare molti aneddoti sulla vita del Palanca, ma mi limiterò qui a raccontarne uno che lo coinvolse in una situazione, che lui stesso definì tragicomica, quando la consorte era ancora in vita.  


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