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Il mordente

di Ivan Fanucci
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Pubblicato il 10/04/2015 14:37:56

Michele era un artista, non era un genio, ma voleva diventarlo anche se in fondo pensava che la genialità nasce con la persona e non si crea; ma comunque si sforzava e voleva esserlo. Si esercitava giorno dopo giorno e con tenacia e dedizione si applicava alle proprie opere. Lui impiegava un sacco di tempo ai suoi lavori e ai suoi progetti, aveva abbandonato un lavoro dopo l'altro per inseguire il suo sogno e non si arrendeva mai.

Prima di mostrare le sue opere ci meditava ore intere sopra, per capire cosa potessero significare per lui e aggiungeva con la sua mente particolari che si era dimenticato di aggiungere e che non sapeva rendere nelle sue opere. Poi timidamente le mostrava una alla volta prima ad un amico e poi ad un gruppo di amici. Loro non erano artisti ma comunque dicevano, per non ferirlo o solo per compiacerlo, di rimaner affascinati dalle sue opere, ma null'altro.

Michele ci provava e ci riprovava, ma aveva sempre il timore di non riuscire a rendere l'idea e le emozioni che aveva in mente. Provava gran gioia solo dopo che aveva finito e aggiungeva i suoi fantastici particolari, spendeva più tempo ad immaginare ciò non riusciva ad esprimere più che a lavorare ai suoi progetti.

Un giorno incitato da un amico, portò le sue opere da un grande intellettuale ed estimatore d'arte. Michele non era pronto a sentire commenti negativi sul suo operato e il critico, avvisato che il povero ragazzo era fragile, cercò gli aspetti più belli delle opere ma non ve ne erano molti; per non ferirlo gli disse che Michele era discretamente bravo e che gli serviva solo più tempo per affinare le sue tecniche, aggiunse che secondo lui mancava solo un po' di mordente ai suoi lavori. Michele cercò in ogni modo di illustrare i meravigliosi particolari che lui immaginava ma effettivamente, gli fece notare l'estimatore scocciato dai suoi miseri tentativi di gratificare le sue opere di più di quanto valessero, mancava quel particolare che avrebbe fatto di lui un vero artista, qualcosa che rendesse il tutto più accattivante e piacevole. Michele scoppiò a piangere e trascinò istericamente come un bambino dietro a sé le sue opere, fuori dallo studio del grande intenditore.

Tornato a casa il ragazzo buttò via tutto il materiale e i suoi lavori, li distrusse con odio e non volle averci più a che fare. Ma giorno dopo giorno, senza la possibilità di esprimersi e di fantasticare sulle sue opere gli venne la paura di essere inadeguato e notò che veramente nella sua vita mancava quel mordente che l'intellettuale gli aveva fatto notare. Non era per niente un ragazzo accattivante, i suoi amici erano scialbi e lui si comportava mediocremente con loro, la sua ragazza lo aveva lasciato perché lo trovava un po' noioso e non riusciva bene in qualunque altra attività remunerativa. Passò molti anni in solitudine senza fare molto, più il tempo passava e più lui si incattiviva ed era sgarbato con le persone che lo venivano a trovare e si sentiva sempre offeso qualunque cosa dicessero.

Un giorno un suo amico prima di lasciarlo alle sue vacuità gli disse che se non avesse trovato il modo di cambiare sarebbe rimasto solo e non sarebbe stato più in grado di avere amici e di avere un qualunque rapporto umano; infine lo pregò di creare per lui un'ultima opera come ricordo di quando erano buoni amici. Sulle prime Michele lo scacciò in malo modo, ma la sera stessa riprese in mano gli strumenti che aveva nascosto in un baule e incominciò quella che doveva essere secondo lui l'ultima sua opera, un lascito per quella vita vuota e miserabile che aveva vissuto tra incertezze e il susseguirsi delle sue delusioni.

Era tardi ed era stanco ma senza che si sforzasse tanto riscoprì la gioia di creare, attimo dopo attimo finalmente i particolari tanto amati prendevano forma anche se gli mancava quella dannata tecnica e lo stile che aveva agognato da molto tempo e al sorgere del sole ebbe finito; Michele si sedette come al solito sulla sua poltrona davanti al suo lavoro ma non riusciva ad immaginare altro a quello che aveva sviluppato durante la notte. Poi verso mezzogiorno chiamò il suo amico per comunicargli che il suo lavoro era pronto, lui arrivò di fretta e furia e guardò.

Il suo amico rimase impressionato, disse a Michele che non aveva mai visto nulla di simile e che con quell'opera avrebbe fatto ricredere l'intellettuale sulla sua genialità d'artista. Il giorno stesso fecero venire l'estimatore a casa di Michele e lui gli mostrò l'opera, l'uomo rimase affascinato e gli chiese se i particolari che pateticamente vedeva nelle opere passate e distrutte erano così belli come quelli che aveva reso nel suo ultimo lavoro, Michele annuì e con le lacrime agli occhi aspettò il giudizio del critico intellettuale. L'uomo guardò e riguardò, si allontanò e si avvicinò all'opera e disse che stavolta il mordente c'era, che il lavoro era accattivante che era un pezzo da museo e lo voleva assolutamente nella sua galleria d'arte, ma Michele disse che lo aveva creato per il suo amico perché gli voleva bene e perché in tutti quegli anni bui di solitudine gli era sempre rimasto accanto. Sarebbe stato felice di fare altri lavori per l'intellettuale. L'uomo si dispiacque di non poter avere quella meraviglia nella sua collezione ma acconsentì alla volontà di Michele e gli commissionò altri lavori sperando che lui superasse se stesso ogni volta.

Adesso Michele è vecchio e felice e ha abbandonato gli strumenti di lavoro da tempo, dopo una carriera intensa d'artista, avendo lasciato la paura di essere inadeguato e avendo trovato l'amore per la vita e il mordente accattivante della vita stessa.


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