Saperti l’uva dentro gli occhi a sera
il nudo e la parola, la tua casa,
qualcosa di grandioso fa tutt’uno
sulle mie ginocchia coronate
mentre mi lavo con il giorno al fiume-
portando in processione l’edera, a cavallo,
come un testo sacro in un continuo
insieme alle preghiere quotidiane-
là, dove cresce l’albero del cedro.
Anche al buio chiedo strada a quella luce,
una strada alla radice del tuo nome,
un inizio, l’ispirazione, a gocce,
tra la vista ed il visibile. Sei tu
a fare il movimento di ripetere
di ritornare dove si era stati
nel preparare doni e meraviglie
per farmi scintillare tra le nocche
le nuvole, da cui ricevi luce,
le stesse, cariche di pioggia,
nel silenzio che sentiamo insieme
indovinando il luogo preferito
un lampo, nel mezzo di una pagina,
leggero come l’aria, inafferrabile.
È l’incontro a piedi nudi del tuo viso
l’odore che si prende con le mani,
in un dire lungo i lati delle labbra
per cinque ore, ferma, sotto l’albero:
non c’era un solo nodo, e lo sapevi
che io volevo essere una vite;
l’intreccio era perfetto, e lo splendore
rivelava al suo sottrarsi la chiarezza,
superiore a questa notte, in verità-
manifestando un cuore scuro l'oro insieme,
libero, di ogni eccedenza, illimitato,
all’orlo estremo della tunica, sui piedi,
che noi siamo un unico sentiero, tra le cose,
fino a contare i sassolini trasparenti
alla foce del tempo, e scomparirvi
come sorgenti insignificanti e vere
bevute dalle sabbie dei deserti
a voce bassa, semplici bambini,
custodi e testimoni della lingua
che affonda il remo, con dolcezza, e a lungo,
per l’umiltà dei nostri occhi chiari,
quando si sporgono in silenzio
e pieni d’uva
dalla cima dell’ultima parola
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