Domenica ho sentito che mi volevi bene.
Il tempo è curva medicina, una spina
gobba che spira dalla lisca gioventù.
Forse è stato questo, forse ero io che
ti ho creduto. Però domenica ho sentito
che mi volevi bene e quando al circo
dei pini marittimi che stavano come in odor
di Messa, verdi squillanti chierichetti, ho sussurrato
come eri fatto, come eri detto, mi son sentita pietra,
perfino nuova, mondata da maggio, giugno, dallo svitato
lunedì, rattoppata più giù del collo e fino al mio collegio,
dove ognuno ha portato bene i propri guai senza mai
lasciarmi un solo studente. Che so, anche un pettinino
per badargli le vertigini o un paio di scarpe in tinta
vernice, coleotteri gli omozigoti con la schiena in bella
vista sotto il vestito solo occasione.
Si, si, domenica mi hai voluto bene: saranno stati cinque
passi, mezzo metro di secondo, forse anche il sole a volte
in questo predispone, la parola in più, l'amico o la distanza.
Però l'ho sentito e tutta questa faccenda che mi bolle in corpo,
le mie storie, l'accetta -tritatutto e perfino i misurini telati dei
terrazzamenti, le capocchie dei limoni, aspri capezzoli irrigiditi
dal dio mare, perfino loro mi son sembrati belli e più che increduli.
Allora l'ho ripetuto: si, forse proprio oggi
mi vuole bene. Che poi, in fondo, non serve tanto: q.b. di pensiero,
la mano in tasca a rincorrere la fine del mio nome,
un'idea della chioccia versipelle dei miei ricci.
Qualcosa di buono ho anche io, seppure ho stipato dappertutto
inspiegato materiale di risulta, eredità di cantieri mai inaugurati
dove stanno il mastro e l'operaio e dicono troppo in anticipo
betoniera e montacarichi. Ogni tanto, specie di notte, sento un tump,
uno scricchiolio, una bocca e bolo, acido e collante, malte per drizzarmi
a costruirmi; ogni tanto sento cigolii,tagli e piallature, raffinature.
E spero anch'io in quelle cose che fanno agli altri metrature
di sorrisi, spero anch'io nella data varo, certo all'asciutto, di qualcosa mi fu
messo dentro un tempo e che ancora aspetta l'innesco giusto, il tasto
a fior di contatore. Per fare buio su ciò che guasta,
e giorno dove trema il nero.
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