Mi chiedi se ricordo quando siamo nati.
Posso vedere solo il mondo,
attraverso i tuoi occhi di dolore
e nel piacere, una proiezione di memorie
nella mente. Tuttavia è oltre
quei confini che si stende
una remota immensità di gioia,
ed è una casa quell’amore eterno
dentro la coscienza. c’è la prova
della mia indimostrabile esperienza-
chi altri può se la realtà dell’altro è pari
al suo apparire nella mia esperienza?-
Ma non siamo soli nell’essere profondo- amore-
siamo il tutto, quando percepiamo con il niente
il sussurro delle stelle, siamo il Dio
che non sappiamo nell’essenza,
la spinta indietro che ci fa andare avanti
consapevoli, da sempre, universali liberi
senza confondere il ricordo nella conoscenza
sempre fresca e nuova; è, la nostra ciotola
da mendicanti, d’oro puro, e noi dei miserabili,
finchè non la vediamo : in modo naturale,
portando a brillare la realtà, sinceri,
senza parole per comunicare senza idee-
non puoi mangiare la parola “pane”
immaginando di conoscere
solo ciò che possiamo definire,
se porti alla bocca la realtà c’è amore
con azioni religiose e silenziose, insieme
chiedi, e ti sarà dato- per non rimanere
un sacco d’ossa nelle citazioni sacre.
Ho toccato la materia nella stanza buia
mentre dipingevi l’intero mondo un quadro,
il pittore Dio, e tu, che contenevi il mondo e lui,
nell’atto di conoscenza puro essere
quando hai spalancato la finestra
inondandomi di luce a gioia,
stava tutta dalla parte della stanza,
e non del sole, la misura del candore
nell’estasi del dare. Non ho dimenticato
quella luce, di quando siamo nati
non posso ricordare
o attendermi la fine, invece,
perchè non è mai accaduto.
Nell’infinito impercettibile di un compito
siamo seme l’uno all’altro aperto
in piena fioritura, siamo gioia,
che di volta in volta vola senza fine,
una ghirlanda di luci, le più intense,
nell’andirivieni di questo cuore umano,
pagliuzze d’oro, nel palmo della mano
spugna d’amore -che chiamiamo pane,
riducendola in parola-
il terreno che l’accoglie
e ama.
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