Pubblicato il 11/12/2020 13:20:32
La redazione di LaRecherche propone una recensione a "Fiori estinti" (Terra d'ulivi, 2019), firmata da Gian Piero Stefanoni. Mi permetto di salvarla anche qui, tra le mie pagine. A questo link è possibile leggere l'articolo dalla fonte originale: https://www.larecherche.it/testo.asp?Tabella=Recensioni&Id=1263&fbclid=IwAR3JEL2_CeYBaDrW-cb3BoYQcl0zCBhoYOyIx1o2QeCw1k4sEa014l2zzKI * Debbo dire che è sempre molto bello, e confortante, imbattersi nella poesia di un giovane capace, ricco di talento e senza infingimenti nella autenticità e nella forza della sua scrittura come nel caso di Mattia Tarantino. Non temiamo l’uso di tanti aggettivi perché densissimo di riferimenti e di istanze tra ribellioni e cancellazioni, tra provocazioni di sacralità e canzonatura della stessa sacralità l’humus da cui Mattia, quest’abile e a suo modo dolcissimo napoletano, si dibatte e tenta uno squarcio, un urlo a rompere un cielo troppo lontano e vasto perché qui possa rispondere. Va sottolineato subito, sia chiaro che tanto ardore non è la sola espressione di un assoluto giovanile nella radicalità di uno spirito che non ha rispondenza perché significherebbe limitarne la forza e la domanda. Tarantino infatti è già per buona parte autore concretamente maturo, pienamente conscio delle armi a sua disposizione, del suo versificare colto e riflessivo, dotato di una parola ora ben guidata nella traduzione delle sue ferite ora sapientemente espansa, libera nel dosaggio delle sue crepe e delle sue irrisioni. Figlio di un verbo che ama e tenta rifondarsi sulle macerie di una civiltà poggiata sul divoramento dell’individuo a cui prova il ricordo nell’origine e nel nome, il comune slancio da una terra che non cessa di attenderci (pensiamo a Rimbaud, certo, all’amato Dylan Thomas), questa poesia sa liberarsene, sa superarsi fino a non chiedere nuova terra o recisione di veli ma il dissolvimento stesso di un sé recluso perché vinto nell’inganno di un cielo le cui acque sono acque di imposizione e di dominio, irrisolvibili per una genesi la cui luce è squarcio di angeli ancora in lotta, nell’impostura di un richiamo che comunque nei suoi più disparati richiami non offre ma recide il respiro. Per questo è straziante e tenerissimo insieme nella lettura il sanguinamento e l’intreccio di stanze, profezie, boschi a risalire dalla carne di un sud antichissimo le cui nenie sono nenie di madre, di ninna nanne forse eccessive e disturbanti nella narrazione di un rigurgito, di un latte che si è fatto amaro, voce discosta di una umanità tradita da padri, terreni e celesti, impassibili e assenti. Bisogna esser grati ad autori come Tarantino perché nella sua disputa divina, tra compressioni di stelle che fraintendono il sogno, nell’intreccio di falli e di croci che ci e si ustionano al senso viene a ricordarci come da una memoria rimossa il primo sguardo, nello strappo l’esposizione della carne nella sua violazione, l’identità allora del bambino e dell’uomo divelto che all’uomo e al bambino chiede non assoluzione, perché non c’è colpa, ma affermazione, presa in carica del mondo, della parola allora, anche, nella sua capacità di rifondazione e nominazione. Poeta vero allora Mattia in un’epoca in questo di guide ed uomini dimentichi ed antico nel suo indovinare la morte, per remissione e per delega, per incapacità di chiedere e di chiedersi, soprattutto, nel senso di sé, di sapersi nell’unicità di un discrimine tra scivolare e prendersi cui nel veicolo di richiami e riferimenti classici, biblici, autoriali non teme fratture accettando unicamente di cadute ed allacci, di funi e preghiere le proprie dolorose ma- appunto perché proprie- meravigliose escatologie di fanciullo cui tra vesti insanguinate e cieli non più deturpabili dall’ombra di nessun Dio pare a tratti sentire un eco, ribaldo e intensissimo del pellegrino Campana. Anche se, è bene dirlo, nella distanza di oltre cento testi, forse il rischio in tanta rincorsa, di temi e rimandi nel groviglio continuo di simboli entro una rivolta infinita è quello dello smarrimento del lettore- oltre che di se stesso- in un coinvolgimento alla lunga che perde concretezza a dirlo, e a dirci nella ordinarietà e nella quotidianità della vita, là dove la vita nei suoi pericolosi ritagli ci tenta e può vincerci. Eppure ci direbbe forse, nella lama cui lui stesso sa ferirsi, l’ordinarietà e la quotidianità sono una scelta la cui qualità, la cui libertà è nella capacità personale di sapersi e potersi possedere, rimettere in gioco oltre il proprio (e non altrui) recinto. In conclusione autore vivissimo Mattia Tarantino negli strattonamenti delle sue dispute a cui, aspettandolo a nuove verifiche, auguriamo ogni bene alla sua trama di luce (“la parola/che ci salvi dall’inverno e faccia casa”).
« indietro |
stampa |
invia ad un amico »
# 0 commenti: Leggi |
Commenta » |
commenta con il testo a fronte »
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Mattia Tarantino, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.
|