Pubblicato il 15/12/2007
Ignazio guarda negli occhi. Non è abitudine, la sua. E’qualcosa di più profondo, di vivo. Un desiderio di incontro. Il velo di stanchezza che rende umidi i suoi occhi, non cela nè annebbia la luminosità del suo volto parlante.
Quando mi appresto ad entrare nella sua stanza, la sensazione di un leggero timore mi pervade. Ciò che mi appresto a fare è qualcosa di molto più grande e profondo di me. Qualcosa che mi contiene e mi supera. Iniziamo un dialogo fatto di silenzi e sguardi. E poi ancora sguardi e silenzi. Sguardi lenti, silenzi di abisso. Eloquenti entrambi. E’ la stessa sensazione di quando ci si trova di fronte al mare nelle prime ore del giorno. Non si cercano parole per ingabbiare ciò che vedi! I colori che trapassano il cielo e si riflettono sull’immenso tappeto rossastro, rimbalzano nella mente, riempiono di essenziale le tue profondità. Osservi con avidità ogni fotogramma che ti si staglia davanti, perdi il senso del tempo, passeggi lo sguardo fin dove si piega l’orizzonte, cogli ogni sibilo del vento che amplifica tutti i suoni che la tua mente registra per sempre. Silenzi e sguardi dicono e contengono ogni respiro. Ogni emozione. E’ il tempo del silenzio.
Così in quell’attimo con Ignazio. Il suo sorriso si è aperto quando gli ho detto di avere letto, da qualche parte che, se tra due persone c’è l’amore reciproco, si dice al mondo che Dio c’è. Poi di nuovo silenzi. Profondi e indimenticabili. Incorniciati da manciate di sguardi che non trovano ostacolo e non richiamano inibizione. Mi congedai da lui con la certezza di esserci detti tutto. Fu l’ultima volta che vidi Ignazio. Ma quel silenzio eloquente e colmo di luce dura ancora.
In quel susseguirsi di attimi Ignazio mi disse qualcosa di veramente vicino al cielo. Quello sguardo così vicino alla morte mi fece innamorare della vita.
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