E' il giorno che scompare e torna,
coi capelli fradici sul prato,
mi raggiunge il viso, da dove era partito.
Col cuore umano e la pelle più sottile
di ogni mattina, gli occhi mi domandano
di essere esauditi - nella cripta del palato
non c’è pensiero- e viene
dal sangue religioso luccicante
nell’umido di poche sillabe un respiro,
contenendo in pochi tratti di mistero
tutto ciò che l'intelletto poi separa
dalla remota intensità di un sogno,
dove il tuo salmo non arriva,
imparo con le interiora delle bestie
l’armonia, dal volo degli uccelli
come danzi,
nella processione dei bambini,
che camminano sul verde come cielo
lasciando lievi impronte, con l’arrivo
affondavo nell’aria del mio prato,
nel taglio che riapriva la visione,
e una sola
creatura di fango nelle mani
cui poggiare la testa rannicchiata:
un’altra pelle mi toccava
per la prima volta nuda, ad ascoltare,
nel brivido del mondo addormentato,
la notte della carne di un bambino
che mangia cantando della neve.
Nell’erba tornavo gravida a vederlo
dare calore sui luoghi da cui sgorga
raggrumata nei gorghi dell'inconscio
-in un'altra terra, in altro tempo, e a lungo-
la parola che teneva sulle braccia-
di quando solo per un giorno
il fiume andò all'indietro come me
tra i fili indescrivibili del prato-
nel privilegio della quiete. Con la luce
sulle punte più sottili io ti ascolto
dove il muschio si corica la sera
a carezzare i sassi sopra il greto,
dalla tua quercia, che ogni giorno corre
finchè diviene un'aquila e scompare,
nel moto unitario di natura
la morte non può niente,
in piedi, dietro te.
mentre mi piego per lavarmi il viso
al fiume sei tu che mi sostieni
perchè non cada.
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