Pubblicato il 24/08/2020 00:32:00
Il percorso femminile è lastricato di donne che hanno tentato di perseguire strade a loro precluse. Si è sempre cercato di tenerle indietro culturalmente, ostacolandone l’istruzione, nella consapevolezza che la conoscenza e la sapienza elevano gli animi, aprendo nuovi orizzonti. Ogni volta che una donna ha tentato di far valere le sue capacità, le abilità tramandate o apprese, è state sempre relegata brutalmente nell’angolo della discriminazione. Non dimentichiamo che in passato fu anche tacciata di stregoneria ed è andata al rogo quando, in lei si vedeva la diversità, non corrispondente al concetto che le avevano cucito addosso. Un fenomeno di grande portata, durato circa duecento anni, a iniziare dal XV secolo, una persecuzione definita sessista; donne attaccate soprattutto dai movimenti del cristianesimo. Le prime donne medico, coloro che curavano, detentrici di conoscenze tramandate da generazioni, erano considerate portatrici di poteri satanici: streghe. Le donne che studiavano e della loro cultura ne facevano dono con slancio e generosità erano menti machiavelliche da cui bisognava difendersi. In primis il campo dell’arte, era esclusivo predominio maschile. Se andiamo molto indietro nel tempo, troviamo la figura di Ipazia che ha colpito anche l’immaginario odierno, dando vita ad un famoso film “Agorà”, presentato al festival di Cannes nel 2009, interpretato da Rachel Weisz.; una storia dolorosa e vergognosa nella tappa del cammino umano. Ipazia visse nel V secolo dopo Cristo, ad Alessandria d'Egitto, studiosa di matematica, filosofia, astronomia, sostenitrice del pensiero libero da dogmi, e altri condizionamenti mentali. Nella sua indole, la cultura e l'insegnamento, a cui si prodigava in maniera generosa e gratuita. Per questo e per gli influssi che esercitava sulle giovani menti, attirò le invidie e le ire del vescovo Cirillo; a quei tempi era intollerabile un tale potere da parte di una donna. Ipazia subì una morte atroce, violentata in branco, torturata, scuoiata viva. Fu la prima martire pagana per odio di genere, simbolo di libertà, di indipendenza, di dignità; torturata e uccisa solo perché donna, vittima di un odio che arriva fino ai giorni nostri, come se, il mondo maschile nei riguardi della donna o almeno una parte di esso, fosse rimasto fermo nel tempo. Essere uccise è già un crimine, uccise solo perché colpevoli di appartenere a un genere o per amore del sapere, della conoscenza, è morire due volte.
Nei tempi di imperante androcrazia, in cui è vissuta la nostra Ipazia, la conoscenza non poteva essere femmina (di donna, non esisteva neanche il concetto), ma era prerogativa della cerchia maschile, di pochi privilegiati. Nell’esistente pensiero di una misoginia classista, dominante in tutti gli strati sociali è evidente come l’autoritarismo portasse la donna a essere considerata inferiore socialmente e culturalmente, senza possibilità di riscatto. La donna che non sa, non chiede e non ha pretese, non ha il pieno concetto di sé e si identifica con la parte maschile per sopravvivere; ha bisogno di sostegno, non è autonoma nel pensiero e quindi non in grado di agire. Il paternalismo storico ci insegna come l’accentramento del sapere significhi anche avere in mano il potere e quindi governare, il tutto in evidente contrasto con i diritti della democrazia in cui tutti, senza distinzione di sesso, sono chiamati a partecipare alla vita sociale e politica. Eppure ci sono state donne capaci di emergere e rivendicare il proprio diritto a esistere, fin da tempi antichissimi e l’Arte è stata un’arma potente fra le loro mani, uno strumento per avere voce. Ipazia ne è l’emblema, non solo per la caratura intellettuale, inusuale per quei tempi, ma soprattutto perché donna non maritata, libera e indipendente, che aveva il pieno controllo della sua vita. Un affronto, forse tanta ostinata sicurezza e forza interiore per i tempi che l’hanno vista dea e martire al contempo? Di quante Ipazia è lastricato il percorso storico prima che si arrivasse allo stato attuale di cose? Di fronte all’alienazione contemporanea dell’essere, più che dell’apparire, è l’immagine della femmina che domina sulla donna, mentre la femminilità, vista come armonia di concetto, latita nella maggioranza dei casi. Se deviassimo le attenzioni dagli stereotipi imposti dalle moderne culture, in cui il femminismo non è stato altro, che la rivendicazione di una libertà legata più al concetto di fisicità che a quello intellettuale forse non continueremmo ad uccidere ogni giorno la conoscenza. Perché Ipazia non ha una collocazione spazio/temporale ma è sempre esistita, e ad ogni sua morte corrisponde una rinascita.
Nell’ucciderla l’hanno consegnata alla storia e resa immortale come allo stesso modo il sapere innalza il decadimento della carne rimandandoci ai posteri. La conoscenza innalza l’individuo rendendolo partecipe della sua naturale essenza.
Altri simboli di forza all’interno dell’universo femminile artistico, li troviamo nella pittrice del 1500 Artemisia Lomi Gentileschi (Roma 1593 – Napoli 1653) considerata un nuovo stimolo al femminismo comatoso del tempo. Fu violentata più volte e denunciò per stupro il suo carnefice. Per portare avanti la causa e affermare la veridicità delle sue accuse fu sottoposta allo schiacciamento dei pollici, che oltre al dolore fisico le creò problemi per la sua arte, suo unico motivo di vita. Non fu solo una grande pittrice, di cui ci restano solo trentaquattro opere (e ventotto lettere) ma rivendicò con forza la sua posizione sociale e di donna libera del tempo, aggrappandosi prepotentemente alle sue indiscusse abilità artistiche che verranno rivalutate tardivamente, intorno al Novecento. Ancora, Rina Faccio, alias Sibilla Aleramo – scrittrice, poetessa – violentata a sedici anni e costretta a sposare il suo violentatore, ma che, dopo qualche anno trova la forza per lasciarlo e scoperte le sue qualità di scrittrice si fa promotrice del mondo femminile sommerso e ne diventa una portavoce di rilievo. Cito queste donne, non solo per le violenze subite, ma per il modo in cui si sono prodigate nel denunciare e combattere la cultura del momento storico e la mentalità ostica al genere. E ancora, Oriana Fallaci, scrittrice, giornalista e attivista che si unì giovanissima al mondo della resistenza, fu inviata di guerra, ebbe una vita densa e travagliata, diede voce al mondo dell’islam portandone alla ribalta i controsensi. Da sempre in lotta per difendere i diritti delle donne, con l’anticonformismo che le era innato. Potrei continuare con nomi altrettanto degni di essere citati anche se senza volto, l’elenco sarebbe davvero troppo lungo. Oggi qualcosa è cambiato, l’Arte non è più preclusa alle donne ma l’uomo non è mutato. L’Arte potrà salvarlo? Forse, se si svincola dalla mercificazione dell’essere e segue il suo naturale decorso. Ipazia, Artemisia e le Altre non avranno lottato invano.
Maria Teresa Infante
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