AP(S)PUNTI DI LETTURA INTORNO A BRISCOE HALL
EINMAL, der Tod hatte Zulauf,
verbargst du dich in mir.
UNA VOLTA la morte ebbe accesso,
tu ti nascondesti in me.
Paul Celan
[da Lichtzwang: Luce coatta]
Se, come vuole Norman Brown, l’amore è “toglimento di morte” (a-mors) [N. Brown, Life against Death (1959); tr. it. La vita contro la morte, il Saggiatore, Milano 1973, p. 161] allora Briscoe Hall è il trionfo della vita, la celebrazione della pelle che ha “il profumo del bosco e della linfa dei giovani virgulti” (p. 158), la glorificazione della carne nel proliferare di un erotismo che, come scrive Bataille, è l’approvazione della vita fin dentro la morte. La morte, beninteso, della propria individualità “uccisa (nell’orgasmo) dalla semplice intensità del godimento che la percorre, e che nell’attimo del piacere la sottrae al sistema del tempo, per immergerla in quel tempo astorico dove il soggetto non è più Io [U. Galimberti, Le cose dell’amore, Feltrinelli, Milano 2004 p. 26]. Il personaggio partorito dall’abile penna di Giuliano Brenna, persegue pervicacemente questi “momenti di sospensione” (p. 134) deciso a seguire il suo Wunsch inteso come vocazione, staccato, pertanto, dalla mera matrice pulsionale. Da questo punto di vista, l’antagonista assoluto di Briscoe è l’amico d’infanzia Willy che, rifiutandosi di ascoltare la chiamata del proprio desiderio, dal quale è terrorizzato, si condanna ad un’esistenza asfittica. Emblematica, a questo proposito, è la scena del loro ultimo incontro dove, dopo un breve e gelido dialogo, Briscoe saluta definitivamente Willy che “mentre chiude la porta getta un ultimo sguardo sulla strada lungo la quale l’amico si è appena allontanato” (p.107). È la vita stessa, è evidente, che Willy vede andarsene “[…] per la sua strada con occhi splendenti, dimentica di noi” per dirla con Yeats. Lo Streben, quindi, che accompagna il protagonista lungo tutte le pagine del romanzo, consiste nel tentativo di evitare di essere sepolto in quella “grande cassa di legno” sulla quale un domestico, nel sogno funebre che apre il capitolo 11, “sta inchiodando il coperchio”.
Ma qual è la natura degli amplessi ai quali Briscoe si abbandona? Si tratta di rapporti omoerotici: ma lo sono davvero? Da un punto di vista anatomico, sì, non c’è dubbio: se, però, fossimo disposti ad ammettere, con Jacques Lacan, che l’amore implica necessariamente l’eterosessualità, cioè l’amore dell’eteros, dell’Altro, della differenza, allora la “lezione” di Brenna ci apparirebbe cristallina nella sua solarità: “ci sono coppie eterosessuali dal punto di vista anatomico che producono delle fusioni narcisistiche mortifere, come ci sono delle coppie omosessuali (sempre dal punto di vista anatomico) dove circola la dimensione eterosessuale” [Juri Messieri]. La differenza a livello genitale tra due corpi non è garanzia di eterosessualità che, diversamente, pertiene alla qualità della relazione con l’Altro. Ecco, allora, stagliarsi – sullo sfondo costituito dalle campagne del Dorset e dalla residenza di Hilldown Manor – irriducibili e antitetiche, le figure di coloro che (come il conte Chester Turner-Davies, la contessa Marjorie, i cugini Kennard e Clarabel) conoscono “il sesso come potenza, come dominio, come riaffermazione dell’Io e del suo insopprimibile limite” [U. Galimberti, op. cit.] e quella di Briscoe per il quale il sesso è perdita di sé, dissolvimento, cedimento del limite, gratuità assoluta di un donarsi (“donare”, “offrirsi”… sono termini che ritornano in più luoghi del romanzo) che profuma di Grazia, nel cui vento primaverile (è in questa stagione simbolo di rinascita che, non a caso, si chiude il romanzo) “tutti gli orifizi del corpo è come se si aprissero ad un mondo nuovo” [Massimo Recalcati].
Esordio coraggioso, dunque, quello di Giuliano Brenna che decide di fare i conti con un tema – l’eros – declinato, ormai, in tutte le salse e dai più grandi scrittori (a proposito, volo pindarico, chissà se Briscoe Hall è un cripto-omaggio a Fanny Hill di John Cleland), tante volte sgualcito e vilipeso e che in letteratura è l’equivalente della Kryptonite per Superman o dei gabbiani per i poeti. Il nostro autore, però, a dispetto di tutto e di tutti, procede su questo sentiero sdrucciolevole con passo fermo, sicuro aiutato anche, ritengo, da una buona dose di ironia – penso alla giocosa descrizione di alcune scene di sesso e alla sovrabbondanza delle stesse che si susseguono, oserei dire, quasi senza soluzione di continuità –. Il linguaggio è piano e lineare ma mai banale, accurato, a tratti evocativo, alcuni passaggi assomigliano a prosa poetica; fabula e intreccio sono saldamente nelle mani del loro artefice.
A conclusione di questi brevi ap(s)punti mi preme far notare come Brenna sia riuscito – e in un romanzo di tal fatta è un gran merito – ad evitare il pericolo più grande quello, vale a dire, di indulgere nel pistolotto sull’ipocrisia di una certa società, sui diritti violati delle minoranze und so weiter… e questo non perché non si tratti di tematiche di fondamentale importanza e, ahimè, di stringente attualità, ma perché la letteratura e la poesia, con il proprio linguaggio totalmente altro rispetto a quello dell’utilità, sono strutturalmente lontane da qualsivoglia funzione strumentale e, per questo motivo, capaci per statuto ontologico – senza bisogno d’altro – di inquietare l’eventuale lettore perché impari a “gettarsi indietro su la destra il mantello, come si addice a persona libera” [Platone, Teeteto]. Insomma, citando Ionesco: “Se è assolutamente necessario che l'arte o il teatro servano a qualche cosa, dirò che dovrebbero servire a insegnare alla gente che ci sono attività che non servono a niente, e che è indispensabile che ce ne siano” e fra queste l’indispensabile lettura di Briscoe Hall.
P.S. Il romanzo è narrato da quello che, in gergo tecnico, si definisce narratore onnisciente: orbene, personalmente amo pensare (ma è elucubrazione affatto scevra da prove fattuali, dettata dal cuore più che dalla ragione) che quel punto di vista non sia quello di Giuliano Brenna, ma quello della signora Hollie, la cuoca che, tra una Lièvre à la royale e una crostata di mirtilli, riconosce per prima, più arguta e meno ipocrita di molti cooprotagonisti della storia, il volto di un desiderio (che, giova sempre ricordarlo, è termine che rimanda alle stelle: de-sidera) “che per una volta non dovrà essere abbattuto”.
Mit Untertänigkeit
Luca Soldati
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