Allunga le ore il suo nome
Con Indicibile e breve potenza
Trova riparo negli occhi
Una mussola bianca, si muove
E raccoglie le cose del mare,
Nella fragile danza di casa
Così profonda l’assenza
Da tornare, come una volta,
Dove precipita il respiro
Negli spazi fino ai minimi d’azzurro
Sul margine del bosco necessario
Per togliere dagli occhi la chiarezza
Offro un sentiero al silenzio
Verso il largo del pianoro, e più su,
Alla chiusa del vento, si colma,
Nascosta tra le mani,
Di tutta la distanza luminosa,
Un’urna, per dire sì al Solstizio
E niente ombre
Mentre vegliamo la luce più grande
Del giorno che c’è, in fondo alla gola
Un fluido commosso si acquieta
E le stelle vengono a piedi,
In processione, stupende
Alla notte minore, da farti restare futura
Nel continuo vedere e chiamare
Mammet
Nel piccolo buio. Inciampo ancora
e bevo, nel grumo, dalle radici amare
Sprigionando la luce da cui vengono gli alberi
Come te, con un gesto delicato
Come un discorso d’amore
Imparo nuovamente a cadere,
Più grande e devota, attraverso le vite,
Tutte le maternità che genera la morte,
A rialzarmi tra poche cose, nella povertà,
Più sensuale e pura, conosciuta
Nella perdita, ogni cosa ha la sua legge
Fino al bordo della vasca
Un solo sorso d’acqua, per la gioia,
Basterebbe,
Come i fili d’oro sulle cicatrici
Che riparano quei vasi, per brillare,
Basterà.
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