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Come il Nuctes di Michaux

di Amina Narimi
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Pubblicato il 10/06/2014 23:55:44

Nella tua dura luce strati di terra

più concreta e necessaria

nell’intimo si piegano,

ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno

che racconta  la ballata, il largo con le labbra

degli occhi- del desiderio di contatto

di un sorriso universale  con il mondo

creato delle acque-  più elementari,

è uno sguardo all’uscita di casa,

tra  gli alberi  e le ombre, un inchino

 

Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo-

senza mandare un brivido

a sollevarmi i capelli-

tutto all’altezza della parola

supplente, quasi, fino in fondo

finchè, amore, non ci separi

una piramide di fango

 

Se avessi tolto prima  la cornice

ti sarebbe apparso il perimetro alla tela

con il colore originale dello sfondo,

il rosso carminio, del carapace della cocciniglia,

dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto,

lo splendore della vista attraverso le comete

di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora

come una campagna che tutti abbiamo percorso,

una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi

con lui, nello spazio breve del giardino

che genera l’incontro, tra la visione e il cuore,

giustificando il transito: l’adagiarsi della luce

piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,

 

scolpito nel tempo di un riverbero

è una vertigine infinita la calma coscienziosa

sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello

che verrà, dopo l'arrivo alle nostre mani,

strette umane l’una con l’altra a dondolare,

annunciando l’inesprimibile, come in sogno

nei carmi figurati, ricreando geroglifici

le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto

 

mi chiedi di morire quel che c’è?

Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come

delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti

all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto

come enigma,  e le radici a nudo, alla fine del corpo,

non meno della mente o della musica

della storia personale dolorante. L’emozione

dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza

ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti,

nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso,

sulla veste impudica, i movimenti della mano;

con un gesto unico, la mia montagna che cammina

vuoi.  Immagine e scrittura

sembrano chiudere lo spazio

ostacolare il balzo avanti dello sguardo

 

è  viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve,

che si apre accogliente sull’immenso andare,

come apocrifo e segreto resterai,

celando il vero volto, semplice ombra

di molteplici tu che viaggiano in sogno

cercando il segreto in un’altra vita.

 

Strati di silenzio inalienabili e nudi

mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli.

Con l’addome magro sul volume di preghiere

non prometto di non immaginare

che siamo corpi esposti a un Dio,

fragili fortezze, nella pace giusta della gioia,

che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua

i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi 

ognuno ci sognerà,

con qualche gesto da ricordare:

 

sapremo  l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza

di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome,

di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare

con l’arrivo del nero, si colma a disegni,

formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete

 

Senza più lingua né voce, è il nostro sonno,

dalle mani alla carta. senza le braccia,

riprendo a camminare, sorridendo,

come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle,

l’abbozzo di un’ala che cresce,

piano, pianissimo,

per volare ancora nei sogni.

 

 

 Henri Michaux, Emerging Figures -

The National Museum of Modern Art

               Tokyo - 2007.


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