Pubblicato il 28/01/2008
Quando, nel 1896, venne pubblicata questa raccolta Proust aveva 25 anni, era un giovanotto elegante e alla moda, noto per la sua camelia all'occhiello e per la sua conversazione arguta. Questa sua mondanità fu però la zavorra che impedì al libro di avere il successo che si meritava, venne quasi immediatamente bollato come un capriccio di un giovane viziato ed annoiato. La prima edizione, data alle stampe per i tipi di Calmann-Levy, oltre per il suo contenuto, si faceva notare anche per le prestigiose "collaborazioni": Anatole France si occupò della prefazione, Madeleine Lemairie, allora pittrice in voga - oggi dimenticata -, disegnò belle illustrazioni e Daudet scrisse un articolo molto lusinghiero arrivando a definire il libro "un bel cesto fiorito". Ma tutte queste attenzioni non fecero che confermare agli occhi dei detrattori, che probabilmente non lessero neanche per intero il libro, il fatto che non si trattava di un libro "vero", ma quasi un libro-strenna, come si direbbe oggi, destinato a divertire e compiacere i frequentatori dei salotti. In effetti i racconti, brevi, e meno brevi, sono spesso ambientati nei salotti e hanno come protagonisti membri dell'aristocrazia, ma è chiaro, che essendo quello il mondo frequentato dall'autore, in quel mondo aveva dato forma alle situazioni dei suoi scritti, con un meccanismo analogo a quello poi usato per la Recherche, sebbene leggendo fra le righe si nota che il "bel mondo" viene spesso impietosamente messo alla berlina: <<La mediocrità è tale (del mondo aristocratico), che bastò che Violante si degnasse di mescolarsi a loro per eclissarli quasi tutti.>> Si può dire che in questo libro già ci sono le tracce della Recherche, alcuni temi poi sviluppati, qua si intravvedono, fra le righe, quasi dei germogli, ma già molto ben delineati; nei racconti infatti incontriamo alcuni temi tipicamente proustiani, quali la gelosia - quasi - folle; l'amare chi non si ha accanto per smettere di amarlo quando ci è vicino; il forte senso di colpa nei confronti della madre per la propria omosessualità e in due sfuggenti righe fa capolino la memoria involontaria, in un episodio che ricorda molto il celeberrimo passo della "petit madeleine". Nella stesura del testo Proust ricorre volentieri all'uso del Pastiche, ovvero scrive dei brani usando lo stile di un altro scrittore, un po' per burla e un po' per rendergli omaggio. Lo stile comunque è molto bello ed elegante, si nota la maestria della mano che scriverà la Recherche, ma in quest'opera, ancora un po' "acerbo": le frasi non sono ancora sontuose come negli scritti che seguiranno. Ne "I piaceri e i giorni", ci sono tutti gli elementi di contenuto e stile che Proust svilupperà e renderà inarrivabili nel corso degli anni e con il susseguirsi delle sue esperienze personali, ma appare qui evidente che già a 25 anni Proust aveva in mente quello che sarebbe diventato il suo capolavoro. La semplicità di scrittura e di contenuti, rispetto ad altri scritti - e forse anche la brevità - rendono adatto questo libro a chi, per timore, non si è ancora avvicinato a Proust ma se ne sente attratto; e naturalmente è consigliato a chi ha già letto la Recherche, oltre per la piacevolezza, anche per una sorta di "archeologia" proustiana. Inoltre in questo volume l'editore ha aggiunto alcuni scritti giovanili, quali Il romanzo epistolare e altri frammenti inediti che rendono la panoramica sugli scritti del giovane Proust abbastanza esauriente.
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