Pubblicato il 05/12/2007
Quando scoccarono le 10 di mattina, per il professor Grandi, fu tempo di festeggiar i 15 anni di insegnamento. Non era una di quelle belle giornate nella quali viene voglia di festeggiar l’evento in qualche maniera particolare con amici e parenti. Non c’era quel bel sole che ti acceca quando la serranda stancamente viene aperta la mattina presto e la luce passa attraverso, in maniera impetuosa, tra le fessure della stessa. Al contrario era una giornataccia nella quale la neve la faceva da padrona ed aveva imbiancato tutta la città di Sulmona. Avendo passato già molti inverni, al professore venne in mente subito la piazza dove vi è Ovidio pensatore. Già si immaginava il poeta latino tutto bianco e i ragazzi che colpivano a palle di neve le macchine che scorrevano lentamente, a causa della neve, attraversando il corso dedicato al nasone poeta dell’amore. Mentre si guardava allo specchio per radersi la barba notò la vecchiaia incipiente: i pochi capelli bianchi, la pelle rugosa, nonché dolorini vari che rendevano i suoi movimenti lenti; soprattutto quest’ultima cosa lo irritava assai a causa dei suoi trascorsi da atleta. Sul muro vicino alla finestra, accanto alla laurea, aveva incorniciato, in una maestosa cornice, la fotografia di quando, giovane atleta sulmonese, vinse i giochi della gioventù dando lustro alla storia del mitico liceo classico, anch’esso intitolato alla memoria di quel poeta, che non solo cantava dell’amore, ma nelle sue poesie, rimembrava le sue terre natali e loro fredde acque. Indossò uno dei suoi completi; li aveva ordinati nel suo armadio, collegando sempre allo stesso modo il pantalone, con la stessa giacca, la stessa cravatta e la stessa camicia. Questa litania e il ripetersi degli stessi abbinamenti era un insistere di colori e abbinamenti che durava da almeno 3 anni. Prima era la moglie Elena a preparare al marito il vestiario. Il professor Grandi, quando si svegliava la mattina, trovava il nuovo abbinamento, alle volte anche un po’ spinto nell’accostamento dei colori, sul divano Frau della sala e il caffè caldo con due biscottini in cucina. Anche quando tornava a casa all’ora di pranzo la Elena gli faceva trovar il pranzo pronto. La moglie era di un’altra città, precisamente era di Milano. Grandi la conobbe in una vacanza da giovane. Da ragazza questa signora era molto avvenente: lunghi capelli biondi, fianchi mozzafiato e un petto generoso. Nell’acqua sguazzava come una sirena, e tutti gli uomini, anche quelli sposati avevano pensieri peccaminosi sulla donna. In quel periodo il professor era un giovane supplente che viaggiava per il territorio abruzzese con la sua 500 nuova di zecca, che il padre gli aveva regalato per spostarsi per il lavoro. Ovviamente la macchina la usava anche per le vacanze. In una di queste vacanze al mare, sotto il sole dorato della Puglia, si riportò, praticamente la Elena a casa sua. Appena ebbe dal Ministero la destinazione finale, i due ragazzi si sposarono e si stabilirono a Sulmona. Avendo lasciato tutti gli amici a Milano, la moglie si trovò ad affrontar una situazione nuova nella quale vivere. Passò da una grande città ad una medio piccola, dove tutti si conoscono e l’intrusione di una persona nuova, soprattutto così avvenente, era difficile. La Elena, però, risultava molto simpatica a tutti ed in breve tempo era conosciuta da tutti nel quartiere nel quale i coniugi vivevano. Lei si impegnava nel coro polifonico, lei era la prima a fare volontariato e promotrice di raccolte fondi, seguiva i convegni delle varie associazioni culturali della città. Il professor Grandi era soddisfatto di tutto ciò, poiché la sua più grande preoccupazione era che sua moglie potesse sentir nostalgia dei suoi luoghi, cosa che avrebbe sentito lui a parti invertite, e che gli chiedesse di spostarsi da lì. Con la Elena la sua vita risplendeva di luce propria, l’inverno era estate per lui, il bicchiere era sempre mezzo pieno, non era mai pessimista e credeva sempre che per ogni situazione ci potesse essere sempre una soluzione adeguata. Lui era profondamente innamorato di lei, sarebbe arrivato, per assurdità, lui pacifista convinto, ad uccidere per lei. Non avrebbe sopportato che qualcuno potesse far del male a quel gioiello incontrato per caso nel lungo cammino della sua vita. Tutto ciò nonostante il professore scoprì di essere sterile; per lui, cresciuto in una famiglia all’antica, dove la patria potestà era raffigurata nello stereotipo dell’uomo rude che fa i figli che crescono con la mamma era un brutto colpo. La moglie cercava di consolarlo, dicendo che anche in mancanza di un figlio, il suo amore per lui non sarebbe cambiato o peggiorato, perché la moglie per un figlio è diverso dall’amore per un marito. Il professore passò, comunque, brutti momenti, ma cercava di eliminare dalla mente quel pensiero di considerarsi un mezzo uomo a casa di sperma sufficiente. Cercava di rilassarsi in cucina, e la sera, nei giorni nei quali la moglie si allenava in palestra, lui si dilettava in cucina. Il suo piatto preferito erano gli spaghetti alle vongole: lo riteneva un piatto semplice, ma nello stesso tempo saporito e buono come un piatto elaborato. Un po’ una metafora della vita, nella quale chi si deve accontentare di cose non costose, ma economiche, può benissimo vivere in felicità apprezzando ciò che ha e non desiderando, da buon cattolico, ciò che non possiede. Questa era una filosofia che cercava di insegnare ai ragazzi. Ma un giorno questo idillio finì. La sua cara moglie, la sua adorata moglie morì in una squallida stanza di ospedale. Fu una morte lenta: il professore raccontò che, durante la notte, la sua cara moglie lo svegliò di sopra assalto, esplicitando il suo sentirsi male. Il professore si alzò di scatto e senza batter ciglio, evitando emozioni che avrebbero fatto perdere la lucidità, si mise la prima cosa che trovò. Prese la donna e la mise in macchina e poi di corsa all’ospedale. Di quella notte, tuttora, non ricorda di più, afferma quando racconta la storia e del perché vive solo. Il professor Acerri, suo grande amico prima che collega, lo ricorda solo seduto accanto al letto dove è stesa sua moglie, fredda e rigida. Quella morte fermò, per assurdo, quella bellezza che il professore aveva sempre visto nella moglie, sin da quando la vide per la prima volta in quella spiaggia. Essendo Grandi uno stimato insegnante ed essendo ben voluto dagli studenti, al funerale della moglie vi era un bel po’ di gente. Tutti vicino a quel signore che non traspariva nessun dolore, forse perché il suo viso era coperto da grandi occhiali scuri, che Elena gli aveva regalato per l’ultimo Natale. Come in un film noir, il tempo era bruttissimo, da lontano si vedevano solo un mucchio di ombrelli, come se fosse uno schieramento di un esercito romano in formazione testuggine; il suono della campane che suonavano per il lutto, era limitato dal rumore della pioggia che scrosciava violentemente. Grandi prima di quell’episodio, aveva associato quel tipo di pioggia, al giorno del suo matrimonio, e quando uscì dalla chiesa, si vide vestito con lo smoking da cerimonia; si girò con il volto verso destra e vide sua moglie, bella come non mai, con un sorriso splendente e i capelli raccolti sotto il velo da sposa. Poi, nel momento del bacio, sentì una voce sempre più chiara e sempre più forte che lo chiamava: “Professore, professore”. Aprì gli occhi e si ritrovò in ospedale: era svenuto ed un dottore cercava di animarlo. Quando le cose si sistemarono e tutto tornò come prima i finti amici che gli erano stati vicino erano scomparsi, nessuno lo chiamava più e lui finiva le serate davanti alla televisione; non aveva un programma preferito, anzi la televisione non la guardava ma era l’unico modo per sentire qualche voce dentro quella casa, che lui sognava che fosse riempiti ancora dalla voce dell’adorata moglie e da tanti marmocchietti che giocavano con i regali che il padre gli avrebbe riportato a casa. Quel suo festeggiamento per i 30 anni fu quindi triste; senza la sua Elena e senza un motivo di vita, ma con la calvizie incipiente; cercando di elaborare nuovi piatti che lui stesso avrebbe giudicato, in quanto il suo giudice naturale non avrebbe potuto più parlare. Solo Acerri gli faceva compagnia invitandolo a casa oppure andando lui il pomeriggio a casa cercando di coinvolgerlo nelle gite scolastiche e nelle varie iniziative che il preside progressista della scuola metteva in campo. Un giorno entrò a scuola; era una di quelle giornate da schifo, dove alzarsi dal letto non ne valeva la pena e nelle quali già si sa che a scuola avrebbe trovato gli stessi problemi di sempre e quella mattina non gli avrebbe proprio voluti sentire. Ma il suo spirito del dovere e il suo istinto da gran lavoratore, spinsero il professore, a mettere il completo e ad andare a scuola. Quello fu un giorno di risveglio emotivo per Grandi e questo grazie ad un ragazzo. Il professore entrò in classe e fece la sua solita lezione e appena la campanella suonò i ragazzi uscirono dalla classe con uno sfuggente buongiorno detto così e a mala pena recepito da Grandi. Non si era accorto che seduto era rimasto un giovane, composto sul banco e che lo guardava mentre Grandi rimetteva le sue cose dentro la borsa di pelle che Elena gli aveva regalato 10 anni fa. Nel mentre che si stava alzando, il giovane lo chiamò e disse: “Professore, mi scusi, le vorrei parlare”. Il ragazzo, Alfredo Guerri, voleva confidarsi con quel professore dei suoi problemi; il giovane non riusciva ad imparare la sua materia e questo perché a casa aveva alcuni problemi. Aggiunse: “Forse lei deve andare, sono le 13 e 45”. Grandi guardò l’orologio, nel momento in cui Acerri entrò in classe per chiedergli se voleva tornare con lui. Grandi ci pensò un momento, riguardò l’orologio e immaginò cosa avrebbe trovato a casa. Disse: “Acerri non ti preoccupare, rimango ancora un po’ qui…ci sentiamo dopo”, poi si rivolse al ragazzo e disse: “Adesso telefoniamo a tua mamma per dire che devi rimanere a scuola per fare delle cose con il tuo professore; dai che ci andiamo a prendere un panino al bar”. I due si misero a parlare dentro al bar, forse perché il professore riteneva quel posto meno formale della scuola, e il ragazzo parlò dei suoi problemi, piano piano si aprì; tranne la mancanza della figura di un padre morto anni prima, problema superato da un pezzo, i problemi di Alfredo erano i problemi di un ragazzo adolescente di 17 anni; il problema di essere rifiutato dalla ragazza che ama, di essere poco incisivo nelle interrogazioni e negli esami, e poi vi era il problema di aiutare la mamma presso il bar di sua proprietà lasciato in eredità dal marito di lei. È facile immaginare come il ragazzo poteva confondere la figura del professore confidente con quello di un padre, e la stessa cosa poteva accadere per Grandi; la psicologia più scolastica dice che questa situazione poteva essere un riscatto per il suo essere sterile, e colmare il vuoto lasciato da Elena. Per grandi però non era così: lui aveva sempre sognato una scuola ti questi tipo, attenta sia a dare una cultura ai ragazzi, ma insegnare loro anche la fame per la vita, la voglia di andar sempre oltre a quello che vi era posto davanti. Lui da studente non ebbe questa possibilità, grigia come era la sua classe con i vestiti uguali, i professori rinchiusi dentro il loro sapere e con un sistema nozionistico che a Grandi non andava giù. Fare il professore per lui fu quasi una vocazione, voleva fare il progressista, voleva impersonare la figura dell’insegnante amico, i cui alunni si mettono sui bachi di scuola e dicono: “Oh capitano, mio capitano”. Voleva essere quello che andava contro il preside e ascoltava le richieste di ragazzi di una città povera, senza iniziative, e forse la scuola, per i ragazzi e per gli adulti, poteva essere non solo un contenitore di informazioni ma riscatto di un territorio. Quando succedono poi situazioni particolari: una morte, la notizia di non poter dare continuità al cognome, si tirano le somme di una carriera e si rendeva conto di assomigliare a quei professori grigi che aveva sempre criticato. Nel parlare a quel ragazzo suo studente, sentiva dentro di sé l’esplodere del giovane Grandi che vuole uscire dalla gabbia di kriptonite dove era stato messo. Piano piano Grandi riuscì a tirar le redini di questa sua vita, e riusciva ad assomigliare a quello che voleva lui: allo specchio non vedeva più un signore invecchiato, ma un tipo baldanzoso. La moglie era morta, ma la sua vita doveva andar avanti, e non poteva non aver un significato, come purtroppo, non ha avuto significato la vita di una moglie che neanche ha dato alla luce un figlio da allevare prima di morire. Questa nuova vita, in cui era rinato Grandi, lo fece diventar un modello per i ragazzi: si batté per aver un liceo aperto il pomeriggio per dare spazi agli studenti per suonare, si batté per un’ aula di informatica all’ultimo grido, appoggiò gli studenti per l’autogestione. I professori, giovani e meno giovani gli chiedevano il segreto del suo successo, anche Acerri, rimase impressionato di questo suo cambiamento nello stile di vita, e gli studenti lo coinvolgevano nei loro discorsi musicali, politici. Ormai procedeva tutto bene, il periodo nero dei brutti pensieri, dell’abbandono, sono tempi passati, ora si pensava solo a vivere!
Il commissario Lombardi era tutto intento a mangiare i suoi biscotti inzuppati al latte, mentre Salli, il suo piccolo beagle, con la zampetta pretendeva più che la sua attenzione, un biscottino, giusto per fare colazione. Lombardi non si era affezionato subito a quel cane, tanto voluto dalla moglie, ma Salli aveva uno sguardo così dolce che era impossibile resistere, anche per un poliziotto che aveva arrestato fior fiori di malviventi per la regione. Il suo nome era finito anche sui giornali e sulla cronaca nazionale per avere sgominato una banda di pedofili. Tutte le indagini di basavano su sue solide intuizioni e, nonostante la contrarietà del suo capo, Lombardi fece di testa sua, e andò avanti per la sua strada seguendo quello che sarebbe diventato, il suo leggendario fiuto. Alla fine di quella indagine, molti volti noti della sua città, tra i quali anche un tipo che organizzava eventi per bimbi, furono sbattuti in cella. In televisione si riaccese la polemica su cosa fare dei pedofili, chi diceva che anche Michelangelo aveva il suo amichetto e quindi non vi era nulla di male, e chi proponeva di introdurre la castrazione chimica per questa gente. Lombardi non solo era un gran poliziotto, ma era anche un opportunista come pochi sanno fare. Lombardi poteva essere paragonato a Paolo Rossi, uno che quando l’azione era buona, sapeva cogliere l’occasione al volo. Era nato da una famiglia non ricca, ma neanche povera; il padre era poliziotto e lui volle continuare questa tradizione poiché gli altri due fratelli, Sonia e Cesare, non avevano la stoffa; Sonia era una grande casalinga con due figli all’università, Cesare si era fatto prete, ciò lo pose in forte contrasto con il padre. Tra i due, cioè Cesare e Giuseppe (questo era il nome del commissario), vi era una grande confidenza; Giuseppe non era credente ma si confidava con suo fratello in confessione, perché lì vigeva il segreto confessorio e quindi nessuna informazione poteva essere diffusa. Il suo istinto lo seguiva sempre! Ritorniamo al suo opportunismo da calciatore: egli capì che quello era il suo momento, che da quella indagine, poteva ricavare un successo come quello di Taormina, il cui nome spuntava nelle aule giudiziarie, in televisione, in parlamento e in libreria. Con quel caso di pedofilia riuscì a partecipare a trasmissioni in tutti i canali televisivi via etere e via satellite. Con un amico giornalista, cominciò a scrivere un libro sulla vicenda che divenne uno dei successi della stagione. Divenne opinionista di Costanzo, e quindi aveva numerosi passaggi televisivi assicurati. Riuscì a diventar un uomo importante di un partito importante, ma non dimenticò mai, perché da lì derivava il suo successo, quello che era il suo vero lavoro, ossia scovare i cattivi, diventare lo sceriffo d’Italia. Questo era il suo soprannome, lo “Sceriffo”, piaceva a lui, perché si sentiva al di sopra di ogni vincolo legislativo nel suo lavoro, piaceva ai media perché si poteva così identificare in maniera diretta un personaggio. Aveva due telefonini con sé, quello destinato al lavoro del poliziotto e quello del suo manager che lo contattava quando era richiesto per un’intervista, una apparizione televisiva o altro. Questa volta era il pubblico ministero Pallottini a telefonare. Tra i due non correva buon sangue poiché il p.m. era della vecchia scuola, non sopportava le luce della ribalta, la sua faccia la metteva in tv solo per spiegare gli errori di una giustizia, in effetti troppo sbilanciata dalla parte del protagonismo, e del favore ai potenti. I magistrati dovevano stare all’oscuro, non farsi coinvolgere da polemiche, discorsi in tv. Dovevano essere lontani dalle influenze politiche. Lui conosceva Lombardi fin da giovane, lo ricordava ancora come uno sbarbatello, spaurito; come p.m. cercava di dargli i consigli giusti, sebbene lui già aveva come punto di riferimento il padre, uomo onesto e professionale. Ma negli occhi del Lombardi junior vedeva il fuoco della fama, mania di protagonismo; nonostante questo rimaneva però un grande mastino della legge. “Grandi, c’è bisogno di te in centrale”. “Come sta? Io bene! Ok mi dia un minuto e sono da lei”. Lo sceriffo d’ Italia, fece far i bisogni al suo cane e si mise in macchina. Nonostante il suo istinto indagatore, la sua memoria faceva sempre cilecca, infatti dovette tornar indietro, risalire a casa e prendere gli occhiali da sole che sponsorizzava. Non poteva far pubblicità in tv ma la pubblicità indiretta, con le interviste, le foto sui giornali, era sicuramente più efficace. Che il p.m. lo stesse aspettando nel suo ufficio, glielo disse il suo naso, quell’odore di sigaro, gli dava proprio fastidio, ma forse lo faceva apposta per farlo inalberare. Infatti il loro rapporto era un po’ come quello tra Don Camillo e Peppone; si facevano questi screzi, ma facevano finta di nulla. “Buongiorno, cosa è successo?”, chiese Lombardi. “Buongiorno anche a lei Giuseppe, come sta lei? E sua moglie?”, chiese malignamente. “Sempre divorziata, grazie del pensiero! Vogliamo arrivar al dunque?”. “Va bene, le spiego un po’; un po’ di giorni fa è morta una donna di 45 anni, vorrei che lei indagasse un po’ su questa morte”. “Perché, c’è qualche indizio su un omicidio?”, chiese Lombardi, versandosi un bicchiere d’acqua, come il suo curatore dell’immagine , gli aveva consigliato di fare; per togliere qualche etto bastava bere un po’ di acqua ogni ora. “Diciamo di no; però forse è importante prendere delle notizie su un professore; la moglie è morta per una infezione che le ha provocato una emorragia, ma su questo avrà più informazioni dalla nostra sezione scientifica; le posso dire che dato che la defunta non aveva problemi fino ad allora, forse è giusto indagare un po’, bastano alcune domandine, e poi archiviamo il caso, va bene?”. “Bè dottore, se è un caso semplice, perché chiedete a me di indagare”, chiese stizzito il commissario. Il sorrisino del p.m. era eloquente e non c’era bisogno di dire altro, ma lui aggiunse lo stesso: “Come lei ben sa, nei casi più semplici, ci possono esserci le insidie più serie, chi meglio dello Sceriffo di Italia può scovare un crimine dove nessun altro può vederlo?”. “Sì va bene”, si girò, augurò una buona giornata al capo e chiuse la porta dietro di lui per dirigersi alla sezione della scientifica. Il dottor Mariani era suo amico da sempre, coetaneo e con storie simili. Mariani portò Lombardi nel suo ufficio, ormai il corpo fisico era già stato interrato e non si poteva riesumarlo se non dietro provvedimento motivato da prove certe. Mostrò al commissario le foto della donna da viva e da morta, non c’era granché da far veder perché la donna non era morta per morte violenta. Gli spiegò soprattutto la cartella clinica, dalla quale risultava che la donna era morta per una emorragia dovuta ad un malore interno. La donna non aveva mai sofferto di nulla e non vi era possibilità di prevedere un malore simile. Lombardi chiese: “ Ma perché non è stata fatta una autopsia sulla vittima?” . Mariani rispose: “Giusè, perché non c’erano gli estremi e comunque all’apparenza sembra una morte normale…poi, anche volendo, non si potrebbe più fare perché, per sua volontà, la donna è stata cremata”. “Marià, se è così, che ci facciamo noi due in questo ufficio a parlar di un non caso?”. Mariani lo invitò a voltarsi: “Guarda, io devo ancora aprire quei due morti, che mi prenderanno molto tempo e ho un pranzo nel mio ristorante preferito al quale probabilmente dovrò rinunciare”. Suonò il telefonino dello sceriffo: “Pronto? Ehi ciao! a che ora? Va bene si può fare”, poi rivolgendosi all’amico dottore, una volta chiuso il telefonino, “Scusami”. “Chi era quel rompi coglioni del p.m.?”, chiese con lo sguardo di chi capisce queste rotture. “Veramente no, era il mio agente, domani sono da Vespa a Porta a Porta; mi sa che mi devo andar a comprar qualcosa di nuovo altrimenti sono sempre vestito allo stesso modo”. “Giusè, ma ti senti come parli? Vabbè va, finiamo questo discorso; insomma la domanda tua è pertinente: se la donna sembra morta per cause naturali, e non possiamo provar il contrario, di che parliamo? La cartella clinica mi è arrivata oggi; sembra che da Milano sia arrivata una segnalazione per questo caso; i genitori di lei sono molti amici del Presidente della regione Lombardia, il quale ha chiesto l’intervento del p.m. di Milano, il quale, a sua volta, a chiesto l’intervento del nostro p.m. del quale è amico, insomma una rottura di palle”. Per Mariani era tutto una rottura. “Capisco, credo che me la caverò presto allora, senti allora domani si va a cena insieme no?”, chiese al dottore prima di arrivare all’uscio della sezione. “Sì, come no! Non ti dimenticare qui gli occhiali da sole!”. Il commissario lo ringraziò e se ne andò. Nel frattempo Mariani pensò a cosa potevano servire un paio di occhiali da sole, in quel giorno che era brutto tempo.
Uscendo dall’ufficio di Mariani, lo sceriffo chiamò a sé il capitano Gerosolimo: “Massimo, mi devi accompagnare”. Gerosolimo prese la macchina e fece salire Lombardi: “Dove andiamo?”, chiese il capitano che era sempre disponibile per lo sceriffo perché così appariva sempre in tv e poteva vantarsi con le ragazze che conosceva delle sue apparizioni sul piccolo schermo, pozzo di sogni e desideri. “Chi andiamo a pizzicare?”. Lombardi rispose spazientito: “Gerosò, ma che pizzicà e pizzicà! Mi devi solamente accompagnare ad una parte perché a quest’ora c’è la zona traffico limitata e quindi così non mi rompe nessuno; devo far degli acquisti per stasera che vado da Vespa”. Il telefono di servizio del commissario cominciò a suonare; il p.m. gli impose di andar a trovar un certo professore Grandi per il caso appena affibbiatogli. Il commissario si rivolse di nuovo al capitano dicendogli dell’appuntamento della mattina seguente per andar al liceo classico a trovare il professore. Subito dopo entrò nel negozio di abbigliamento di Sulmona; comprò un nuovo completo di flanella molto costoso e una nuova cravatta. Dopo le prime apparizioni televisive, Lombardi aveva capito che qualunque tempo facesse fuori, e qualunque temperatura ci fosse fuori lo studio, all’interno era sempre estate. La prima volta che era stato invitato, cioè prima di Natale, fece una sudata numero uno, tanto che dovette chiedere nuovi vestiti alla sarta della Rai e continuare con quei vestiti la trasmissione. Non aveva molto tempo poiché doveva partir per Roma per gli studi televisivi, il suo agente lo avrebbe aspettato lì. Gerosolimo chiese di poterlo accompagnare e la risposta fu affermativa. Il giovane sapeva di poter comunque imparare qualcosa di più su quel lavoro; in un tempo dove tutti volevano già diventar importanti, ricoprire posti di rilievo nell’ambito della società, il giovane Gerosolimo sapeva di dover cominciar dai lavori più umili, per poter arrivare a raccogliere i frutti di quanto seminato, in fin dei conti anche lo stesso Lombardi aveva cominciato dal basso ed ora si trovava a cavalcare l’onda del successo. Sapeva però di essere diverso dallo stesso “maestro”, perché lui non aveva quella mania di protagonismo del superiore. Non gli importava la tv, la politica, lui voleva diventar solo un buon poliziotto, uno di quelli che vengono citati tra i migliori rappresentanti del corpo. Il commissario Lombardi quella sera nello studio televisivo dovette rispondere a temi che riguardavano la riforma della giustizia e a domande private, con quel Vespa lì che con le mani messe come se stesse pregando lo invitava a dire il suo pensiero sugli argomenti importanti messi in piazza dal giornalista, e sul sondaggio che considerava Lombardi uno dei personaggi più sexy della televisione italiana. In effetti lo sceriffo non era poi tanto male: capelli corti sul castano e occhi verdi, il suo fisico era frutto di molte ore spese in palestra ed oltre che snello e muscoloso era pure martoriato da una ferita sul lavoro: un colpo di pistola che gli passò la spalla destra; vestiva alla moda e aveva una buona parlantina. Viveva anche gli anni della maturità, quando non si è troppo giovani ma neanche troppo vecchi. Gerosolimo lo riportò a Sulmona verso l’ una di notte e il cane lo aspettava dietro la porta con una sua ciabatta in bocca. La sua coda scodinzolava per la felicità di aver rivisto il padrone, ma il suo abbaiare indicava che doveva anche far pipì. Lombardi lo portò nel giardino sotto casa per i bisogni e si fumò presumibilmente l’ultima sigaretta di quella giornata. Mentre fumava guardava in alto e notò un cielo nero, senza stelle ma in compenso con nuvole nere; nere come il suo umore per la seccatura che il p.m. gli aveva attribuito. Tirava anche un leggero venticello che faceva svolazzare la sua cravatta e le orecchie del cane. Dalla casa di fronte si sentivano delle voci, voci festanti dovuti alla festa di laurea del figlio del vicino e poi il rumore assordante del treno che passava. Il cane richiamò la sua attenzione, ciò voleva dire che quello che doveva fare l’aveva fatto e che il commissario poteva andar finalmente a dormire.
La mattina dopo Gerosolimo lo venne a prendere puntuale mentre il commissario si stava mettendo le scarpe e, contemporaneamente, parlava con il viva voce al telefono con il suo agente dicendogli che quella mattina aveva da fare e il telefono sarebbe rimasto staccato. Presi gli accordi con l’agente circa un appuntamento con una casa editrice per un suo libro, era pronto per recarsi presso il liceo. Varcata la soglia di quel posto, alcuni ricordi gli si fecero di nuovo vivi nella memoria; lui alla fin fine da ragazzo era uno sfigato, uno di quelli che nessuno si fila mai. Provava un senso di frustrazione in quel periodo nei confronti dei suoi compagni: lo invitavano alle feste solo perché era un compagno e non perché era simpatico agli altri, i saluti erano di cortesia e di educazione e non di gioia. Lui era poco flessibile nel capire di altri e forse questo lo rendeva poco socievole nei confronti di chi gli stava accanto. Non furono cinque anni piacevoli anche perché lì conobbe la sua attuale ex moglie; stranamente era l’unica ragazza che riusciva a comprenderlo nelle sue parole e nei suoi gesti. Quando lei lo lasciò, essendo consapevole di questa cosa, aveva paura di essere una cattiva persona: se il farsi conoscere in profondità da una donna, portò quest’ultima al distacco, forse voleva dire che lui non aveva un’anima molto bella, un bel carattere come si dice. In effetti neanche con i soldi e il successo si sentiva felice, sapeva di non essere dentro una bella persona, e tutto ciò che aveva conquistato era solo pura materia; anche le donne che erano state nel letto non gli diedero nulla se non un piacere momentaneo derivante da un atto sessuale; non si sentiva stimato e non si stimava e chi gli stava vicino si allontanava da lui; lo avrebbe fatto anche il cane se ne avesse avuto la facoltà. Chiese alla bidella dove poteva trovar il professor Grandi, e la bidella gli fece cenno di seguirlo. La bidella aprì la porta di un’aula e richiamò l’attenzione del professore. “ Si? Cosa c’è?”, chiese Grandi, dopo aver sentito il rumore delle nocche della mano sulla porta. “ Professore, mi scusi, ma qui c’è un poliziotto”. Alla vista del famoso commissario, nell’aula si sentì un vociare molto fitto. Grandi prese la situazione di petto: “Ragazzi abbiamo l’onore di aver nella nostra classe, lo sceriffo d’Italia”, e poi rivolgendosi al commissario: “ Dottore, dato che è un caso raro avere un personaggio del suo livello nella nostra scuola, vuole far due chiacchiere con i miei studenti? Credo che questa sia una buona occasione per far capire ai ragazzi come si lavora in polizia in modo tale da fargli comprendere quel lavoro. Magari qui c’è un futuro sceriffo”. Al commissario non piacevano i ragazzi, ma forse quella era già una buona occasione per vedere l’ambiente di Grandi e riassaporare un tempo ormai andato via. Si mise a sedere vicino al professore e cominciò a rispondere alle domande dei ragazzi, impazienti ma anche timidi. Le domande vertevano sui singoli casi, ma anche sulla televisione e sulla politica. “Adesso vi faccio una domanda io: come è il vostro professore?”, chiese Lombardi. Una ragazza con il pancino di fuori e il piecing al naso, mostrò al poliziotto una targa appesa al muro e sotto alla targa una foto del professore con i suoi studenti. Sulla targa vi era scritto: “Al nostro caro e mitico professore”. La campana suonò e i ragazzi furono invitati ad uscire dalla classe. Grandi e Lombardi rimasero soli. “Allora commissario, non credo che sia venuto qui a sentir una lezione di storia vero? Benché la storia noi tendiamo a dimenticarla oppure ce la fanno dimenticare”. “In effetti no, professor Grandi, sono venuto a far una chiacchierata con lei circa la morte di sua moglie; si tratta essenzialmente di chiarire due o tre cose, una pura formalità insomma”. Grandi parlò guardando verso la finestra: “Lei vuole che io ricordi dei momenti ancora freschi nella mia mente; non è stato facile andar avanti dopo la morte di Elena, ma mia amata moglie”, poi si girò di scatto verso Lombardi: “Ne possiamo parlare davanti ad un caffè qui a fianco?”. I due si avviarono verso il bar a fianco del Liceo e in quel tragitto, Lombardi si rivedeva ragazzo a fumare in bagno, oppure si rivedeva mentre usciva dal portone del liceo per andar a comprar una merenda proprio in quel bar. “Sa che io mi ricordo di lei a scuola?”, disse il professore. “Ma dai! Come è possibile?”, chiese con stupore Lombardi, essendo lui stato poco in vista a quel tempo. “Bèh commissario, forse sarà stata questo tragico episodio, ma ho molti meno anni di quelli che dimostro. Oltre che avere un buono spirito di osservazione per le persone. Io credo che a quel tempo frequentassi l’ultimo anno e lei faceva il quarto ginnasio, aveva la professoressa Imparato come insegnate di latino no?”, Lombardi fece un cenno affermativo con la testa e un sorriso che sembrava volesse dire quante ne aveva passate con quella professoressa vecchia, che usava metodi antiquati, e prossima la pensionamento. Grandi continuò: “Beh, forse lei non si ricorda di me, ma sono io che le ho fatto il battesimo al bagno”. Lombardi ora aveva capito dove aveva visto già quel tale; effettivamente dimostrava più anni di quelli che aveva. “ Mi ricordo che lei era insieme ad altri ragazzi, ed era l’unico a porre resistenza a quella stupidaggine; alla fine vi bagnavamo solo un po’ di capelli, nulla di più. Già allora mi colpì quel carattere indomito, e pensai che doveva essere alquanto testardo nelle sue decisioni. Avevo visto giusto?”. “Effettivamente…”, ripensando alle litigate con la moglie che lo etichettava sempre con l’appellativo di testardo, ma questo appellativo lo usavano anche i suoi superiori nelle indagini condotte da lui; gli chiedevano di non comportarsi da testardo. Sorseggiando il caffè il professore chiese: “Cosa vuole sapere?”. “ So che è doloroso ricordare, ma vorrei sapere come è morta sua moglie”. “In effetti non è molto salutare ricordare…mia moglie era a letto; lei aveva avuto una giornata stancante. Come lei ben saprà, Elena era coinvolta in numerose iniziative, doveva badare anche a me e alla casa. Dopo cena guardammo un po’ di televisione, ci piaceva guardare dei film di avventura presi a noleggio. Dopo il film mi disse che era stanca e se ne andò a letto. Io misi a posto la cucina e la seguii. Poi durante la notte, questo c’è anche nelle dichiarazioni rese già una settimana fa al suo commissariato, si è sentita male. Portata all’ospedale morì prima di poter far qualcosa per poterla salvare”. “I medici che le hanno detto? Perché è morta?”, chiese Lombardi. “Che si è trattata di una embolia, mi hanno detto; Elena era diabetica, ma una embolia…”, fece un sospiro di sollievo. “Senta tra voi andava tutto bene?”, chiese Lombardi in maniera secca. “ C’erano alti e bassi come in tutte le coppie normali; sa ero un po’ giù perché non posso aver figli, ma eravamo decisi ad adottare un bambino, i requisiti c’erano tutti”. “Ha più sentito i suoi suoceri?”, chiese già sapendo la risposta ma cercando di capire la reazione alla domanda. “In effetti no, dopo il funerale sono ripartiti presto, però li sentirò presto per vedere se vogliono riavere qualcosa della figlia. È finita la ricreazione commissario, i ragazzi chiamano e aspettano me”, frettolosamente il professore chiuse la discussione. “Bè professore va bene così…comunque so dove rintracciarla; vorrei solo chiederle di accompagnarmi dal professor Acerri, è un suo amico vero?”, il professore confermò, “Mi farò una chiacchieratine anche con lui”. Il professore Acerri gli raccontò qualcosa sulla morte di Elena e soprattutto sui comportamenti del professore e collega. Gli raccontò come sua lui e sua moglie gli erano vicini, ma gli raccontò anche che dopo la morte di Elena, il collega era diventato più incisivo a scuola; come se la morte della moglie gli avesse fatto cambiar marcia. I ragazzi lo adoravano e lui era molto coinvolto nelle iniziative a loro favore. Tra poco sarebbe andato in pensione il preside e lui aveva fatto domanda per prendere il suo posto. A scuola non c’ era nessun contrario a quella possibile candidatura. “Senta Acerri, posso farle una domanda più maliziosa? Se fosse morta mia moglie, con tutti i guai che mi sta dando ora che è separata da me, sarei contentissimo, ma lei, per esempio, morta la sua, avrebbe trovato la forza per diventar un qualcuno all’interno del liceo?”. Acerri era un po’ titubante nella risposta: “Non so…certe situazioni bisogna viverle, è facile rispondere da fuori…”. Lombardi sbatté le dita sulla cattedra in segno di disappunto e disse: “Capisco la sua risposta diplomatica…ok, è ora di andare per me”. Si salutarono con cortesia. Gerosolimo lo aspettò in macchina in piazza XX settembre, era intento a parlare con delle ragazzine che lo avevano riconosciuto come personaggio televisivo. Stava parlando e rispondendo alle domande fatte da quelle ragazze, con sorrisi compiacenti, quando Lombardi lo richiamò all’ordine e gli ordinò di accendere il motore della macchina. Entrati nell’auto, il commissario gli impartì degli ordini: “Gerosolimo senti tu domani trovi chi è il medico della signora defunta. Io domani sono impegnato in una riunione. Poi preparati che si va a Milano a parlar con i genitori della donna, quindi mi raccomando, dì alla tua ragazza che non ci sei per due giorni”. “Commissario, io non ho una ragazza”, disse sbalordito il ragazzo. Il commissario lo guardò mentre quello guidava e disse: “Era una battuta!”. Il telefono di lavoro suonò ed era il p.m.: “Pronto, sono Lombardi chi è? A dottore è lei! Sì sono andato a trovare il Grandi. Che ne deduco? È presto per dir qualcosa. È una persona che riscuote un certo successo all’interno della scuola, forse uno dei pochi professori a riscuotere consensi tra i ragazzi, sarà che io li odiavo quasi tutti da ragazzo. Forse è cambiato il mondo! Comunque sì, sono in macchina. Che faccio adesso? Penso che andrò a Milano a parlar con i genitori di Elena, da qualcuno sarà partito l’ordine o la richiesta di far domande in giro su questo finto caso o no?( frecciatina al p.m.); mi porto anche Gerosolimo, così forse impara qualcosa su questo lavoro”. Il p.m. rispose che per lui andava bene così ma aggiunse: “ Mi raccomando a come vi muoverete lì”. “La ringrazio per la premura, ma andiamo a far solo due chiacchiere con due persone e basta”, rispose il commissario incredulo al consiglio del capo. “ Non mi riferivo a quello, mi riferivo che a Milano ci sono tanti locali, dovete stare attenti ai paparazzi, lei è così famoso…(frecciatina al commissario); mi raccomando lei è lì in forma ufficiale, non ci faccia fare brutta figura”. “Sempre spiritoso lei! Credo che non ci sarà nessun problema da questo punto di vista”. Chiuse la telefonata in maniera fintamente cordiale e poi si rivolse di nuovo all’autista: “Gerosò, senti allora domani mi dici chi è il medico, poi le informazioni me le dai il giorno che partiamo per Milano, io domani sono impegnato per il partito”. “Per la crisi al Comune? Eh sì si va a nuove elezioni, dobbiamo vedere chi è il candidato della nostra coalizione”. Si salutarono una volta che il ragazzo accompagnò il suo capo a casa sua; quest’ultimo aggiunse: “Esci un po’, vatti a divertire no? Hai una faccia smunta, ti manca proprio una ragazza”. Gerosolimo fece un sorrisino ma penso in sé: “Alle volte proprio non lo sopporto!”.
La neve a Sulmona non c’era più, ma era rimasta per le strade quelle pozzanghere nere molto fastidiose. Lombardi era seccato da questa situazione soprattutto vedendo il cane che, correndo e scorazzando per la Villa comunale, si sporcava tutto. Nella sua macchina si era attrezzato bene per pulirlo: una pezza bagnata, un asciugamano, e una bottiglia d’acqua con scodella per farlo bere dato che, per i lavori di cui l’area era investita, non vi era possibilità di trovar un po’ d’acqua pulita per il quadrupede. Lombardi era impegnato anche politicamente, egli non aveva degli ideali ben precisi, non sapeva la differenza tra socialismo, comunismo, liberalismo e riformismo, ma aveva un intuito da paura, pur cui non gli fu difficile, per lui, scegliere la parte politica più forte al momento; avendo avuto offerte sia da destra che da sinistra, scelse quest’ultima, in momento in cui il berlusconismo sembrava perdere seguito tra la gente. Segretamente il commissario ammirava quell’uomo che da pianista si trasformò in imprenditore attrezzando televisioni, facendo costruzioni, costruendo un partito da zero rivoluzionando la scena politica italiana. Lo ammirava soprattutto perché aveva una maestria nell’usare il mezzo televisivo con una disinvoltura allucinante, potendo far uscire dalla sua bocca tutto e il contrario di tutto senza che qualcuno riuscisse a dir che si era contraddetto. Il commissario non era invece un leader, lui si riduceva a partecipare alle varie riunioni non per il suo valore politico, ma per il fatto di essere lo sceriffo, uno degli uomini più famosi della penisola italiana. A lui ciò andava bene, ma nello stesso tempo, usava questa possibilità per cercar di guadagnar terreno in quel campo e puntar in alto, tipo ad un seggio nel parlamento, così da smettere i panni del poliziotto, così stancanti, per approdare in un posto a dir parole vuote, e a far un po’ di casino tra i banchi più importanti d’Italia. Era anche molto divertito dal vedere come si agitava la gente in quelle riunioni: tutti intenti a cercar di chiedere favori, gli uni agli altri e ricevere qualcosa in cambio; tutti a far sorrisi di facciata con l’ assessore di turno, anche se prima quello lì era considerato un cretino o deficiente; tutti a salutare tutti in una concordia tale che poi si rimaneva sbigottiti quando, negli stessi luoghi, si assistevano a rotture insanabili per non avere soddisfatto questo o quell’altro tizio nel gioco delle poltrone. Quella riunione era importante perché era la conseguenza della caduta del governo di centro destra nella città, un governo a detta di tutti sterile che portò la città ad un immobilismo tale quasi da perdere la speranza di poter riavere una città florida e vivace come un tempo. In quella riunione si doveva parlare di chi come candidato alle elezioni sarebbe stato più giusto presentare, candidato che avrebbe unito la coalizione e avrebbe potuto catalizzare i voti fluttuanti dell’elettorato. Quando entrò il commissario, vi furono pacche sulle spalle, sorrisi d’occasione e discorsi su quello che aveva detto nella sua ultima apparizione televisiva. Gli aveva tenuto uno dei posti al tavolo più importante, quello degli anziani della coalizione, questo ovviamente non per i suoi meriti politici, ma per il suo carisma televisivo e per la pubblicità che portava, ma lui, da volpe scafata, sapeva benissimo tutto ciò e lo sfruttava a suo vantaggio. Il grande vecchio della coalizione fece la sua nota introduttiva, facendo capire che questa era una occasione da sfruttare, la mancanza di sfiducia data ai concorrenti a causa delle loro cattive azioni, la loro incapacità a rapportarsi all’elettorato, erano elementi che avrebbero potuto sfruttare sfruttar a loro vantaggio. Gli applausi al suo discorso venivano scanditi e incoraggiati dal seguito che quel leader aveva sempre. A modesto parere del grande vecchio, l’unico modo per sfruttar questa situazione a proprio favore era quella di avvicinare tutti i partiti della coalizione intorno ad un uomo forte, capace, proveniente dalla società civile, che avrebbe potuto mettere d’accordo, politici e elettorato, che avrebbe potuto portare Sulmona a livelli di 20 anni fa, quando il lavoro si trovava, le piazze erano piene, e tutti erano più felici. Quell’uomo, il grande vecchio, lo aveva individuato nel commissario Lombardi. Quest’ultimo, che aveva seguito a mala pena il discorso, era intento a sorseggiar un po’ di vino locale, quando sentì il suo nome uscir dagli altoparlanti sgangherati presenti in sala; in un micro secondo un applauso gli fu tributato, sentì numerose pacche sulle spalle, ed era stato invitato a salire sul palco a parlare. Con un po’ di imbarazzo, ma nello stesso tempo soddisfatto, salì, con tempi televisivi misurati, come se avesse vinto un oscar, sul palchetto. Prese il microfono, e appena ringraziò per la fiducia, un applauso scrosciò come un una diga che si infrange. Dal fondo della sala si levò un grido: “Lombardi, Lombardi, Lombardi!”. “Calma, calma”, disse, usando le mani per calmar quella gente, “è un grande onore per me poter rappresentar questa coalizione; la decisione per me è importante, perché dire sì stasera, significa lasciare la mia professione che tanto mi ha dato in termini di professionalità, di notorietà e soddisfazioni personali”. Applauso. “La decisione su una mia accettazione alla candidatura la prenderò a breve, ora non so che dire, mi avete preso in contropiede”. E furono pacche sulle spalle, battutine per farselo amico e giù di lì.
Il professor Grandi, ogni mattina andava al cimitero, perché voleva che l’urna con annessa foto della moglie, fosse sempre decorata con fiori freschi e profumati, perché la Elena era bella e profumata ogni mattina: l’aroma del caffè per la prima colazione si mescolava alla freschezza della sua pelle, quella pelle che oramai era ridotta, insieme ai suoi occhi splendidi, ai suoi capelli sempre perfetti e a quelle unghie sempre curate, ad un mucchio di cenere. Non dormiva più bene la notte, si vegliava di continuo, afflitto da un sogno che non riusciva a ricordare al momento della sveglia. Nonostante la mancanza di immagini rimanevano però alcune emozioni di quel sogno che assomigliava sempre di più ad incubo: si svegliava sudato, con respiro affannato, con sensi di rimorso. Ma per cosa si chiedeva lui. Non essere riuscito a far tutto il necessario per salvar la sua donna? Oppure non impegnarsi nella scuola? Oppure per non insegnar quella voglia dio vivere che sua moglie voleva trasmettere agli altri. Un leggero venticello girava all’interno dei corridoi del cimitero, si trattava di un venticello bastardo, facente parte di quei venticelli che urtano la gola, che ti fanno venir il raffreddore prima di starnutire, che ti fanno ammalare prima di dire a qualcuno che ti senti un po’ di febbre. Mirava quella foto di Elena, con i denti bianchissimi, e con il vestito che di più piaceva. Metteva i fiori vicino l’urna, belli freschi, come avrebbe voluto lei; se fosse stato per lui, ci sarebbe stato anche la sua canzone preferita, quella di quel cantante di cui non ricordava mai il nome, e per questo fatto, veniva sempre rimproverato dalla moglie. Anche se non poteva metterla su un disco, quella canzone la sentiva nella mente come se ci fosse stato il cantante a suonarla lì con il suo piano. Una lacrima usciva dal suo occhio destro e una parola dalla sua bocca: “Scusami”. Ogni giorno era la solita litania e dopo quella “cerimonia” il suo compito era andar a scuola ad insegnar ai suoi ragazzi la storia e la filosofia; il professore era convinto che gli studenti potevano appassionarsi alla storia quando questa era più vicino a loro, preferiva saltar i capitoli più remoti per andar a quelli più attuali, dal fascismo in poi. Era anche convinto che far nascere una sana discussione sulla seconda repubblica avrebbe fatto bene, e che parlar di quello che le trasformazioni della società contemporanea erano più importanti da osservare rispetto a cose del secolo scorso. L’entrata di Berlusconi in politica, il cambiamento della scena politica e il fantomatico bipolarismo, il nuovo scontro tra blocchi diversi, uno volta Usa contro Urss e oggi Occidente contro Oriente; l’ ascesa della Cina a potenza indiscussa, le nuove tecnologie. Lui era l’unico professore che usava anche le sue ore per spiegare ai suoi ragazzi come usare Internet, anche se alle volte era lui a dover imparare u po’. Si chiedeva che posto avrebbero avuto i suoi ragazzi nel mondo, se usciti dalla sua classe, i suoi alunni avessero saputo la storia della seconda guerra mondiale ma non quella che era successo da Tangentopoli in poi? Avrebbero vissuto una vita senza radici, senza la base sulla quale confrontar le loro idee e fare delle scelte, serie, ponderate. Avrebbe voluto che quello che lui stava ora insegnando ai ragazzi, il suo maestro lo avesse insegnato a lui. Questo ormai era il suo ruolo, in una scuola fatta da gante che con pochi soldi deve inventarsi sempre qualcosa di nuovo per affascinare dei ragazzi finti anticonformisti, no global, ma con il cellulare, che combattono McDonald, ma che cercano l’abito firmato fatto da bimbi africano di 10 anni. Ragazzi che vanno la sera al centro sociale, con la barba incolta per poi togliersela l’estate per andar al mare con la barca di papà. Quelli che vorrebbero la pace nel mondo, ma che dimenticano che per eliminare delle ingiustizie, alle volte bisogna venir alle mani forse, quelli che hanno tutto, forse oggetto di invidia di genitori che non hanno avuto nulla e tutto si sono costruito. Ragazzi con dei genitori che spingono le figlie a prostituirsi in televisione per poter loro apparire in una trasmissione e tifare per il proprio figlio. Ragazzi che vivono in un mondo fatto di illusioni, dove ti fanno credere che non serve studiare per diventar famosi, ma basta bellezza e prestanza fisica. Ragazzi che vogliono tutto e subito e non hanno la pazienza di aspettar il loro turno. Grandi non è che poteva far miracoli, ma tentava almeno di metter una pulce nell’orecchio ai suoi alunni. Non voleva spiattellar informazioni, ma voleva che fossero essi stessi ad aver la voglia di conoscere. Forse qui sta proprio la scuola, metter la sete di conoscenza, più che inculcar a ragazzi distratti dall’ultimo messaggino ricevuto in classe, nozioni che rimangono sospese in aria. Dopo queste riflessioni, il professore fece in sospiro e si diresse verso la scuola tramite una strada che poteva percorrere ad occhi chiusi.
Lombardi era già partito per Milano con il suo fido Gerosolimo per tentar di capire che volevano i genitori della Elena. In fondo dalla chiacchierata con Grandi, pensava che quella era stata un’ indagine alquanto inutile e che quel tempo era tutto sprecato, ma al comando del p.m. non poteva dire no. Certo che i suoi pensieri erano rivolti anche alla politica, e alla richiesta di candidarsi. Essendo lui un uomo che della strategia fa il suo mestiere, sapeva che per essere sicuro di una sua elezione doveva finire la carriera con il botto e non con un non caso. Intanto si rivolse al suo fido: “Gerosò, sai chi era il medico della signora Elena?” “Ovviamente non è stato così difficile, tra l’altro è un suo amico”, rispose lui. “Ma chi è Ferrarese?”, disse il commissario, potendo indovinare subito. “Si commissario; ho provato ad intercettarlo, a chiamarlo al telefono, ma non è stato possibile. Era irreperibile ieri”. “Non ti preoccupare, adesso lo chiamo io, perché se vede un numero che non conosce non risponde perché pensa ad un paziente che rompe le scatole fuori orario”, rispose Lombardi, con l’aria di chi conosce i suoi polli. “Enrico, mi senti? Lo so che non si sente benissimo, ma sto in macchina. Sto andando a Milano. Tu dici che devo accettare la candidatura? Bè non è facile per me lo sai, sarebbe cambiar vita e abitudini. Credi che potrei sfondare in campo politico? Anche io non credo che sia così difficile. Comunque, senti sto andando a Milano per lavoro, volevo chiederti una cosa: ti ricordi di Elena Grandi? Che mi sai dire? Si lo so che hai comunicato tutte le informazioni a Mariani e alla scientifica, ma dico sul personaggio, sulla persona ecco. Era bellissima? Lo immagino! ma oltre questo? Veniva spesso? Dici di sì? Dici che l’ hai vista un po’ strana nelle ultime visite di controlli? Senti ma perché così giovane, già faceva tutti quei controlli? Dici perché in famiglia ci sono stati casi di embolia? Prendeva medicinali? Nulla tranne l’insulina? Va bene. Senti poi ci mettiamo a cena a parlar di un mio possibile coinvolgimento in politica ok? Ti saluto e salutami tua moglie”. Richiuse la telefonata e si rivolse al guidatore: “Il medico mi ha detto che la signora negli ultime tempi era un po’ strana, era molto ansiosa. Ovviamente Enrico non era il suo confessore e quindi non può sapere l’origine dell’ansia, esclude però un evento di tipo medico. Ora non ci rimane che andar a trovar i genitori, hai imparato la strada?”. Gerosolimo rispose stizzito: “Dottò e il navigatore che lo abbiamo a fare?”. “Ehhhh Gerosolimo che c’è? Nervoso? Comunque l’importante è che mi porti da loro”. Non parlarono per un po’.
Si ritrovarono nella villa dei Signoris, i genitori di Elena Signoris in Grandi. La villa era a dir poco meravigliosa. Entrandoci Lombardi si chiedeva come ha potuta Elena lasciar quella vita agiata per vivere con un professore delle superiori a Sulmona, in un appartamento non molto più grande di quello che abitava lui. Si rispondeva anche: “I misteri della vita!”. Si misero tutti e quattro, Lombardi, Gerosolimo, i genitori di Elena, intorno ad un tavolo rotondo, imbandito di pasticcini e the al limone o con il latte in puro stile inglese. Dopo i convenevoli, Lombardi fece una prima domanda: “Signori miei ma come mai credete che vostra figlia sia stata uccisa? E perché ve la prendete con Grandi? Io ho parlato con il professore e mi è sembrato una brava persona”. “Caro Lombardi, la conosciamo di fama, sappiamo del suo intuito che non sbaglia mai. Ma lei non deve dubitare delle intuizioni di un genitore. Noi non sappiamo se qualcuno l’abbia uccisa in effetti, ma Elena è stata qui pochi giorni prima che morisse. Non veniva mai qui su. Sa, noi non eravamo d’accordo con la sua decisione di andar a vivere a Sulmona; Grandi è sicuramente una brava persona, ma Elena forse meritava di più. È sempre stata un po’ ribelle come ragazza e voleva far di testa sua. Noi, nonostante le critiche non le abbiamo mai fatto mancar il nostro affetto”. Il padre era molto fermo in queste sue affermazioni, mentre si notava come la mamma era ancora affranta dal dolore. “Come mai venne su? Che motivazioni prese?”, chiese lo sceriffo. Intervenne la mamma: “Io capii subito che c’era qualcosa che non andava, ma non capivo cosa, e lei diceva sempre che era una visita di cortesia”. “Aveva problemi con il marito che voi sappiate?”. “Non credo, me lo avrebbe detto, anzi mi disse che stavano progettando di aver un bimbo”, evidentemente la figlia non disse nulla ai genitori dell’incapacità del genero ad aver figli. “Posso veder la stanza di vostra figlia?”, chiese lo sceriffo e fu accontentato; appena fu lasciato con il suo inferiore disse: “Bene ora cerchiamo Gerosò!”. Il capitano rispose: “Che dobbiamo cercare?”. Lombardi sbottò: “Tutto ti devo dì! Qualunque cosa ci possa aiutare nelle indagini, ti va bene così?”. Non ci fu risposta e cominciarono a cercare e trovarono dentro un cassetto un pezzettino di una scatola di una medicina il cui nome era Tri-Cyclen. Lo trovò Gerosolimo tutto soddisfatto. Il commissario se lo mise in tasca e uscirono dalla stanza. Diede il suo numero privato ai genitori di Elena e salutarono i due che chiesero allo sceriffo d’Italia di concludere al più presto le indagini, anche perché era tutta pubblicità negativa per l’azienda di famiglia. Appena usciti da villa Signoris, Lombardi telefonò di nuovo a Ferrarese. “Scusa Enrico prometto che non ti disturbo più, ma devo farti una domanda”. “Dimmi tutto lo sai che per te ci sono sempre no”, rispose il dottore invitando intanto un paziente a spogliarsi e mettersi sul lettino. “Che cosa è il Tri-Cyclen? È per il diabete?”, chiese il commissario. “Caro Lombardi, tu saprai tanto di indagini, ma di medicine non ti intendi per nulla. Il Tri-Cyclen è un prodotto recente; è stato già approvato dalla Food and Drug Administration negli Usa per il trattamento di acne in donne che intendono assumere un contraccettivo orale e che non avevano avuto risultati con i farmaci per il trattamento dellacne. Ma perché mi fai questa domanda?” “Perché lo usava Elena, lo prescrivevi tu?”, chiese Lombardi. “Ovviamente no! Il marito era sterile che serviva? A meno che…”, intuì il medico. “Eh si a meno che! Ora dobbiamo trovar quale medico qui a Milano prescriveva questa medicina alla donna e dobbiamo scoprire chi era l’amante”. Il commissario Lombardi entrò di nuovo nella villa e chiese alla mamma di Elena qual era il suo medico e la signora, che non aveva proferito nessuna parola, fino ad allora, indicò il loro medico di famiglia. Passarono direttamente presso lo studio del dottor Berardinucci, non facendo la fila e non passando davanti ai rappresentanti, che di solito hanno il privilegio di passar davanti agli altri. Era stato lui a dar la medicina alla signora, in quanto la Elena le aveva raccontato il problema dovuto all’assunzione della pillola dovuta ai rapporti con il marito. Alla domanda se il dottore sapesse dei problemi del marito, la risposta fu no. Il dottore era coetaneo della Elena, avevano fatto le scuole insieme a Milano: “Era una mia grande amica, ed anche quando si era trasferita in quel paesino in mezzo alle montagne, avevano una corrispondenza telematica e ci telefonavamo ogni tanto. Ho fatto anche il testimone alle nozze. Cosa penso di Grandi? Bè lui non lo conosco bene, però gli dissi che si doveva considerare fortunato ad aver trovato una donna così solare, benestante, con una voglia di vivere come si trova raramente nelle persone. Se era geloso di me e del rapporto che avevo con Elena? Questo non glielo so dire, forse sì e se lo era ne aveva parlato con la moglie, non con me. Ora scusatemi che ci sono pazienti che aspettano”. Lombardi salutò ma prima di uscir dallo studio chiese: “Lei che avrebbe fatto se una donna come la Elena l’avesse tradita?”. “Bè se una donna tradisce lo fa perché l’uomo non riesce a dar a lei quello che vuole, e la donna lo cerca in un altro”. “Lei giustifica il tradimento?”, chiese il commissario. “Dottor Lombardi mi vuole metter in bocca parole che non ho detto; dico solo che se Elena ha tradito, e sottolineo se, vuol dire che Grandi era un pazzo perché non dare tutto se stesso a quella donna è da pazzi. Purtroppo se ha tradito o no, da lei non potremo più saperlo, giusto?”. “Giusto”. Rispose laconicamente. Nella mente dello sceriffo d’Italia cominciava a formarsi un sottile sospetto, perché la gelosia è uno dei moventi più diffusi all’interno dei reati contro la persona. L’uomo, benché con addosso chili di cultura, di professione e di belle parole, ridiventa un lupo quando vede la sua donna nelle braccia di un altro, alle volte non c’è bisogno neanche di veder, basta un leggero sospetto su quello che la donna avrebbe potuto fare. D’altronde l’amore ha questa doppia natura: felicità, sorrisi e voglia di vivere, dolore, lacrime e sangue; anche il più mite uomo sulla terra avrebbe potuto far pazzie per amore, forse era il caso di Grandi. Mentre Lombardi e Gerosolimo andavano a Milano, nella sede a Sulmona si erano ricostruiti gli spostamenti delle ultime settimane della Elena e le sue telefonate, molte al numero del dottore; la Elena andava negli ultime mesi a Milano ogni due settimane, “Commissario, secondo me quel dottore lì, con quei baffetti, non me la racconta molto giusta”, disse Gerosolimo in macchina al suo superiore mentre stavano tornando a Sulmona. “Gerosò, neanche a me piace assai, secondo me aveva una tresca con la donna”, rispose lui. “Allora che si fa lo arrestiamo?”, chiese Gerosolimo. “Proprio no, prima di tutto perché anche se ha messo le corna a Grandi, non ha commesso reato, poi perché, sebbene sia truffaldino d’amore, non ce lo vedo come assassino”.
Il professor Grandi intanto era diventato Preside della scuola, poiché il preside era andato in pensione anticipata. In quei mesi quel professore, invecchiato non tanto per l’età, ma quanto per il dolore causato dalla mancanza dell’adorata moglie, aveva creato tanto entusiasmo tra i gli studenti che era ben voluto; i colleghi lo contattavano per esporre qualsiasi idea che avrebbe potuto essere tradotta in progetti per i ragazzi e per fa crescere il livello di istruzione oltre quello previsto dalla scuola. Si era così parlato di questo professore e delle sue iniziative che erano cresciuti anche il numero degli iscritti al liceo per il prossimo anno. Era il primo ad entrar a scuola e l’ultimo ad uscir, era quello che parlava e si confidava con i giovani, era un buon professore come pochi se ne ricordavano in quella scuola. L’ultimo progetto era legato ad un seminario sull’educazione sessuale per i giovani, fatto da giovani per i giovani. Un giorno venne richiesto l’intervento anche del nuovo Preside per parlar di amore. Prima di entrar un aula Grandi vide la volante della Polizia fuori, in piazza. Vide entra Lombardi e il suo assistente. Grandi gli andò incontro e gli disse: “Dottore, posso far la mia ultima lezione?”, disse il professore. Il commissario annuì. Quando entrò in aula ci fu un grande applauso da parte dei ragazzi. “Grazie ragazzi, così mi mettete a disagio”, una lacrima uscì dai suoi occhi. “Sono qui non tanto per parlar di sesso, perché qui ci sono bravi insegnanti che sanno dire bene certe cose, io posso parlar dell’amore. La nostra scuola è intitolata ad Ovidio, un grande poeta, scrisse un libro che parlava dell’arte di amare; mi chiede se veramente esiste un modo unico per amar una persona, se è possibile scrivere e lasciar istruzioni a chi legge su come sedurre e tener a sé una donna. Io questo non lo credo, credo che ogni coppia debba costruire il proprio affetto sulle loro conoscenze, sulle loro esperienze. Io così ho fatto con mia moglie. Le ho dato tutto quello che avevo, peccato però che il mio tutto non era abbastanza, a causa della impossibilità di generare figli. Ma noi ci volevamo bene”, nella sua voce ci fu un attimo di indecisione, “fino a che… fino a che lei non mi disse che aveva un altro, mi disse che l’ossessione mia che lei si allontanata da me a causa di questo mi difetto era sbagliato. Ecco l’amore qui mi ha usato, l’aspetto negativo dell’amore mi ha manovrato e mi ha fatto avvelenare mia moglie con le stesse pasticche che prendeva lei per evitar di avere dall’amante quello che io non potevo darle cioè un figlio. State vicini a chi amate e non fatevi prendere dalla rabbia per cose che nascono da errori vostri. Io in questi giorni ho dormita male, mi sono svegliato con la consapevolezza che ho ucciso mia moglie. Commissario venga”. Il silenzio fu tetro nella stanza, l’unico rumore era fatto dai passi degli agenti che presero in consegna il professore.
Ci fu una conferenza stampa affollata; le televisioni parlarono di nuovo dello sceriffo d’Italia che aveva colpito ancora. Il Grande Vecchio della politica gli diede l’ennesima pacca sulla spalla, per aver scovato un assassino incredibile. Dopo le numerose domande dei giornalisti, il commissario ringraziò tutti, si alzò e se ne andò. Il p.m. si congratulò con il commissario e gli chiese: “Ora che succede?”. Il commissario disse:”Dottore, la devo ringraziare, perché non credevo in questo caso; che succede ora? Succede che mi candido e mi butto in politica. Devo cavalcare l’onda”. Salutò Gerosolimo e il p.m. e andò a casa. Lo aspettava Sally.
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