Pubblicato il 15/12/2007
Si chiamava Giovanni. Non sono riuscito a cogliere, invece, quello della donna sulla carrozzella seduta al suo fianco. La creatura debilitata dall’haltzaimer, col volto rugato dall’età era, comunque, sua moglie. Non ebbi il coraggio di staccare lo sguardo dall’evolversi di quegli eventi famigliari che mi si dispiegavano davanti. Qualcosa mi tratteneva. E poi avevo stranamente tempo. Tempo per loro. Per non dare troppo nell’occhio estrassi dallo zaino un libro. Di quelli che si portano appresso perché “non si sa mai” ed infilai gli occhiali scuri. Un regalo di Toni ma usati così di rado che avevano tutto l’aspetto di essere nuovi. Rimasi appostato dietro i miei occhiali ad osservare i due: Giovanni non smise neppure un solo istante di accarezzare quel volto e quei capelli scomposti dal tempo. Accompagnava l’incedere delicato della mano con brevi parole appena abbozzate. Forse cantò una melodia. Da dietro i miei occhiali, pensieri di lucida razionalità mi fecero pensare che la donna non avrebbe potuto cogliere nulla di ciò che Giovanni stava facendo per lei. Quelle carezze, quelle frasi, quegli occhi che cercavano un incontro. Nulla di tutto ciò sarebbe giunto alla donna. La malattia era una cortina impenetrabile. Poi la ragione fu scardinata da pensieri più densi che mi fecero cogliere che certe parole non si odono con le orecchie. Così neppure c’è bisogno di un cervello efficiente per farsi nutrire da carezze, sguardi, tenerezze. Sono atteggiamenti che qualcosa di più profondo carpisce ed elabora. Oserei dire l’anima. Colsi con nuova luminosa razionalità che la donna era mantenuta in vita dall’amore delicato di Giovanni. Non dalle flebo che freddamente penetravano, goccia dopo goccia, le sue vene. Poi uno sguardo! Il mio pensiero corse a Toni. E fu un pensiero di gratitudine per avermi regalato quegli occhiali. Senza di essi le lacrime che in quel momento rigavano il mio volto avrebbero smascherato la mia commozione. Lo sguardo durò poco più di un istante. Ma io lo porto ancora stampato nell’anima del mio cuore come qualcosa di vivo, presente, palpitante. Giovanni e la donna incrociarono i loro sguardi per un solo attimo. E fu uno sguardo sincero che trascendeva il cattivo funzionamento del cervello della donna. In quel momento trionfò la speranza. La certezza che l’amore è destinato a vincere.
Non ebbi più l’occasione di rivedere quelle creature ma se chiudo gli occhi colgo ancora la bellezza di quell’istante e non so quante volte ho ringraziato il cielo per avere fatto incrociare il mio sguardo con un’icona d’amore gratuito e senza confini. Quell’amore che lega terra e cielo, che fa respirare; sperare ancora.
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