Fuori dalla tua malattia sono
come mondata, la camicia - pula
su cui sparsero sensi e pus
i giorni andati a male, finalmente
sgombra, la notizia della sanezza redatta
in triplice versione dal cerusico
del buon rientro, di una ravveduta
indagine. Fuori dalla tua malattia
stanno le caramelle, gli abiti buoni
e l'odore di naftalina che arriva asettico
dai cassetti sbavati dall'inverno - Replay
usata da un mancino. Adesso saprei
riaccomodare il letto, montare a neve
e forse perfino steccare il muro con
mensole - applique in coordinato.
Adesso potrei fare della casa un'ovazione,
essere tutta fuoco e raccomandazioni.
Ma si! Fuori da te le stagioni hanno di
nuovo color carta da zucchero, la schiena
è inamidata e ritta, le cosce stanno intorno
ai femori con certezza e non avverto più
quella frizione fra le mani a sbalordire
le mie vene con un giro di sangue in più.
Perchè poi, forse, la vita è proprio questo:
stare fuori da te, come quando da bimbi si
svezza dalla culla al materasso, ring senza
corde dove tutto è ammesso, ed il sonno
è senza braccia. Si. Adesso va bene.
Faccio meglio i calcoli e non ho più le spalle
in corto o gli occhi in piena.
Mi rimane solo qualcosa fra la bocca e
il sabato, dicono andrà via pure quella.
Ecco, è come se ci fosse stata tanta
fame irrisolta a metà di quello spazio.
Una boa- Pinocchio vendeva
l'annegamento in confezione da ancoraggio.
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