Anche il più lontano dei volti
parla di una madre. Corpo a corpo
avevi un segno sulle labbra come un fiore
che ti faceva respirare
anche sotto tanta neve
lassù al pianoro
quando il fieno è già al secondo taglio
come ora
il mio sguardo si è fermato,
dove la quercia si carica dell’ombra
dove non riesce più a germogliare,
nella carne pallida, ed è ugualmente felice
prima di sparire. Ti vedo danzare
di nuovo, come un corallo rossovivo
riprendere dall’inizio della morte
in questo spazio aperto mai finito
rispondo alla chiamata
nel gesto più semplice, dei singhiozzi,
scorrono oltre il sale le mie mani
e con il tuo spirito mi tocco:
fiorisci, e respiro più a lungo
sospiri, ed io lo stesso suono luminoso
che ti ha portato via
disarmata e nuda
credo nel credere degli alberi, nel canto
più antico della pazienza, del polline
quando ricomincia, fecondo e vago,
per condividere la gioia. Sei rimasta
piantata per terra soltanto/ morta/
con rispetto, come un’opera umana
del passato, emetti suoni
incidi ancora sulla luce
i passaggi dei sogni e della pioggia
con un odore di muschio/ vivi/
fai ancora meridiane . sui fianchi dell’altura
mi sono costituita al tagliaboschi
:sono io le garze appese ai rami, tra le ossa
l’accudisco, mentre regge il giorno con la fiaccola
e mi offre un fascio di papaveri, di spighe,
dal suo tronco corinzio. Come un rosone
orienta la mia preghiera della notte
dalla finestra. Tra il viso di Bruno e i suoi arnesi
si è fatto come il vuoto
di una contemplazione montanara,
e di un pastore . E’ un atto di pietà l’assolvermi :
“che la quercia riposi dentro il suolo
per onorare i morti” Senza lutto,
ne coglie la bellezza. E tutto è ordinato
per restare. con il timbro e il suono del silenzio
nella gola dice sì , poi, con una mano alzata
sul pianoro, avverte la mutazione della luce
e dove l’aria profila il movimento
concede il suo Senhal: rimane tua
Opera: Manuela Carrano, Alberi su garza
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