Seduta come una montagna
ti offro il mio silenzio
con una mano sola, e una preghiera,
avvoltolata nella manica,
dritta nella luce, senza peso
con lo sguardo azzurro io ti cerco
nella nostra forma mobile di eternità,
inalando spazi la prateria dell’anima
e un nervo scoperto ai confini dell’umano
che santifica la perdita in candore
Sul tetto del cedro del Libano,
a guardia dell’eredità,
vi era appena una voce, e lo sguardo solo
percepiva dal basso le parole,
dalla selce primordiale,
con tutto il buio sulla schiena
è un rumore bianco,
chiamato dall’infanzia
un posto in fondo al cuore,
dove tutto ha inizio
non c’è erba più erba dell’erba
scossa dal vento di un sogno
che attecchisce alla terra
Tornerà dentro l’inverno con un fiore sulla tavola di cera dell’ascolto
a mangiarsi la gioia trattenuta
alleggerendo il fiato fino all’inno
nel pane sostanziale
più prossimo a quel volto,
accogliendo sulla lingua le ossessioni
di piccoli dolori, di quadri che si bucano
negli angoli più esposti, pieni di pudore
La voce si congeda sul terriccio
cercando una tana per dormire
negli umori dell’anima, si addentra,
mettendo una parola accanto all’altra,
un'essenza di luce che l’aumenti,
che la tenga in vita-
dove la ferita è il solco
che attende per la semina,
premendo nella bocca i grani,
le tracce favolose-
per ritrovare la strada
in un’acqua più grande di noi,
per affacciarsi interi,
con i volti illuminati, e versi brevi
nell'ora più acuta che ci viene
addolcita
nell’esicasmo: "per te”
cerco di pregare
come prega una montagna
restando come in volo
nel fondo del respiro
mormorando a mezza voce
il canto delle rondini
nuovamente pari a stelle,
prima di noi, felici
Opere: Okusai, Monte Fuji
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