Pubblicato il 04/02/2020 21:25:53
Lo sciopero generale del marzo 1944 che, sotto l’apparenza economica non riusciva a nascondere il suo significato politico, è un vero gesto di sfida delle masse popolari alla tirannica dominazione nazi-fascista. Può assumersi a simbolo di una trasformazione maturatasi rapidamente, da questo momento le forze popolari salgono alla ribalta della lotta di liberazione per condurla senza esitazione fino al suo esito vittorioso attraverso i loro organi rappresentativi, i Comitati di Liberazione Nazionale. La mattina del 1° marzo 1944 a Torino, non tutti gli operai poterono recarsi al lavoro, perché, durante la notte erano stati fatti saltare i binari della ferrovia. In molti stabilimenti gli operai raggiunsero i posti di lavoro, ma rimasero inattivi. Alla Fiat Mirafiori, dove le maestranze erano circa 15.000 e in qualche altro stabilimento, commissioni di operai chiesero di conferire con le rispettive direzioni. Tale richiesta fu respinta. Stanchi di stare senza far niente durante l’ora della refezione, gli operai abbandonarono le officine senza bollare la cartolina d’uscita. La manifattura tabacchi fu fatta saltare la centrale elettrica. In quella prima giornata si ebbe un’astensione attorno al 50 per cento. Il prefetto, d’accordo col Comando tedesco fece affiggere un manifesto nel quale era scritto che se gli operai non riprendevano subito il lavoro, tutti gli stabilimenti sarebbero stati chiusi a tempo indeterminato. Le maestranze sarebbero state licenziate con la perdita di quanto era loro in credito e un determinato numero di operai sarebbe stato deportato. Agli esonerati dal servizio militare sarebbe stato tolto l’esonero e inviati ai corpi. A questa provocazione i lavoratori torinesi risposero astenendosi dal lavoro. Alle maestranze già in sciopero, se ne aggiunsero altre. Gli industriali e le direzioni aziendali non intervennero in alcun modo. Intimidazioni vennero dai fascisti i quali sostenevano: occorre lavorare, o verranno i tedeschi, con le armi, a farvi lavorare. Il terzo giorno lo sciopero fu fatto anche dalle maestranze della Fiat-Grandi Motori, dalle Acciaierie, dalle Ferriere e dal Materiale ferroviario. In questa giornata, pure una discreta percentuale di tranvieri urbani aderì allo sciopero. Alla fine del quarto giorno, il Comitato di agitazione del Psi, constatato il pieno successo del movimento e quindi della protesta che era riuscita con successo diramò l’ordine di ripresa del lavoro. Nel volantino del comitato d’agitazione del Psi si legge: lo sciopero effettuato in questi quattro giorni ha raggiunto lo scopo di protestare contro le autorità fasciste e naziste che, governando arbitrariamente l’Italia settentrionale, hanno instaurato un regime di miseria, di schiavitù e di terrore, che non ha precedenti nella storia. Fu da parte dei lavoratori torinesi una dimostrazione di maturità classista e di compattezza disciplinata. Le giornate di lotta lasciano un amaro ricordo ai socialisti torinesi. Filippo Acciarini che curava la stampa dell’"Avanti!" clandestino torinese, fece un ampio resoconto sullo sciopero e che apparve sul numero 14 del marzo 1944 del giornale socialista. Purtroppo non poté mai leggerlo, perché la Gestapo lo aveva arrestato, trasferito prima a Milano poi al campo di concentramento di Fossoli (Mo). Ai primi di agosto 1944, Acciarini fu deportato a Mauthausen, dove, in seguito alle crudeli privazioni e alle sevizie sofferte, morì il 1° marzo, 1945.
Nota a margine. Con l’avvento del fascismo Acciarini fu il segretario della Federazione socialista riorganizzata segretamente. Nel 1927 fu arrestato per sospetta attività sovversiva e in seguito rilasciato per insufficienza di prove. Nel 1930 trovò impiego presso la Società dei Telefoni e vi rimase fino al 1942. Nel 1943 entrò a far parte della direzione del Partito Socialista e, poi, ebbe l’incarico di curare l’edizione clandestina dell’"Avanti!" di Torino. Filippo Acciarini partecipò attivamente all’organizzazione del grande sciopero dei lavoratori torinesi che si svolse nel marzo 1944.
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