C’è ancora tanto da guardare.
C’è il rumore con cui siamo partiti
nascosto nella terra
catturando i guizzi dei muscoli facciali
col riflesso di parole in superficie
di un'acqua più profonda
Dietro alla facciata delle case
il non detto delle stanze, i corridoi,
i vestiboli dell’intero corpo pesano
persino più del mondo che si tocca
Nel suo modo d’essere Originario
hanno una grammatica privata
un'oscura forma, le cose che noi siamo
per non assassinare la magia
Volevi mangiare i colori della vigna rossa,
disinfettarti alla luce di ogni giorno,
per scorticare la pelle con la sua dolcezza,
fino a spezzarti, nel cielo, ricostruirti
sugli alberi, tra i muri, sui volti che fanno
ti cerco come posso, dietro la schiena
e sotto le suole. C’è un Prima
-un flusso che attraversa lo stesso luogo
che gesta le radici, nelle praterie della verità-
catturato con lo sguardo, non c’è errore
della vista, attraversando tanto spazio,
se oggi diventa tonda la tua casa
da lontano, tra realtà e vita. porto un sassolino,
un fil di lana anch’io, dove mi siedo,
insieme alle parole uscite via dal corpo
c’è così tanto da guardare
leccando l’alfabeto di ogni fiore
in cerca di salvezza. Sono due in uno
con ali bagnate nella polvere,
hanno un movimento circolare
prima di cadere, nel profondo che trattiene,
si fa eterno l’anima, prossima al vuoto,
affollato di luce
è l’intreccio di silenzio e di vocali,
la celebrazione, madre di se stessa,
un divenire prima di spiccare il volo
il sacrificio delle parole verso il corpo,
che genera l’amore,
al limitare della ragione,
perché ancora da dirsi..
nel respiro
è da là che viene dentro, lo stupore,
con altri occhi, della mente,
e lo consegna in dono sulla lingua
nell’attimo che tocca appena il fondo
in una sola luce immaginale
è l'hanami, di vita in vita, che risuona
fino alla dimora del principio,
che si apre, ancora senza nome,
dove la sua voce è quella stanza
con gli alberi, e tutti i fiori dentro.
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