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Rome: 3 metri underground (parte 5)

di Alessandro Porri
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Pubblicato il 28/11/2014 10:06:44

Capitolo XV

 

 

 

Sabato mattina 14 Settembre.

«Mamma, la madre di Roberto mi ha invitato a cena questa sera. Il padre ieri ha pescato tanto pesce, sa che mi piace molto, posso andare vero?» Domandai io a mia madre.

         «Questa sera Marco mi ha invitato a cena, vengono alcuni cugini da fuori così giochiamo tutti insieme, posso andare mamma?» Domandò Roberto.

         «Papà questo pomeriggio devo andare a vedere la vespa del fratello di Maurizio, e così la signora Antonietta mi ha invitato a cena per ringraziarmi posso restare?» Chiese Gianni.

         «Mamma, la madre di Roberto mi ha detto se voglio mangiare da loro questa sera. Il papà ha pescato tantissimo pesce ieri e gli farebbe piacere se andassi, viene anche Marco», domandò Maurizio. La sua impresa era la più ardua perché sapeva che la madre era un po’ contraria a queste cose.

         «Ora sento la Signora Maria se lei ci manda Marco, magari mando anche  te, ma mi raccomando comportatevi bene.»

         «Sì sì mamma, non si accorgeranno neanche che siamo là, mi comporterò benissimo.»

Ore undici il piano aveva funzionato, tutti avevano il permesso per rimanere fuori almeno fino alle ventidue.

 

         Ad altre latitudini Banfi si era appena messo alla guida della stessa auto che Symensth aveva riportato indietro. Aveva avvisato i colleghi che stava per mettersi in marcia.

    «Tenente, stiamo per partire, iniziate ad avvicinarvi anche voi

    «Ok Banfi ci spostiamo ci troverai lì davanti

Poco dopo

 «Allora la accompagno direttamente dal signor Ferri come le ha già spiegato il signor Balselli, ci metteremo meno di mezz’ora.»

         «Gazie mile.»

         «Se la cava bene con l’italiano, come mai le capita spesso di venire qui in Italia?»

         «Io organizzato molte esposizioni d’arte in vostro paese. Italiani amano very much gli belli oggetti d’arte.»

         «E sì, questo è un bel paese che ama le cose belle.»

Dopo circa mezza ora, Banfi con il suo prezioso carico, arriva all’autorimessa Ferri. Nel piazzale esterno trovano alloggio vari mezzi da carico, mentre all’interno, ci sono le automobili. Subito parcheggiate fuori, Banfi riconosce due auto con i suoi colleghi dentro, pronti a seguire il furgoncino guidato da Symensth.

         «Allora signor Symensth la saluto e buon viaggio.»

         «Grazie mile buona gionata.»

Dopo quindici minuti, il mezzo guidato dal commerciante d’arte, esce e si dirige verso nord, sulla via che porta al Sempione. Le due auto che lo seguono si alternano in modo da non destare sospetti. Ad un certo punto il furgone devia per una strada sterrata sulla destra, percorre poche decine di metri ed entra dentro un cortile di una casa di campagna. Una delle auto continua per poche centinaia di metri e si prepara ad allestire un posto di blocco. L’altra rimane ad una certa distanza dalla casa. Su quest’ultimo mezzo c’è Passeri, De Lellis e Crescenzi alla guida. Il Tenente, con il suo binocolo, tiene d’occhio la situazione.

         «Eccolo, sta entrando da una porta in legno grande, tondeggiante, in quello che sembra essere un magazzino per i mezzi agricoli.» Passeri fa una sorta di radiocronaca agli altri due colleghi.

         «Certo grandi mezzi eh, un altro binocolo era chiedere troppo!» Commenta il Maresciallo.

         «Non vedo nessun’altra persona, peccato speravo di beccare qui anche gli altri due, ma evidentemente non hanno voluto rischiare oltre.»

Dopo circa quaranta minuti, il furgone si rimette in moto, esce e percorre con un’andatura molto più prudente il tratto di sterrato per evitare scossoni, si avvicina verso la strada principale.

         «Ragazzi ci siamo, preparatevi a fermarlo, tra pochi secondi ci passerà di fianco e, dopo pochissimo, sarà alla vostra portata. Attenzione massima, noi arriviamo subito dietro

         «Ok Tenente siamo pronti, questa volta ridiamo noi

Il furgone riprende la strada asfaltata, viaggia a una velocità tranquilla, sugli ottanta l’ora, percorre circa due chilometri quando una paletta delle forze dell’ordine gli intima di fermarsi. L’autista rispetto a qualche minuto prima, ha un cappello con una visiera che gli cela un poco il volto, lo sguardo basso, quasi rassegnato, sembra un atteggiamento di chi ormai ha capito tutto. Todde gli si affianca proprio mentre da dietro sopraggiunge l’automobile del Tenente.

    «Buongiorno, favorisca la patente cortesemente», disse Todde.

L’uomo ancora con il volto abbassato, allunga la mano con il documento ben in vista. Proprio in quel momento Passeri arriva alle spalle di Todde con una mano pronta sulla pistola.

«Eccola», alzando ora il volto con sopra dipinto uno sguardo beffardo, «Ma la conosce già! L‘ha vista due tre, giorni fa!»

In quel preciso momento una smorfia trasfigura il volto di Passeri. Alla guida del furgone c’è Michele Sinibaldi!

    «Tenente, buon giorno era un po’ di tempo che non la vedevo, mi stavo preoccupando.»

    «Faccia poco lo spiritoso ed apra dietro.»

    «Faccia pure è aperto.»

«Todde tu rimani qui, Crescenzi andiamo a vedere cosa trasporta il nostro amico.»

All’apertura del portellone posteriore, i carabinieri riconoscono delle casse molto simili a quelle in cui si erano imbattuti qualche giorno prima, patate, mele, uva, prugne ecc. Da una parte c’è anche una cassa con due strisce rosse che stavolta il Tenente si rifiuta di aprire. Arriva anche De Lellis.

    «Allora?» Chiese il Maresciallo.

    «Niente di niente, vai, vai a vedere chi c’è alla guida.»

Il Maresciallo fece tre passi ed incrociò lo sguardo di Sinibaldi.

    «Professò, non c’ha lezione oggi? Ah ah ah.»

    «Corrado via, via gira quest’auto, torniamo indietro nella casa dove eravamo fermi tre minuti fa, dai, dai, era lì lo scambio.»

Nello stesso istante, un furgone identico a quello fermo al posto di blocco poco più avanti, imbocca la strada principale carico di importanti reperti storici. Si dirige in direzione opposta da dove tra pochi secondi arriverà l’auto con sopra i nostri investigatori. Alla guida un uomo già noto alle cronache recenti, con al fianco un famoso commerciante d’arte, Alex Symensth. Al furgone in questione sono state cambiate le targhe e sono stati applicati degli adesivi colorati che occultano il logo della ditta di noleggio.

         «Go my friend, go go. Ah ah!»

Arrivati dopo pochi minuti i carabinieri non trovano più niente e nessuno nella casa di campagna che vista ora da vicino, sembra essere abbandonata e disabitata da molto tempo. Osservando il cortile polveroso, si distinguono i segni di pneumatici di due furgoni, ambedue le tracce sono recentissime.

«Torniamo, da Sinibaldi, tanto qui non troveremo assolutamente niente d’interessante», disse a questo punto il Tenente inferocito.

Pochi minuti dopo erano di nuovo tutti al posto di blocco.

         «Come mai signor Sinibaldi lei è alla guida di un furgone che aveva noleggiato il signor Symensth?» Chiese Passeri.

         «Dite? Ma siete sicuri di questo, forse sarà lo stesso modello. Le dico questo perché io ho una ricevuta che prova esattamente il contrario, questo furgone l’ho noleggiato questa mattina all’apertura di un autonoleggio a  Domodossola per la precisione la ditta Ferri. Ma quando dite Symensth, vi riferite al famoso curatore di aste e mostre d’arte?»

«Esattamente.»

«Non crederete che una personalità come lui abbia contatti con un piccolo antiquario come me? Lui è una vera leggenda nel nostro settore.»

         «E cosa si è fermato a fare in quella casa di campagna ad un paio di chilometri da qui?»

         «Be ho visto che era abbandonata e sa, una necessità fisiologica, capita, da ieri sera che mangio prugne, devono aver fatto un certo effetto.»

    «Naturalmente lei non ha visto arrivare nessun altro furgone mentre era lì ad espletare le sue necessità fisiologiche.»

    «Of course, naturalmente.»

    «Se ne vada davanti ai miei occhi, ma fossi in lei non dormirei sogni tranquilli.»

    «Eh eh Tenente, si ricordi che queste sono minacce gratuite, arrivederci buona giornata», disse queste ultime parole dal finestrino aperto mentre abbandonava il ciglio della strada alzando un polverone che investì i militari.

«Bastardo!» Esclamò il Tenente Passeri.

«Grande bastardo direi», aggiunse il Maresciallo, «Questi sono professionisti, non commettono errori banali, bisogna escogitare dell’altro.»

«Questa volta Antonio, pensavo di aver fatto centro, eravamo proprio vicini. Forza ragazzi organizziamo alcuni posti di blocco, ma tanto avranno già sostituito il mezzo.»

Mezz’ora dopo, venti chilometri più avanti, nel sicuro di un campo lontano dalle vie di passaggio, un furgone è completamente vuoto, le targhe sono tornate quelle di una volta, il logo della ditta Ferri è nuovamente tornato a dare bella vista di se. Il serbatoio della benzina è stato completamente svuotato.

         Sono le ore sedici di sabato 14 Settembre, una telefonata arriva all’autorimessa Ferri.

    «Signor Ferri buoni sera sono il Dottor Symensth, mi è succesa una cosa incresciosa.»

    «Mi dica pure.»

«Purtroppo è rimasto senza benzina, fortunately mi seguiva my colega, we dovevamo andare ad asta insieme. Era ora  pranzo i benzinai erano closed. Ho dovuto lasciare automezzo nei pressi di Baceno, mi scusi tanto ma ero troppo in fretta per impegni very importanti stasera a Interlaken ho proseguito con mio colega. Ho lasciato chiavi a bar sport in principale square. Barman sapere dove essere rimasto van. Qualsiasi spesa mandi pure mio indirizzo in Londra. Scusi tanto.»

    «E va bene, non è una procedura normale, comunque ormai è andata in questo modo, non si preoccupi. Buona giornata.»

Pochi minuti dopo, «Pronto carabinieri? Potrei parlare con il Tenente Passeri sono il signor Ferri è una cosa urgente.»

«Sì buonasera Ferri, mi dica pure, ha delle novità?»

«Mi ha appena telefonato il signor Symensth, ha lasciato il furgone a Baceno, dice di essere rimasto senza benzina mentre era diretto a Interlaken. Io sto per mandare un mio autista a recuperarlo, se volete andare con lui.»

«Sì va bene, le mando uno dei miei, grazie mille per la collaborazione.»

«Come vedi Antonio la nostra visita di ieri sera a Ferri ha sortito degli effetti, almeno una piccola collaborazione.»

«Cosa pensi Antonio?»

   «Cosa vuoi che ti dica, secondo me Symensth ha fornito troppi particolari, anche non richiesti, forse sta mettendo in moto un altro depistaggio.»

«O magari questa volta ha commesso un errore. Voi ragazzi che ne pensate?»

«C’è una cosa che non mi torna. Ha lasciato l’auto a Baceno che non è sulla strada del Sempione che sarebbe quella più logica per Interlaken. Una delle due è una svista, ma quanto questa inesattezza è voluta?» Rispose Banfi che conosce bene le strade della zona.

«Magari vuole dividere le nostre forze», commentò De Lellis.

«Io non credo a nessuna delle due ipotesi», aggiunse Todde.

«Dimmi un poco quale è il tuo pensiero.»    

«Non siamo mai riusciti a prenderli ragionando logicamente, loro sanno ormai qual è il nostro modo di pensare, sanno che siamo risaliti a Ferri e magari hanno detto di proposito quello che volevano farci arrivare.»

«E quindi in pratica?»

«Tra i due litiganti il terzo gode. Per me stanno passando da una terza strada, diversa dalle due ipotizzate. Quale può essere Banfi?»

«Sai che hai ragione, potrebbero aver preso la strada per Locarno, d'altronde bastava una deviazione di una ventina di minuti, e con tutto il vantaggio di tempo che avevano, non sarebbe stato sicuramente un problema.»

    «Certo che non sapendo che mezzo stanno usando, è come cercare un ago in un pagliaio.»

«E lo so Antonio ma questo pagliaio dobbiamo provare a passarlo al setaccio. Va bene, comunque facciamolo un tentativo, allestiamo dei posti di blocco sulla strada per Locarno, hai visto mai che questa volta abbiamo un colpo di fortuna.»

 

 

 

 

 Capitolo XVI

 

 

 

Roma ore diciannove. I ragazzi si dirigono verso casa di Luca ma, soprattutto, verso quella dello zio Agostino. Si fermano a una decina di metri per osservare. Effettivamente sembra che non ci sia nessuno dentro le due villette, la festa della zia di Luca deve essere cominciata.

    «Facciamo una prova per sicurezza, suoniamo il citofono e ci nascondiamo dietro la siepe», proposi io.

Nessuno rispose, il campo d’azione era libero l’operazione “ricerca delle prove” poteva cominciare. Gianni aveva portato una borsa di cuoio con gli attrezzi più disparati. Ognuno di noi era fornito di torce, corde, e radiolina woki toki, era quella giocattolo ma per questo tipo di lavoro andava più che bene. Prima operazione, apertura cancelletto recinzione signor Trabaschi.

«Serratura elettrica a scatto, una vera stupidaggine . . .”clik“ fatto, appena la strada è libera si entra. Ecco preparatevi appena la signora volta l’angolo … via dentro ora, tutti stesi a terra dietro la porta della cantina.» Gianni dirigeva le operazioni.

«Adesso la porta della cantina, vediamo, semplice lucchetto. Marco passami tenaglie e cacciavitino piccolo piatto.» Gianni sembrava un chirurgo provetto io un fidato ferrista. Appena aperta la porta della cantina, scendemmo tutti giù, finalmente eravamo al riparo da sguardi indiscreti. Iniziò la ricerca tra gli scaffali facendo molta attenzione.

«Ma che stiamo cercando?» Domandò Maurizio. Questa volta la domanda non era tanto peregrina perché in realtà non sapevamo neanche noi cosa cercare. Qualche oggetto antico? Un passaggio segreto che portasse chissà dove? Non lo sapevamo, comunque cercavamo.

Io notai come da una parte fossero accatastate delle piccole casse in legno con dentro un materiale spugnoso.

«Qui dentro ragazzi sicuramente sono stati trasportati oggetti molto preziosi e delicati.»

Eravamo tutti eccitati, ci sentivamo tutti un poco esploratori ed un poco investigatori. Ad un certo punto Roberto si fermò a curiosare in un angolo dove c’erano attrezzi da pesca.

    «Che bella questa canna, guardate, ma se me la prendo che succede?»

    «Ecco sì bravo, così passiamo da investigatori a ladri, smettila lasciala là, dove era, non dobbiamo rischiare che lo zio di Luca si accorga che qualcuno è stato qui sotto.» Appena terminato di dire questa frase, notai uno strano particolare, il muro dietro quello scaffale era diverso.

    «Maurizio, Gianni venite qua, illuminate tutti da questa parte.»

    «Ma se accendiamo la luce?» Disse Maurizio.

    «Ecco bravo, magari accendiamo anche la radio», rispose Roberto.

    «Guarda che non ci sono finestre, basta chiudere la porta in cima alle scale, da fuori non si vede nulla.»

    «Stavolta mi sa che Maurizio ha ragione», risposi.

Svuotammo lo scaffale e lo spostammo cercando di non fare rumore. La parete in quel punto non era composta dai normali blocchetti in tufo come il resto della cantina. C’erano piccoli mattoncini, dall’aspetto molto antico che proseguivano anche dietro gli altri scaffali almeno per quattro metri. All’interno del muro stesso, ogni tanto, si alternavano quelli che sembravano essere pezzi di vasi di terracotta e alcuni piccoli pezzi di travertino. Si vedeva poi chiaramente la forma di un arco che, in un secondo tempo, doveva essere stato richiuso sempre con lo stesso tipo di mattoncini. Sotto quest’arco c’era una scritta antica “Hospitium hic locatur”. Nella parte più bassa della parete era stata ricavata un’apertura di circa un metro per un metro richiusa con mattoni moderni.

         «Cavolo esclamai, «Questo è un muro antico, è lo stesso tipo di quello che ci hanno spiegato durante una gita al centro storico. Roberto, segnati quella scritta, poi andiamo da don Erminio e ce la facciamo tradurre dovrebbe essere latino.»

         «Avete visto qui, dove ci sono i blocchetti? Di sicuro hanno sfondato il vecchio muro e sono entrati dentro, qui dietro ci sarà sicuramente una casa antica.»

         «Anche secondo me è come dice Gianni, chissà quante cose di valore c’erano dentro.» I ragazzi furono presi dalla curiosità e smantellarono un altro pezzo di scaffalatura. Io stranamente sentivo un vento freddo arrivare dal basso, eppure era tutto chiuso.

    «Guarda un po’ Maurì mi sa che si è riaperta la porta.»

«Non mi sembra, aspetta che guardo meglio», fece i pochi ripidi scalini e dalla sommità della scala disse: «Qui tutto ok capitano, la porta ancora chiusa, passo e chiudo», si era messo a parlare con le radioline.

«Ma che ti strilli, se noi ce le abbiamo spente a cosa ti serve, risparmia le batterie.»

Spostato l’ultimo scaffale, notammo che proprio all’angolo del muro, alla base della scalinata, c’era un piccolissimo passaggio. Sembrava originale. La base del foro era rivestita di travertino. Si vedeva ben chiaro il segno lasciato da qualche liquido che nel tempo aveva consumato la lastra, abbassandone lo spessore nella parte centrale.

    «Secondo me, questo era una sorta di scarico o della pioggia o dell’acqua sporca», disse Roberto.

    «Sicuramente il gatto è passato di qui, non ci sono altre aperture», aggiunsi io. Quella fessura doveva essere collegata ad un condotto assai lungo per permettere al gatto di uscire dove noi avevamo visto. Puntammo le torce per vedere se fosse possibile scorgere cosa ci fosse dall’altra parte. Non si vedeva molto perché il muro aveva un grande spessore e di là era veramente buio.

    «Fermi tutti, capitan coraggio ce la può fare!»

    «Che stai dicendo Maurì?» Domando Roberto.

    «Io sono il più magro ci passo. Mi date una mano, una spintarella e via sono dall’altra parte.»

    «Non giocare come il solito, è pericoloso puoi rimanere incastrato», dissi io un poco a muso duro.

    «Sì hai ragione Marco, ma se non proviamo che siamo venuti a fare? Io ho portato anche uno scalpello con un martello bello grande, allarghiamo un poco il buco e così ci passa senza pericolo, che ne dite?» Aggiunse Gianni.

«Tu Maurizio te la senti veramente?»

«Fuiii», fischiò Maurizio che evidentemente voleva dire sì.

Subito partì l’operazione ampliamento passaggio. A dir il vero penso proprio che Maurizio ci sarebbe passato anche così, ma per maggiore sicurezza, allargammo di almeno dieci centimetri l’imboccatura. Gianni fece attenzione a far cadere i frammenti di muro dall’altra parte per evitare di lasciare tracce nella cantina. I pezzi cadendo facevano un rumore particolare. C’era una sorta di rimbombo che stava a testimoniare che eravamo in presenza di una grande stanza. Maurizio prese la torcia in bocca mise le braccia avanti e s’infilò nel buco. Dopo alcune spinte, uscì dall’altra parte con le mani e cominciò a far presa e tirare lui stesso. Tempo due minuti e si svegliò nell’antica Roma! Sentimmo un silenzio assordante, noi tre ci guardammo negli occhi, avevamo quasi paura a chiamarlo.

«È fantastico! Dovete venire anche voi.»

«Che c’è dicci.»

«Sono dentro una casa dell’antica Roma, c’è una specie di vasca di marmo al centro, è spaccata però, come se qualcuno ha provato a toglierla e si è frantumata. Ci sono dei disegni colorati ai muri, e altri a terra sembrano fatti con piccole pezzettini di pietra.»

«Maurì sono dei mosaici … almeno credo», risposi io.

«Sono tutti rovinati hanno proprio lasciato i buchi, li hanno staccati dal pavimento, chissà come erano belli.»

La descrizione di Maurizio ai compagni fuori continuò. Raccontò che alle pareti, c’erano delle mensole ricavate nello spessore del muro. Sopra questi ripiani, erano rimasti incastrati i fondi rotti di alcuni vasi. In altri punti invece, si percepiva che erano riusciti a staccare i recipienti senza danneggiarli. C’è una colonna antica che regge il soffitto, e poi altre colonne moderne di blocchetti a puntellare travi di legno, evidentemente la copertura stava per cedere.

    «Ciao vado anch’io», disse Gianni infilandosi in un attimo anche lui nel buco, era l’unico che oltre a Maurizio ci sarebbe passato. Arrivato dall’altra parte anche lui rimase affascinato da quello che vedeva. Con un’altra torcia ora si poteva fare più luce. I due ragazzi videro che c’era in fondo un’altra apertura che dava in un'altra stanza contigua, stavano ripercorrendo quello che sicuramente era stato il tragitto compiuto del gatto. Lo scenario non cambiava, avanzavano con estrema cautela tra ragnatele, odori strani, pezzi di muro crollato. Ad ogni passo, le pur leggere vibrazioni, facevano cadere dal soffitto delle piccole quantità di detriti. Si resero conto che, in questo secondo ambiente, la volta non era stata messa in sicurezza. La seconda stanza era meno bella della prima, forse anche perché era più polverosa e questo non permetteva di vedere bene. Non sembrava ci fossero disegni e mosaici o forse semplicemente erano stati più bravi a toglierli. Più avanti c’era proprio un pezzo del soffitto che era crollato, si avvicinarono e Maurizio non riuscì a trattenere un urlo. Le vibrazioni fecero crollare una grande porzione di tetto, un forte rumore e una gran nube di polvere si alzarono, poi, tutto attorno il silenzio.

Roberto ed io sentimmo il fragore e fummo investiti dalla polvere che ci raggiunse arrivando fin dentro il locale della cantina.

    «Chiamiamo aiuto, chi se ne frega di quello che ci succede quelli sono rimasti sotto», mi gridò in faccia Roberto.

Uscimmo fuori di corsa, decisi ad andare al primo bar vicino per dare l’allarme.

Una volta fuori nel giardino, ormai si era fatto buio, ci girammo indietro, non sapevamo se fosse il caso di chiudere la cantina o no, poi decidemmo che non bisognava perdere tempo. Questo girarci indietro però permise a Roberto di notare una cosa.     

«Aspetta Marco, guarda da sotto quel casino arriva una luce, la vedi?»

«Sì sembra proprio di sì, vuoi vedere che sotto quella catasta di roba c’è l’uscita della casa romana? Andiamo a vedere magari riusciamo a salvarli.»

I ragazzi una volta più vicino non ebbero più dubbi, proprio da lì sotto arrivava una luce. Io inizia a chiamare, ma non potevo urlare troppo.

«Maurizio, Gianni mi sentite?» Nessuna risposta arrivò da sottoterra.

«Marco accendi la trasmittente, Maurizio ce l’ha accesa.»

«Pronto Maurizio mi ascolti, Maurizio qui Marco ci sei? Come state?» Ero angosciato ancora di più perché io stesso gli avevo detto di spegnerla un attimo prima. Quando ormai avevamo quasi perso ogni speranza, «Capitano qui soldato Maurizio a rapporto, stiamo tutti bene, anzi, uno un poco meno mi sa proprio che è morto

    «Ma che dici, chi sta male Gianni?» Urlai io.

    «Capitano stai calmo, ti ho sentito da fuori invece che dalla radio, io e Gianni stiamo bene, ma qui c’è un morto che non so chi è. Anzi più che un corpo è un ex corpo, è uno scheletro

    «Oh ma sei proprio deficiente, passami Gianni

    «Pronto Marco stiamo bene, è come dice Maurizio, qui sotto c’è uno scheletro, per questo motivo questo scemo ha urlato ed è venuto giù mezzo soffitto

    «Ma non riuscite ad arrivare alla cantina

    «Assolutamente no, è crollata proprio quella parte. L’aria c’è ci deve essere l’altra uscita qui vicino, si sente anche il vento

    «Sì l’altra uscita è proprio sotto quella catasta di materiale vecchio dello zio di Luca, da fuori si vede la luce della vostra torcia

    «Qui sotto c’è tanta polvere, pian piano si sta abbassando ma ancora non si vede molto

    «Gianni, ora noi proviamo a venire vicino all’imboccatura magari si riesce in qualche modo a farvi uscire

I ragazzi nel giardino, strisciarono tra tutti quei rottami e facendosi un numero imprecisato di graffi arrivarono sopra il punto da cui usciva la luce.

    «Maurizio, Gianni sono Roberto, sono qui fuori mi sentite?»

«Sì, com’è là sopra? Riuscite a farci uscire?»

    «Mi dispiace, ma il buco è veramente piccolo, poi è proprio verticale non ci si riesce, andiamo a chiamare aiuto voi state tranquilli.»

    «No fermi, così roviniamo tutto il lavoro fatto. Qua sotto è tutto sotto controllo.»

    «Gianni ma che dici, io voglio uscire.» disse agitato Maurizio, «Io c’ho paura!»

    «Ma tu non eri quello coraggioso?» Rispose Gianni.

    «Va bene, però ora mi sa che esageriamo.»

    «Allora che dobbiamo fare?» Chiesi io.

    «Andate nella cantina, rimettete tutto in ordine, poi ci portate qui le torce che a noi servono di più e magari anche un poco di acqua, passiamo qui la notte.»

    «A casa vi cercheranno, non può funzionare, e poi anche se fosse, a cosa ci porta questo?»

    «Marco tu appena arrivato a casa vai subito dalla signora Rosa, fatti rintracciare subito il Maresciallo e gli racconti tutto. Ai nostri genitori gli dici che dormiamo a casa vostra, uno per parte.»

Stavolta l’avevamo combinata proprio grossa, c’eravamo lanciati in un’impresa più grande di noi, ma con il senno di poi, senza questa nostra azione sconsiderata, il caso forse non si sarebbe mai risolto. La serata terminò come avevamo deciso. Cercammo di rimettere il più possibile in ordine la cantina, calammo dal buco nel giardino l’acqua, le torce e le batterie delle nostre radioline che a noi in quel momento non servivano. Al momento di salutarci eravamo veramente angosciati e, a ripensarci oggi, non so se io, a quattordici anni, avrei avuto il coraggio dei miei due amici. Giunti a casa, riuscimmo in qualche modo a far credere ai genitori dei nostri amici che avrebbero dormito a casa nostra. L’impresa più difficile fu quella di parlare con il padre di Gianni e dirgli che avrebbe dormito a casa mia fingendomi Maurizio. Alla fine tutti i pezzi collimavano, mi ero addirittura superato, quando avevo anche avvisato che il giorno seguente i loro figli sarebbero andati direttamente all’oratorio dopo colazione. In questo modo avevo guadagnato anche il tempo della domenica mattina.

Erano le ventidue e trenta di sabato 14 Settembre. Io mi accingevo a suonare alla porta della signora Rosa.

    «Chi è?»

    «Sono Marco signora.»

    «Oh ciao bello, cosa succede?» Non era mai stata così gentile con noi ragazzi, ma dopo quello che era accaduto, non aveva neanche avuto più la forza di arrabbiarsi.

    «Mi serve assolutamente il numero di telefono di suo cognato Antonio, è una questione di vita o di morte.»

    «Ma Antonio è fuori per delle indagini, è su in alt’Italia, mi sembra che abbia detto a Domodossola non possiamo disturbarlo.»

    «Ma è veramente urgente, due miei amici sono in pericolo di vita.» La signora non mi rispose.

    «Stiamo rischiando per prendere quei criminali che hanno ucciso suo figlio, mi dia una mano.»

    «Ma che dici, spiegami bene.»

A quel punto gli feci un veloce resoconto di quello che ci era accaduto e la signora Rosa si mise subito a disposizione. Fu lei stessa a telefonare alla caserma di Domodossola ed a rintracciare il Maresciallo.

    «Sì Antonio ora te lo passo è qui vicino a me, è terrorizzato, povero bambino.»

    «Maresciallo venga subito, ci aiuti, è tutto come le ha spiegato sua cognata, sono rimasti sotto il crollo non possono uscire. La sotto ci sono tutte le prove per arrestare almeno Trabaschi.»

    «Stai tranquillo parto subito, non so se c’è a disposizione ancora l’elicottero, di notte è difficile, comunque ti prometto che domani mattina in un modo o in un altro sarò giù a Roma.»

Antonio contatta immediatamente Corrado e lo informa.

    «Senti Antonio, tanto l’elicottero non decolla a quest’ora, chiamo Crescenzi e scendiamo subito in auto. Andiamo a prendere almeno Trabaschi, chissà se lui potrà aiutarci a prendere qualche pezzo grosso, magari se lo spaventiamo bene collabora. Tanto mi sembra che quassù non caviamo un ragno dal buco. Preparati tra un’ora siamo da te.»

         Quella notte fu la più lunga della mia vita, fissai la sveglia ininterrottamente, penso che non avrò dormito per più di due ore in tutto. Intanto alle ore ventiquattro un’automobile dei carabinieri con a bordo Crescenzi, Passeri e De Lellis partiva da Domodossola direzione Roma. Todde, Banfi e altri due colleghi avevano approntato un posto di blocco fin dal pomeriggio sulla strada che dall’Italia portava a Locarlo e fermavano il maggior numero di furgoni e fuoristrada possibile. Si erano posizionati al termine di un rettilineo dove c’erano dei lavori ed una cartellonistica stradale che costringeva i veicoli a rallentare. Con un binocolo osservavano la persona alla guida. Quando c’era qualcuno che sembrava possedere la fisionomia dei nostri ricercati, fermavano il mezzo. Era comunque una rete che aveva parecchie maglie larghe. Verso le diciannove, all’altezza di Villette, un furgone bianco, ripartito da poco da Santa Maria Maggiore, proseguiva ad alta velocità verso il confine svizzero. Stava approssimandosi in una zona dove c’erano dei lavori e dei cartelli che intimavano di rallentare la velocità. Un automezzo che veniva in senso contrario fece dei segnali di richiamo con i fari, poi subito un altro fece la stessa operazione. Il furgone cominciò a rallentare e accostò. I due occupanti distinsero chiaramente qualche decina di metri più avanti, un lampeggiante delle forze dell’ordine e decisero di non rischiare. Invertirono la marcia e pochi chilometri indietro presero la deviazione che li avrebbe portati a Cannobio sul lago Maggiore e da qui avrebbero potuto facilmente passare il confine la mattina seguente. Più tempo passava e più le possibilità di rintracciare Symensth si affievolivano e con lui le prove che avrebbero incastrato senza ombra di dubbio tutti gli altri. L’intuizione di Todde era stata giusta, ma ancora una volta non aveva portato i risultati sperati.

         Alle ore ventiquattro, i due fratelli Trabaschi, erano fuori in giardino a parlare, ognuno dalla sua parte lungo il confine delle proprietà. Parlavano tranquillamente senza poter immaginare che ci fosse qualcuno che da sotto i loro piedi potesse ascoltarli.

    «Gianni, li senti?» Domandò Maurizio bisbigliando.

    «Sì, zitto un po’», poi continuò, «Sono il papà di Luca con lo zio, la festa deve essere finita, sono rientrati.»

«Ma dove eri finito prima alla festa? Dovevamo venire via, i ragazzi avevano sonno e tu mi sparisci per più di un’ora?» Domandò il padre di Luca al fratello.

«Avevo un appuntamento telefonico con Antico. Siamo d’accordo che ogni sera vado in un bar di Centocelle verso le nove, quello di fronte al mercato, lui mi contatta lì per farmi sapere come vanno le cose. Finalmente questa sera si è fatto sentire, non l’avevo più sentito.»

«Ah non voglio sapere niente di quella storia. Già è troppo che non ti sono andato a denunciare alla polizia quando avete fatto fuori quel poveraccio.»

«All’inizio quando abbiamo venduto le prime cose a Michele però eri d’accordo, mi sembra che te la sei rifinita anche tu la casa con quei soldi, o sbaglio.»

«Dovevi fartelo bastare, invece tu hai voluto fare di testa tua, altri scavi fino a quando a quel poveretto gli è piovuto mezzo soffitto sulla testa, e ti ricordo che quello sta ancora qui sotto! E poi quell’altro colpo di genio di nascondere i reperti in quell’altro cantiere a Giardinetti.»

«Ma te l’ho già spiegato, erano pezzi troppo di valore, adatti solamente ad un mercato particolare e Antico doveva contattare il tramite giusto. E poi se li ho tolti da qui è anche per evitare che ci andassi di mezzo tu.»

    «Non ti sei saputo accontentare, ed ora rischi anche l’accusa per omicidio.»

«Guarda che quando l’ho investito non era morto. Sono gli altri che si sono rifiutati di portarlo in ospedale, io ho cercato di curarlo, ogni tanto di nascosto dagli altri, gli portavo anche qualcosa da mangiare.»

«Al giudice non credo interessi molto, se ti dice bene è concorso in omicidio, ma sono sempre tanti anni di carcere caro fratellino. Dopo quello che è successo, non hai nessun rimorso? Io per l’operaio rimasto qua sotto ancora non mi do pace, e sappiamo che è stato un incidente.»

«Non mi fare la morale, tu dovevi solo rifinire la casa, io stavo iniziando gli scavi e non avevo una lira per proseguire i lavori, non mi far tornare sul discorso dell’eredità che è meglio.»

         «Ancora con questa storia, tu la tua parte te la sei bella che mangiata prima che morisse papà, l’hai fatto morire di crepacuore.»

«Non mi dire così, mi fai stare male.»

Dopo alcuni minuti di silenzio

«Ma che ti ha detto allora Michele? Non è un rischio parlare per telefono?»

«Lui cambia sempre posto e chiama da un telefono pubblico, lì a Centocelle poi, il telefono è sicuro e per maggior sicurezza prima di parlare abbiamo una parola d’ordine che permette di riconoscerci l’un l’altro.»

«Ma è sempre quella che usavate già? Quella sulla frase della casa romana?

«Sì, perché no? Ha sempre funzionato bene.»

«Ma insomma, come sta andando?»

«È stato fermato due volte ma senza carico a bordo. Dice che i carabinieri hanno fatto certe facce quando hanno trovato al posto dei reperti frutta e verdura.»

«Che matto che è Michele, solo che così rischia, se li fa indispettire quelli non lo mollano più.»

«Il carico è nelle mani di un antiquario inglese, uno abituato a trattare questo tipo di affari, appena lo piazza mi darà l’altra metà del compenso, così ha garantito Antico.»

«Quindi la merce è già uscita dall’Italia, meno male.»

«Veramente credo ancora di no, Michele mi ha detto che l’ha sentito oggi verso pranzo e aveva in mente di fare un giro più largo per evitare rischi.»

«E come fanno a sentirsi loro?»

«Veramente non lo so, avranno anche loro un telefono sicuro dove sentirsi.»

«Comunque Agostino, qui sotto bisogna far sparire tutto. Praticamente abbiamo le prove sotto il culo!»

«Hai ragione, domani tolgo tutta questa robaccia, lunedì sera faccio arrivare una betoniera e riempio tutto di cemento.»

«Ecco bravo, da’ un’intonacata anche in cantina e così stiamo più tranquilli.»

Dopo pochi minuti e un’ultima sigaretta, i due fratelli se ne vanno a dormire.

«Certo che abbiamo delle informazioni veramente importanti, sarebbe utile farle avere ai carabinieri», disse Maurizio.

«Specialmente quel telefono in quel bar, potrebbero metterlo sotto controllo.»

«Quella parola d’ordine poi legata alla scritta che abbiamo visto, come era Maurì la scritta?»

«Diceva, se non ricordo male Hospitium hic locatur.»

«Sì, sì bravo ma va a capire come funziona?»

 

 


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