Pubblicato il 02/12/2019 21:46:09
Non è altro che una preposizione affermativa ormai epitaffio per la ragionevolezza o, almeno per il buon senso. Con questa preposizione le società, hanno operato e consolidato ogni sorta d’ignominia. Tutti gli spergiuri sulla condizione della libertà hanno trovato considerazione e proselitismo. Probabilmente solo la fase dell’istinto dell’essere umano ha praticato l’etica suprema della necessità. Escludendo a ragione la condizione morale del giusto. La violenza e con essa la strage dei competitori, invasori o invasi, era nell’obbligo della sopravvivenza. Il progressivo stanziale e, prima ancora, la richiesta di sopravvivenza proiettata nell'incomprensibile, nel soprannaturale e,sempre maggiori flussi migratori hanno obbligato alla previsione progressiva di un sistema scandito da atti e gesti identificativi dell’appartenenza. Riti, ritualità, e tramite essi, esclusivismi, estraniazioni hanno contribuito all'affermarsi di culture, che disperdevano l’umanità. Il giusto diventa la forza delle leggi; sia nell'ambito dei costumi, sia nel rituale della religione. E’ giusto incominciava a risuonare nelle liceità concesse dalle leggi o nell’utile dei costumi o nella pietà della religione. E’ giusto risuonava nel coltello azteco pronto a colpire il cuore del sacrificato. E’ giusto risuonava negli zoccoli della schiera d’oro lanciata verso il Volga. E’ giusto risuonava nell’abiura del Galilei. Ingiustizie. Giuste per i sostenitori del giusto. La giusta ingiustizia ha richiesto per sé sopportazioni devastanti e ancor oggi, nella complessità della società globalizzata dovrebbe necessitare l’affermazione di un’ideologia partecipativa, con l’esautorazione d’incrostazioni moraliste. Proprio perché la giusta ingiustizia invade la vita dei cittadini.
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