Non è un Dio, sulle ginocchia,
è il mioDio, più di una sera,
l’arcano impenetrabile che chiamo
non è astrazione, è ponte e via,
è centro che si apre in ogni nome
che lo rivela inaccessibile,
quando imploro nell'abisso di volere
quel volto senza mai
incontrarlo. Nel dramma delle voci
le mie voci
si parlano, nella dis.grazia e quella luce
che il creatore ha posto dentro il cuore
sotto me stessa sotto le acque vado
per la sua esistenza
giungendo al limite del pianto
che si muove come un pendolo
tra due respiri sovrapposti. Io mi fermo
nel punto di riposo. Mi abbandono -Se potessi
nascondermi in Te, Signore, aperto
come un rifugio, tra visione e tatto,
chiusa tra quello che vedo e quello che tocco,
come sei- Soltanto il cuore lavora appena
giungendo agli occhi, al posto del favo,
dove l’ape deposita il suo oro assimilabile,
faccia a faccia col respiro
da cui rinasce con l'aurora
e quello che c’è dentro
senza pensare- muto animale,
pianta gravida m’inchino,
senza conoscere il mistero nel mio grembo,
tra la vita e la morte unite, c’è quel soffio
-a niente più si può ridurre invulnerabile il respiro-
di una nascita incessante
tra me e l’uccello sconosciuto,
che vola alto il giorno come cieco
sullo sguardo acerbo della sua covata,
sicuro che non possa essere distrutta,
annunciando qualcosa che verrà
e tracce di ciò che si ritira ormai:
una luce liquida, una luce alata
più di una sera
ti ho sentito arrivare
alla caverna cieca del mio cuore
posarti quieto
mormorando agli occhi,
dove penetri e scendi
è la tua voce, Intera,
che si adagia in ogni punto
tra le mie gambe incerte,
iniziando a camminare-
se non mi volgo
al limite del Vero.
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