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Racconto riparatore di un’estate semplice

di Maurizio Alberto Molinari
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Pubblicato il 19/11/2014 21:23:53

Racconto riparatore di un’estate semplice.

 

Era domenica e Antonio si trovava seduto in cucina nel suo silenzio irreale, quasi religioso.

Lontano da tutto, osservava e ascoltava in sottofondo solo i rumori vitali che giungevano dalla stanza vicina.

Sentiva le voci delicate dei suoi amati bimbi, Giacinto e Speranza, i suoni tipici della cucina, i rumori familiari provenienti dalle sapienti mani di Maria, mani magiche da cui nascevano forme e pietanze deliziose, mentre lui, assorto, si abbandonava con piacere ai suoi pensieri.

Di fronte a lui un bicchiere di vino sembrava osservarlo come un invito o una semplice tentazione. Il colore prezioso del Primitivo locale lo stuzzicava tentatore, cercando di rapirlo nel suo essere caldo e intrigante.  I profumi intensi e ambrati infine presero a sollevarsi e a deliziare le sue narici, risalendo con leggerezza e sapienza verso di lui.

La voglia ebbe poi il sopravvento e la sua bocca scelse di sposarne il sapore pieno. Un calore prezioso lo avvolse, nel segno gradevole del ricordo di quell’estate semplice.

Una chiesa, il loro matrimonio settembrino, i bambini dei loro amici che giocavano a rincorrersi fuori della Chiesa, l’organo che intonava note di festa a quella vita che li aveva da poco consacrati nel nuovo eterno patto.

Sul fondo del piazzale Antonio e Maria ringraziavano amici e parenti. Sorrisi e lacrime si mischiavano in un luccichio costante. Immagini scolpite nel cuore, immagini indimenticabili, incise artisticamente sulle pellicole del tempo, sostavano e ricomparivano con padronanza.

Il fotografo, instancabile, continuava a catturare momenti e nature di quel mattino come se fosse il quadro di una natura che non smetteva di essere in festa, come lo erano i loro cuori.

Nuvole sottili giocavano a rincorrersi nella luce calda del sole. Un corale paesaggio alternato tra mare, pianure e morbide colline. Il volo degli uccelli disegnava traiettorie ambiziose verso il cielo. I rumori del tempo si mischiavano allegramente portando con loro un pensiero costante…”L’amore non è amore se non senti il tuo cuore come il mio”. Questo era il patto segreto di Antonio e Maria, quel patto che avevano firmato felici in nome del loro amore.

A poco a poco, tutte le tradizioni di quella festa furono portate a termine e insieme si mossero felici verso l’ultimo atto: il grande pranzo dell’amicizia. Furono servite tutte le pietanze e nel tardo pomeriggio la musica fece la sua comparsa.

Non era una musica qualsiasi, era quella di una band molto speciale, quella dei loro amici, gli amici speciali della loro infanzia, quegli amici che avevano annullato ogni impegno per poter essere presenti, regalando note eterne e indimenticabili per quel giorno così prezioso.

La giornata arrivò infine leggera alla sua naturale conclusione. Un sottile velo di tristezza albergava nei loro occhi per il saluto finale da quella magnifica compagnia d’amici festanti, felici tuttavia per l’indomani, per quel loro viaggio da sempre desiderato…

Rientrarono a casa alle 22.30. Festeggiarono il loro giorno più bello nel modo migliore, l’unico possibile: una notte d’intenso amore e tenerezza, di piacere carnale e morale, di leggerezza e pienezza.

Non era la prima volta che facevano l’amore. Entrambi sapevano di non essere più soli, almeno da un paio di mesi. Avevano taciuto la notizia per non far apparire il loro matrimonio come riparatore.

L’alba arrivò e Antonio e Maria erano prontissimi per il loro viaggio, quel viaggio veramente speciale. Partenza da Lecce con l’auto, autista il loro testimone di nozze verso l’aeroporto di Bari, da lì poi in aereo, direzione Roma e poi ancora alle 12.00 il volo per New York, il loro sogno di sempre, per una settimana da non dimenticare, da poter raccontare…

Si trattava per loro del primo volo intercontinentale. Maria, in particolare, non era mai salita su un aereo e, seppure un poco agitata, non lo dava a vedere. Appariva calma e tranquilla come se la sua vita fosse stata vissuta normalmente in voli quotidiani e spostamenti giornalieri.

La bellezza dei loro occhi era un incanto dorato che continuava a cullarsi di morbidi affetti e carezze senza difetto.

Salirono a bordo dopo aver fatto il check-in.  Quel giorno non c’era molta gente e alcuni posti erano vuoti, sebbene fosse lunedì.

Pensarono fosse una cosa normale ma il futuro aveva deciso, già da tempo, che quel giorno non sarebbe stato per loro un giorno qualunque...

Il decollo avvenne senza problemi e l’aereo raggiunse la quota di crociera con regolarità.

Il volo in aereo proseguì tra un bicchiere di spumante e uno spuntino. Le hostess, a conoscenza del loro viaggio di nozze, si rivelarono particolarmente carine e gentili.

Quando giunsero sui cieli d’America si accorsero tuttavia che qualcosa non andava. Aleggiava una certa agitazione negli occhi e nei mormorii dell’equipaggio, una specie di malessere celato con fatica. Dopo poco tempo il capitano avvisò i passeggeri al microfono che, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, non sarebbero atterrati a New York e che avrebbero fatto uno scalo tecnico a Detroit.

I passeggeri subito s’innervosirono e manifestarono il loro disappunto con toni quasi isterici. Alcuni promettevano denunce, altri irritatissimi si lamentavano del fatto che avrebbero perso gli appuntamenti fissati per il mattino dopo. Altri passeggeri, invece, altrettanto inbufaliti, facevano presente che i loro parenti erano in attesa in aeroporto  per portarli a casa. Chi li avrebbe avvisati? Quando sarebbero arrivati a New York? Con quale volo interno? E, soprattutto, quando sarebbero giunti a destinazione? Per le invettive e le denunce sapevano tutti che ci sarebbe stato tempo. L’unica cosa importante, in quel momento, era di riuscire ad arrivare alla loro destinazione, che quel giorno appariva loro molto lontana dagli finestrini blindati del loro aereo.

Il loro aereo non arrivò mai a New York. Era l’11 di Settembre 2001, l’aereo fu fatto atterrare a Detroit e la settimana successiva, per Antonio e Maria, si sviluppò assurdamente in 7 giorni allucinanti ripetuti tra immagini di dolore, immagini di morte assurde e sofferenze, ritmate sugli schermi del mondo, dentro una mela ormai triste, di cui non sentirono nemmeno l’odore.

Nel marzo 2002 nacque un bimbo dagli occhi verdi e guance rubizze. Lo chiamarono Giacinto. 3 anni dopo nacque Speranza una bambina dolcissima con boccoli d’oro al posto dei capelli, occhi azzurri come il cielo e un sorriso meraviglioso, nato per disegnare 2 fantastiche fossette sulle sue guance che profumavano di rosa e latte fresco.

Antonio pensava ancora a quel giorno. Lui e Maria non erano più riusciti a riparlare insieme di quella settimana, neppure con i 2 bimbi. Nei loro cuori albergava lo sgradevole fetore di morte che li aveva sfiorati, una morte figlia di un Dio maledetto e sconosciuto, di un demone senza luce, assetato di sangue e vita, senza nessuna distinzione di razze o religioni.

Antonio e Maria tutti i mercoledì accompagnavano i bimbi dalle nonne, poi, insieme, si recavano alla solita seduta d’analisi settimanale, nella speranza di riuscire a capire se il loro amore sarebbe sopravvissuto al dio della morte.


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