A castigare i remi per la battigia del legno, folgorato da separate forche, le due sponde perse nel rubino sgargiato d'altri versi, brandimmo fiordalisi per attraversare il guado a zampe di gallina sospesi sulla schiuma mai la china mai la bruma tempestata di diamanti, famigerati gli scalpi, ne conservammo alcuni sulla sponda fraterna del fiume, quella più lontana dagli occhi e veder passare i cadaveri sul selciato turpiloquio dell'acqua spenta fu patto d'alcova tra me e quel letto saporito prima che fosse flutto e solo un attimo dopo che il flusso si facesse irruento, moto d'oltranziste sciabole liquide di barlumi d'inizio oceano.
E guardavo e la luce m'impigliava nelle sue ghiande di cristallo, il cristallino e l'iride presi d'assalto a fremere sul prato per il sangue a colorar le foglie di amplessi fratricidi e costumi sbiaditi di altri verdi intrisi e maledetti i pensieri all'istante per non aver avuto la forza di sciogliere la neve e il nodo dell'assenza di parsimonia nel concedere abissi alla spremuta del vento.
Così mi castigavo, i costumi abbandonati al lato obliquo del ricordo di un'educazione di sughero, macinato l'antefatto nell'attesa che il non detto rispondesse alla preghiera fertile del costato trafitto del primo uomo, benedissi la mancanza di pietà del mio illuso specchio e non ebbi freddo nemmeno un brivido trasecolato dalle nuvole al collo, la nuca sottile la schiena spessa tutto sotto controllo e adagio non intonai mai una preghiera di cordoglio, a preferire il sortilegio fu la morte a strappo del mio petto, convulso il gorgo in gola e fuori dal corpo ma attorno ai corpi con maggior rimorso degli antichi se stessi, vivi in contumacia per deflagrazione dei sensi, ossa dormienti, spiriti spariti dai cardini.
Poi vidi te passare, galleggiante per stessa natura degli altri ma con in più un sospiro sepolto tra le falde e gli argini bianchi della pelle divisa.
Allora entrai in acqua trattenendo il respiro per sempre a cercare ragioni che non si trovano nelle unghie nei capelli nei seni nelle nocche e fare con te la stessa strada del fiume fino all'ultima stanza in cui si avvera il processo di trasformazione dei contrari in elementi d'equivalenze totali, divenne l'ultima riscossa. Quanto mi sembrò breve quel trascorso te lo dissi per tutto il tempo, mentre fingevi di ascoltarmi, custode dei soffi, il tempo finì per stancarsi di noi in una morsa.
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