Viene dall’invisibile
incarnando la presenza delle voci
ogni volta che accendo il fuoco a sera
affonda il verbo nella legna
con la saliva, da buio a buio,
mostrando lo spacco del sacro -la ferita,
il nome- delle rose nei miei fiori,
sono la nostra anima
là dentro,
nel camino acceso in cui abita qualcosa,
perché cresca la luce. Piegando le ginocchia
mi accuccio dove viene il rosso
con la veste arrotolata fino al timo
scoprendo la macchia azzurra sul mio fianco
scintilla nuda e disarmata -immutabile simurgh-
Con un piede dopo l’altro ascolto la corteccia da bruciare
le piste dei sogni attraverso gli anni
le pulsazioni di ogni tronco - ognuno canta per anelli
cigolando sotto i miei talloni- sotto le piante
sento gli uccelli volati via dai rami
le foglie rimaste sole
nel rettangolo vuoto del giardino. Mi tramando,
credendomi un albero,
Prego, senza una parola,
sono la stessa cosa. Nella pancia
i legni sono pronti
per rinascere dal fuoco
mi alzo scalza con tutto il corpo,
la riconciliazione nelle mani,
una per una. Odoriamo di pace
come quel giorno, nella sala di commiato,
non separandoti mai da me stessa
Con una lingua tenera
in un bianco leggerissimo di cenere
il nostro esserci è un segreto
ognuna canta nel pensiero
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