Maledetti il mese maledetto
e del mese il figlio sfasciato
a piacimento, mostruoso e
menomato,ventiquattro
giri esatti sulla piastra
porta -tempo per sorprendermi
nella tua conta. Maledetti
nel mese maledetto l'ora
e l'abbigliata, l'istante,
l'orologio, il disimpegno,
poi l'impiego, la gonna
bordeaux ed il tappeto
di fard srotolato bene,
la matita nera parabordo
al mio visto, patente
per guardare, carta
d'identità del mio gene
quasi geniale a farmi
opposta al corredo da cui
provengo, che si sa,
il cielo s'abbina bene
il grano sulla testa.
Io, invece, sono catrame
a nord e del litorale
e sono mare dove
mare non ci può stare.
Maledette le palme
ancora sane, non violentate
dal bubbone mangia fusto
e secca foglie, maledetti
lo scirocco, il divisorio,
di là Salerno, di qua l'imburrata
dei centri commerciali, i fuochi
fatui, zona industriale, e la ferrovia
di carrelli per la spesa, buste e
leccornie, portabagagli vicini
al vomito. Al bambino comprano
gelato, poi patatine: oleose
lingue crick e crack, ammucchiata,
plancton nella bestia rossa col
ventre alluminio. Maledette le
parole venute bene un tempo
prima ed arrotondate per una
sventura, ben calzate, prova
d'abito, la sposa sa di rancido
e sotto il bouquet ha marciume
e piccante. Q. b.
Non era la mia tavola
quella abbagliata, nemmeno
mio era quel cane: sedermi, Dio,
il grande errore! Dovevo svoltare,
si sempre là, dove ritte ed
extracomunitarie stanno le palme
ancora sane e la dadolata dei pacchi
commerciali, cubi Rubik monocolore,
le facce sempre uguali, mamma e papà
con gli scontrini ed il via vai delle
diciotto, al cinema o al marciapiede.
Zonaccia di donnine.
Bastava curvare ed imboccare
il letto, quello mio, ancora non
esploso dal bacio- puntura
ed urticante del dispettoso
al palloncino, pura creatura,
non era incinta, ma tronfia d'elio.
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