metteva il naso in un barattolo di vetro
quelli ampi per la frutta sciroppata o chissàdio
quante cose da stipare sono per l'inverno
all'ora di pranzo in terra straniera, armato di cucchiaio
rimestava i colori che affioravano alla trasparenza: il beige
il verde, i gialli e i rossi triti, pescando pezzi di carcassa
di cui mollati i resti, prima pregati, poi ammirati, poi spolpati
sul tovagliolo erano ossa di gallina
i traffici delle città restano un conto, sono nel solco
la sera un po' negli occhi un po' alle tasche del cappotto dato al vis a vis
sarà la vita a cui ti abitui, ma il troppo lavoro dato ai pochi
resta pesante che si deve demandare ad altri
così l'ultimo incarico che ricevi è di sceglierti, da schiavo
un sotto schiavo di quelli fronte ai rivenditori di laterizi
dispersi come cervi dalla luce insolita che fende i limiti
per una fuga a branchi prima via poi cautamente dentro di essa
uno dei tanti, noi siamo uno dei tanti
cercavo di spiegarmi incitandogli le bellezze del paesaggio
con sorrisi incompresi, fatti noti, temendo di non parlare della luce
allo stesso modo di una donna senza pensare sia un madre
ed i suoi occhi un frutteto che gli cascava in casa uscendo
e mensole e mensole nella dispensa con tutto etichettato
sparivano agli scooter che ci tagliavano davanti
all'arrivo al cantiere scesi al fango
nei forse c'eravamo già da sempre
un mestiere sognato che desse una pettinatura decente
a cui lui teneva, aspettando arrivasse l'era
la riga da una parte la mattina sembrava stesse lì da sempre
lei come lui come noi come loro nelle buche ci finiamo
per riparare le condotte a una città che aspetta
fino nel sogno bello dell'ora di pranzo quando hai tempo quando
si possono indicare nuvole nel cielo o contare i nodi al legno
o mettere il naso in un barattolo di vetro.
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