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L'orizzonte azzurrognolo del deserto arabico, il più desolato fra i deserti asiatici, fuggiva davanti allo sguardo. Allontanandosi, si lasciarono alle spalle la costa e gli ultimi villaggi che i fellahin, contadini pastori, costruivano lungo i corridoi degli widian.
Corsi d'acqua grandi poco più di un ruscello, gli widian si riempivano d'acqua solo in brevi periodi dell'anno, ma andavano subito a perdersi in conche saline e gessose per poi scomparire nella sabbia.
Ad ogni passo l'ambiente diventava sterile ed ostile; solo radi cespugli di piante grasse e qualche fusto di palma, oltre ad un paio di minuscoli campi di orzo resistevano alla ingiuria del sole. Il bianco perimetro delle case e la nebulosa, morbida catena di alture in lontananza, erano le sole cose che spezzavano la plasticità di quel posto, ma andarono sempre più rimpicciolendo alle loro spalle.
Nel deserto vero e proprio non erano ancora entrati, ma già un senso di arida solitudine cominciava ad opprimere corpo e spirito come una cappa che soffocava e schiacciava contro il suolo.
"Conosci bene Mayrama." esordì Rashid.
"Sono il suo discepolo. - spiegò il ragazzo- Egli mi ha affidato i suoi Testi Sacri… Ma perché non ci fermiamo a far riposare i cavalli?"
"Siamo ancora troppo vicini a Waqra." rispose il compagno.
"Credi ci stiano ancora inseguendo?"
"Ne sono certo."
"Uffah! Che caldo! Mi sento andare in fumo." si lamentò Akim.
"La Frusta di Allah, qui non è alleata dell'uomo." disse Rashid.
La Frusta di Allah! Così i beduini chiamavano il sole rovente.
Picchiava forte e il calore opprimeva. Sembrava che dalla sabbia si sollevassero vampate di fuoco, come se di sotto ci fosse un enorme braciere che bruciava e consumava tutto quanto stava in superficie. Una grossa lucertola mise la testa fuori della sabbia; Akim la guardò.
"Presto acquisterai forza e vigore." lo rincuorò il rais; Akim guardò ancora il piccolo rettile completamente emerso dalla sabbia che a turno teneva sollevate le zampette per non scottarsi.
"Guarda com'è ingegnosa quella piccola creatura." disse.
"Quasi quanto te, ah,ah,ah... - rise Rashid - Ma dimmi, come hai fatto alla reggia a creare quello scudo di fumo così provvidenziale?"
"Con questo. - il ragazzo mostrò un bulbo verdastro, grosso quanto una noce - Qui dentro c'è aria compressa. Basta schiacciare... E' solo un trucco." spiegò con una scrollatina di spalle e un sorriso.
Le voci, mentre parlavano andavano espandendosi, come la luce, che dominava la grande distesa gialla e muta. Muta perché erano proprio le loro voci gli unici suoni ad interrompere un silenzio assoluto a cui erano sconosciuti fremiti di ali, ronzii di insetti, fruscii di foglie: i soli esseri viventi erano muti come il deserto stesso.
Rashid fermò il cavallo
"Fermiamoci a mangiare ed a far riposare i cavalli." disse.
La sabbia era l'elemento sovrano e lo scenario aveva acquistato l'aspetto cupo e vuoto delle lande sterminate; la luce diventava abbagliante ed i crostoni rocciosi, all'orizzonte, assumevano tinte varie, conforme l'intensità del sole: ora rosse, ora nere e perfino verdi, quasi fossero coperti di vegetazione. Eppure non c'era pianta alla cui ombra potersi riparare: i pochi semi trasportati dal vento, dallo stesso vento venivano riportati via.
Akim sedette nel letto di uno wady asciutto. Una leggera brezza rendeva l'aria rovente, ma ancora respirabile.
Legati i cavalli ad una sporgenza rocciosa, controvento, Rashid si tolse il mantello, mettendo in mostra il fisico atletico; anche Akim fece l’atto di togliersi la giubba ricamata che gli copriva le spalle, ma il rais tese un braccio .
“No! – lo fermò – Non togliere indumenti. – suggerì – Avresti presto gravi scottature. Metti queste foglie in testa e girati controvento.” aggiunse porgendogli due grandi foglie di palma, poi cercò il posto più adatto per piantare nella sabbia il primo dei tre paletti tirati fuori dalla bisaccia che il guadiano delle scuderie del Sultano aveva consegnato loro assieme ai cavalli.
Akim seguiva incuriosito ogni mossa del suo nuovo amico, il fisico dalle proporzoni straordinarie, le braccia muscolose, le spalle atletiche, il dorso della mano con cui si detergeva il sudore.
“Che cosa stai facendo?” domandò; Rashid fece convergere lo sguardo acuto sul visetto proteso del piccolo.
“Un riparo per difenderci dalla Frusta di Allah!” rispose.
“La frusta di Allah? - fece eco il ragazzo, ma riprese subito –Ah!… Ho capito!… L’arsura del sole.” sorrise; il rais intanto, conficcati gli altri due paletti nella sabbia, vi adagiò sopra il mantello.
“Mettiti al riparo lì sotto. – disse – Non ci riparerà dal caldo, ma ci eviterà una insolazione.” precisò, mentre prendeva la borraccia, anche questa attaccata alla sella del cavallo.
Akim ubbidì docile. S’infilò sotto il provvido capanno e vi prese posto accovacciato ed a gambe incrociate. Lo stesso fece Rashid, sempre sotto lo sguardo del ragazzo che lo seguiva quasi con ostinazione, mentre gli tendeva la borraccia.
“Sono felice di essere tuo amico, Rashid.” esclamò il ragazzo portandosi la borraccia alla bocca; il rais ebbe un sorriso che gli distese la faccia bella di maschia bellezza, che un accenno di barba rendeva virilmente ostinata.
Akim parve sul punto di dire qualcosa, ma il giovane lo prevenne:
“Aspetteremo qui il passaggio della carovana.” esordì.
“Quale carovana? domandò Akim rendendo la borraccia, dopo averne pulito il beccuccio con l’orlo della manica della tunica.
(continua)
brano tratto da IL RAIS - Misteri d'Oriente di Maria Pace
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