«Guarda tutta questa bellezza che abbiamo intorno!» esclamai accennando alla distesa della valle coi suoi paesi sparsi, coi colli e i monti lontani immersi nel sole luminoso di una giornata di prima estate. Volevo distrarre la sua mente dal pensiero della morte. «Non sono pronta a lasciare tutto questo» mi rispose fermandosi all'improvviso e girandosi verso di me. Aveva le lacrime agli occhi. Mi si strinse il cuore e mi pentii di quello che avevo detto. Com'è immensa la distanza fra chi soffre e chi cerca di alleviare con le parole ciò che non può essere alleviato!
Già provata com'era dalla malattia si stancava presto e decidemmo di tornare indietro. L'avevo accompagnata in una breve passeggiata e mi aveva parlato della disperazione dei suoi anziani genitori. «Mio padre è come una mosca senza capo».
Il terribile male che l'aveva colpita la prima volta quando era ancora poco più che adolescente e che sembrava debellato era riapparso dopo diciotto anni. Un raro tipo di cancro, dal nome astruso che ho dimenticato. Era cominciata la solita trafila di operazioni, chemio, ricoveri e l'altalena di speranze e disperazione. Carla era figlia unica di due genitori ormai anziani coi quali tuttora viveva, non essendosi mai sposata.
Era di una bellezza intensamente spirituale, quasi che la sua anima, così profonda e ricca, trasparisse attraverso la carnagione diafana e attraverso gli occhi di uno strano colore cangiante, a volte verdi come le giade di una collana che amava portare. Aveva una sensibilità quasi eccessiva che la portava a vivere acutamente su di sé le sofferenze altrui, anche quelle degli esseri della natura, di un albero tagliato o di un uccellino caduto dal nido. Durante la lunga malattia la sua sofferenza maggiore era per il soffrire dei genitori.
Nata e vissuta a Campiglia, Carla era stata maestra elementare in varie località vicine, dato che Campiglia, da quando i suoi abitanti sono così pochi, non ha più scuole. Aveva educato legioni di bambini, e quasi tutti i suoi allievi le erano rimasti profondamente attaccati. Adottava anche metodi sperimentali sui quali ha scritto dei libri. Alla cura dell'ultimo attendeva strenuamente negli ultimi mesi. Per fortuna il libro uscì in tempo e se ne poté fare una presentazione quando l'autrice era ancora viva. Fu un'occasione per la nostra piccola comunità di stringersi intorno a lei e ai suoi genitori. Fino all'ultimo fu incerto se le sue condizioni le avrebbero consentito di esserci, ma lei riuscì con straordinaria forza di volontà a essere presente. Venne portata in ambulanza e poi su una sedia a rotelle. Si era vestita con cura e aveva avvolto sulla testa resa calva dalle cure un turbante di maglia nera. Il suo viso, che la malattia invano aveva provato a sfigurare, irraggiava una severa bellezza, la bellezza della sofferenza e di un amore per la vita e per il lavoro che quel giorno le consentiva di dimenticare quasi il suo terribile male. C'erano tutti i suoi bambini, le colleghe delle scuole in cui aveva insegnato, gli abitanti del paese e tante persone che la conoscevano venute da ogni parte. La sala era gremita. I bambini, le colleghe, le amiche la colmarono di doni e lei sulla sua sedia a rotelle riceveva gli omaggi come una regina in trono. Io, che ero a Roma per il lavoro, riuscii a fare una scappata e a essere presente. Nella gran folla e in mezzo a tante emozioni ero sicura che non mi avesse notato e invece pochi giorni dopo a Roma ricevetti da lei una telefonata di ringraziamento per essere andata. Da tanto tempo stava troppo male per telefonare ed ora sembrava tornata quella di prima. Non l'avrei più rivista: poco tempo dopo spirava fra le braccia dei suoi genitori a quarantanove anni.
Prima di andare in pensione il padre vendeva bombole di gas e articoli elettrici, la madre aveva un negozio di mercerie, ora chiuso da tempo, dove si andava volentieri per fare due chiacchiere con quella bella signora dai modi gentili. La nonna paterna era stata l'ostetrica del paese e in casa conservavano e mostravano la valigetta di lei con gli strumenti della professione. La famiglia viveva in una bella casa sulla strada principale della parte più recente di Campiglia con un piccolo orto ombreggiato da alberi sul retro. Erano rispettati e benvoluti e conducevano una vita appartata tenendosi fuori dalle chiacchiere, invidie e gelosie del paese. L'avvenimento più notevole nella vita di questa famiglia era stato il soggiorno in casa loro per due anni degli 'americani', quando Carla era una vivace bambina di quattro anni (vd. cap. 00).
La madre cominciò subito con l'aiuto di qualche amico a raccogliere e ordinare la ricchissima eredità spirituale della figlia. Carla aveva avuto infatti spiccate doti di artista, che trovavano molteplici forme di espressione. Sapeva fare tante cose con le mani: decoupage, quadri con fiori secchi, scatole dipinte e altro ancora. Disegnava ed era una fotografa della natura eccezionale e appassionata. Ma soprattutto aveva coltivato sempre segretamente la poesia, della quale aveva il dono. Scriveva per sé e nessuno ne aveva mai saputo niente. Però aveva lasciato detto a un'amica che le sarebbe piaciuto che dopo la sua morte fossero pubblicate le poesie. Così la madre le cercò, le raccolse e con l'aiuto di amici se ne stampò una prima scelta in un esile libretto, a cui un altro seguì qualche anno dopo. Sulla copertina del primo c'era una straordinaria fotografia scattata da lei di un campo di rossi papaveri mescolati a margherite bianche su uno sfondo di neri cipressi. Su quella del secondo un'intensa foto di Carla davanti a due margherite bianche in un vaso: sulla spalla sinistra ha il suo Titti. Titti era un cardellino caduto dal nido che lei aveva raccolto. Forse era un 'cacanido', come dicono qui per indicare l'uccellino che esce dall'uovo deposto per ultimo: se ne schiude uno al giorno e di solito sono cinque, per cui l'ultimo nato ha cinque giorni meno del primo, è assai più piccolo dei fratelli nati prima e soccombe nella competizione dei becchi spalancati e dei colli tesi per il cibo portato dai genitori, è l'ultimo a lasciare il nido e quando lo fa spesso finisce male perché è malnutrito e quindi più debole e inetto. Carla era riuscita a tirarlo su imboccandolo pazientemente con uno stecchino. L'uccellino le era attaccatissimo ed era la sua gioia. Dalla gabbietta in cucina riconosceva il rumore della macchina di Carla che tornava dal lavoro e la salutava con un canto speciale. Quando morì il suo corpo messo in una scatolina si conservò quasi intatto e Carla in una lettera con le sue ultime volontà aveva chiesto che la scatolina fosse sepolta con lei, ma la lettera fu trovata solo dopo i suoi funerali. La madre mi ha raccontato che quando è stata murata la lapide è riuscita a far mettere la scatolina nell'intercapedine.
Il primo libro fu presentato pubblicamente: ci furono interventi di persone che avevano conosciuto Carla o avevano collaborato con lei ai suoi libri di didattica, furono proiettate fotografie da lei scattate ai cieli e alla campagna di Campiglia e un fine dicitore lesse alcuni dei testi. Anche questo fu un incontro affollato e ad altissimo tasso emotivo. La comunità, riflettei allora, stava trovando un motivo di coesione nel segno di una notevole personalità espressa dal suo seno.
Attraverso le poesie è cominciato uno straordinario dialogo fra la madre e la figlia morta. La madre, forzando la mano sempre più anchilosata dall'artrite, si è messa a copiarle in quaderni di scuola comprati nella rivendita sotto casa, a righe o a quadretti, con le copertine vivacemente ornate da fotografie di gattini. Quando un quaderno è ultimato lo dona a qualcuno che sa essere stato vicino alla figlia, così come sta via via donando i piccoli gioielli, che lei stessa le comprava, alle amiche di lei o a bambine sue allieve ormai sbocciate in floride ragazze.
Così dopo la morte di Carla abbiamo conosciuto le sue poesie. Dalle date, quando sono state apposte, si vede che, come capita spesso ai veri poeti, era visitata dall'ispirazione a ondate, separate fra loro da lunghi periodi di silenzio: la maggior parte dei testi si concentrano essenzialmente in due fasi, una in cui era giovanisssima, fra i diciassette e i diciotto anni, e una negli anni della maturità, fra i quaranta e i quarantacinque. Il suo è un canto che sgorga nativo, simile a quello di un uccello; e ricorda le melodie degli uccelli anche nel frequente ricorso all'anafora e al refrain. Lo stile è semplice, dimesso; a volte c'è un andamento diaristico e quasi di prosa poetica.
Nei suoi versi Carla dà espressione a una profonda inquietudine, a una ricerca religiosa che non conosce certezze. Le prime poesie che parlano di questa ricerca insoddisfatta, di queste domande senza risposta sono rivolte a un Tu con la maiuscola.
Un giorno Ti incontrerò
nella via del ritorno,
tra deserti viali senza fine,
nelle strade di ciottoli e sassi.
............................................................
Ti seguirò in silenzio
nella tristezza del crepuscolo,
nella solitudine del tempo,
nella quiete della sera.
E ancora:
Ti ho aspettato nel silenzio
di notti senza stelle,
nelle sere di nebbia,
nelle strade deserte.
..........................................
Ti ho aspettato nella mia solitudine,
sotto la luce di una lampadina,
nelle pagine di un libro.
Ti ho incontrato, chi sa,
e non Ti ho riconosciuto.
Ma ci sono anche poesie rivolte a un tu senza maiuscola, che parlano di un amore che riporta il sole e la vita «nell'anima stanca» e dà un senso alla «ricerca vana», che ha la funzione di guidare a qualcosa di altro o di aiutare a superare momenti di smarrimento.
Aspetta un po' ancora.
Lo so è un po' triste stasera.
Ma ti prego aspetta,
non lasciarmi sola,
ho troppa paura stasera.
La nebbia ci avvolge.
C'è odore di strada bagnata,
le luci offuscate di case lontane
mi danno tristezza, mi sento avvilita.
Un amore naturale e profondamente necessario:
Come il respiro del giorno
e il porpora del tramonto
mai finirà di sorprendermi
il nostro sentimento
fra tutti
il più delicato
fra tutti il più forte.
O ancora:
Quando t'ho incontrato
non immaginavo,
poi è successo tutto all'improvviso,
così come sboccia un fiore,
come sorge l'alba nel mattino.
Come una pioggia leggera
sei sceso sulla mia strada.
Una precoce primavera le accende
il ricordo di un marzo così lontano
e così vicino,
tra le spume bianche
di un mare tormentato,
che guardavamo muti
timorosi di mutare in parole
i nostri nuovi sussurri interiori.
Coi nostri corpi impacciati
non riuscivamo a frenare
lo slancio
dei nostri pensieri
galoppanti,
in quella spiaggia solitaria,
come cavalli impazziti.
L'amato è lontano in remoti paesi:
Costantemente appari nei miei sogni
tra cieli di magici colori
tra venti di strani paesi.
Il viso bruciato dal sole,
un sorriso delicato
e le braccia tese.
Mi perdo nei tuoi nuovi orizzonti
e spero
che in quel sole diverso
tu veda il mio amore.
E Carla canta il dolore dell'assenza:
Sono rami inariditi
le mie dita private
del calore della tua fronte.
Oppure:
Due mozziconi di sigarette
in un portacenere.
Due sospiri di desiderio
sul divano.
Due parole d'amore
sospese nell'aria.
Solo il tuo nome
è rimasto nei miei ricordi.
E descrive la sua vita divisa fra amore e lontananza, disperazione e speranza:
Nel mio piccolo mondo c'è un abbraccio,
il tuo abbraccio,
caldo respiro nelle notti d'inverno,
vento leggero nelle sere d'estate.
Il mio piccolo mondo è inondato
dalle lacrime del tuo abbandono.
Nel mio piccolo mondo
c'è una casa piena di finestre
aperte sulle profondità colorate del cielo
con stanze buie in cui ho riposto i morti ricordi
e altre luminose dove festeggio le mie rinascite.
La perdita dell'amato è nella legge della natura esattamente come averlo incontrato:
T'ho perduto
come si perdono i fiori della primavera,
come d'inverno si perdono le rondini,
come si perdono le nuvole nel cielo.
In una di queste poesie l'amato appare come un mediatore fra l'uomo e Dio:
Conosco ormai il tuo modo
di guardare la gente,
di accogliere, di sfogliare un libro,
il modo che hai di accarezzare
e di parlare piano
per far schiudere leggera
l'anima alle tue parole.
Conosco il tuo modo di sorridermi
e di arrabbiarti,
di riflettere
e di prendere in giro.
Conosco bene i tuoi occhi
di bimbo pauroso,
piccoli raggi accesi di vita.
Conosco il tuo profilo
nella penombra
quando parli in silenzio al Padre
e gli chiedi cose per noi.
Gli accenti con cui Carla parla al Tu maiuscolo non sono del resto molto diversi da quelli con cui si rivolge al tu con la minuscola:
La mia anima ha bisogno di Te
come il mondo ha bisogno del tempo,
come l'aria ha bisogno del vento,
come il bimbo ha bisogno di una carezza.
Non so chi veramente Tu sia,
non so qual è il tuo nome,
ma so che la mia anima ha bisogno di Te
come la terra ha bisogno dell'acqua.
L'altro grande amore di Carla è quello per il paese natio, «Campiglia, paese delle fate»:
Sei tu, Campiglia, che ho
visto aprendo gli occhi, tu che mi hai offerto le prime
luci, i primi colori, i primi suoni,
la prima immagine del mondo.
.............................
Vorrei morire guardandoti
come Francesco morì
guardando Assisi.
E in un'altra poesia scritta a diciassette anni come la precedente:
I tetti di Campiglia sotto la neve
sono una favola.
....................................
Sopra le ginocchia ho il libro aperto a Machiavelli
ma i miei occhi sono puntati alla finestra,
a Campiglia, alla rocca, sulla quale stanno
scendendo leggerissimi fiocchi di neve.
L'amore per Campiglia è inseparabile dall'amore per la splendido paesaggio naturale in cui è situata: la natura è del resto anche il principale mezzo di espressione di Carla, nelle cui poesie molto è detto attraverso i fiori, i cieli, il mutare delle stagioni, perfino le piccole vicende dell'orto dietro casa, dove fotografa un pettirosso infreddolito nella neve o la sua gatta che gioca con una pietra e riferisce quasi in presa diretta una scenetta di uccelli:
Ho appena assistito a una scena stupenda: il passerotto che ogni giorno viene a mangiare nell'orto ha portato il suo piccolo e l'ha imboccato con briciole di pane.
Oppure coglie il fiorire della prima viola del pensiero:
Tra le pietre dell'orto
è spuntata all'improvviso
una piccola pansé
dai tenui colori
che ora il vento
sta facendo danzare.
Non esiste fiore più bello.
Ed ecco un'altra istantanea dell'orto:
Nell'erba bagnata
gli storni cercano il cibo...
i fiori bianchi del pero
risplendono sotto la pioggia
e il pensiero di te
trasforma l'orto in un giardino incantato.
Circolano in questi testi l'aria, il vento, le nuvole, i fiori, la neve di questo paese di montagna:
I profili delle colline si perdono lontano,
il vento gioca col grano bambino.
Oppure:
Sulla neve
vedo scritto il tuo nome
e il ghiaccio
sotto le scarpe scricchiola.
.......................................
Il vento alza nuvole di polvere bianca.
O ancora:
Mi ha sorpreso
questo nuovo e intenso fiorire
di fiordalisi
posati come un velo leggero
su un prato solitario.
Ed ecco la descrizione di un'alba:
C'è odore di fieno bagnato qui nella valle;
la illumina una raggiera di luce
cullata da morbide nuvole bianche
in un cielo azzurrino.
I cipressi, custodi gelosi delle case,
aspettano curiosi la metamorfosi del sole.
Ma anche la vita quotidiana di Carla si rispecchia in queste poesie, soprattutto i suoi affetti. Per la morte di un'amica di famiglia, 'nonna Nilde', che l'aveva vista nascere («hai sentito il mio primo pianto / e hai detto al babbo di me / mentre piangeva nel corridoio») scrive che non riesce a credere che l'estate che verrà
spezzerà l'abitudine
di vederti lì seduta col respiro affannato,
così piccola e grande,
così unica, profumata,
sorridente, elegante nei tuoi scialli,
nei tuoi capelli candidi
nei grandi occhi chiari.
Non riesce a credere che nonna Nilde non vedrà «queste giornate / che si stanno allungando» e non respirerà «i primi odori / della primavera». Ricorda l'ultimo abbraccio, quasi presago, accompagnato dal dono di una fotografia di loro due di molti anni prima. La poesia si chiude così:
Ora ti vedo ballare leggera un walzer
di Chopin mentre sorridi al tuo
cavaliere, e mentre balli spargi intorno
il tuo profumo.
Il babbo compare anche in un'altra poesia, che dà voce a una singolare fantasia: Carla vorrebbe poter «spiare la sua vita dal buco della chiave / di una porta che resta sempre chiusa», vorrebbe vedersi nascere e poi vedere
il primo sorriso che feci a mio padre,
la sua emozione quando, per la prima volta,
avvertì nel suo mondo la mia nuova presenza.
Una tenerissima poesia d'amore è scritta da Carla diciottenne per la madre ed io leggendola trascritta dalla madre stessa penso allo strazio e anche al conforto che avrà provato copiandola. In altri versi trova espressione il desiderio di maternità attraverso un'immagine di una fisicità più eloquente di qualsiasi lungo discorso:
Vorrei che un bimbo
mi chiamasse mamma,
vorrei con la mano
accarezzargli la fronte,
toccare i suoi capelli,
sentire se è sudato e dirgli:
«Basta, adesso sei stanco».
Questo sentimento materno si riversò sui bambini della scuola: in una prosa bellissima, a conclusione del primo quinquennio di insegnamento elementare, li evoca uno a uno con rapidi tocchi ed esprime tutta la malinconia del distacco da loro.
I curatori del libretto hanno scelto di chiuderlo con una poesia che comincia «Quando morirò...», che è di fatto il suo testamento spirituale, anche se è stata scritta a diciotto anni:
Quando morirò
non cercatemi in una tomba,
cercatemi negli alberi in germoglio,
nei fiori che si aprono,
nei tramonti,
nelle nuvole bianche.
Quando morirò
non cercatemi nei ricordi,
cercatemi nei gigli dei prati,
nei colori dell'alba,
nel sole rosso,
che accompagna il giorno,
che scalda le montagne.
...............................................
Cercatemi nel vento,
nelle stelle del cielo,
nelle mie poesie;
nei boschi che odorano di muschio,
nella luce del giorno,
nel mare, nelle cose che ho amato.
Guardando indietro, ora che il cammino di Carla si è concluso, si è portati a vedere un presagio della sorte che l'attendeva in questo ricorrere così frequente del pensiero della morte in una ragazza. Solo dopo la sua sepoltura i genitori trovarono un testamento, senza data, in cui fra l'altro era scritto che voleva essere sepolta in piena terra «e sopra piantateci un alberino». La fredda burocrazia comunale le ha assegnato un tetro loculo di cemento e per di più nella quinta fila in alto, dove è necessario arrampicarsi perigliosamente su una scala per deporre un fiore. I vecchi genitori, ultraottantenni e pieni di acciacchi, che non hanno più nulla nella vita se non il ricordo della figlia e che escono quasi soltanto per andarla a trovare al cimitero, hanno chiesto al comune di spostarla a spese loro, se non in una tomba terragna come lei aveva desiderato, almeno nella fila più bassa. Non hanno ricevuto risposta.
Cara Carla, più che nella tua tomba ti cercheremo, come tu volevi, nella natura che ci circonda e nelle foto e poesie che esprimono il tuo amore francescano per il creato e legano intimamente il tuo ricordo alla bellezza della terra dove sei vissuta e dove tanti ti hanno amato.
I testi, le immagini o i video pubblicati in questa pagina, laddove non facciano parte dei contenuti o del layout grafico gestiti direttamente da LaRecherche.it, sono da considerarsi pubblicati direttamente dall'autore Silvia Rizzo, dunque senza un filtro diretto della Redazione, che comunque esercita un controllo, ma qualcosa può sfuggire, pertanto, qualora si ravvisassero attribuzioni non corrette di Opere o violazioni del diritto d'autore si invita a contattare direttamente la Redazione a questa e-mail: redazione@larecherche.it, indicando chiaramente la questione e riportando il collegamento a questa medesima pagina. Si ringrazia per la collaborazione.