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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Nilla Licciardo

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 25/04/2019 12:00:00

 

L’autrice qui intervistata è Nilla Licciardo, prima classificata al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, V edizione 2019, nella Sezione B (Racconto breve) con “La gerla”.

 

 

 

Ciao Nilla, come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Sono una lettrice appassionata, una musicista e un’insegnante di pianoforte. Dopo gli studi classici, che ho affiancato a quelli musicali, ho scelto di portare avanti questi ultimi, mantenendo la mia passione letteraria nella sfera del privato. Lavoro nella scuola da molti anni e amo la mia professione perché, oltre al piacere di diffondere e coltivare la musica, mi permette di restare in contatto con gli adolescenti, che con la loro spontaneità mi aiutano a guardare la vita con occhi sempre nuovi e sinceri.

Fin da bambina ho amato perdermi nei libri e giocare con le parole. Tento di interpretare, tra le pagine che leggo e quelle che scrivo, le consonanze e le dissonanze dell’esistenza umana.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Ho iniziato l’anno scorso a partecipare a concorsi letterari per mettermi in gioco, per trovare uno stimolo che mi spingesse a impegnarmi seriamente nella scrittura e per la curiosità di verificare se ciò che scrivevo poteva incontrare i gusti dei lettori. Ho già avuto la soddisfazione di un primo premio al concorso “Mille e… una storia” e ora questo riconoscimento è per me un’ulteriore iniezione di fiducia che mi porterà a perseverare nei miei progetti.

Penso che i premi letterari, soprattutto quelli onesti e imparziali come il vostro, siano una grande opportunità di confronto per gli aspiranti scrittori di ogni età. I concorsi hanno sempre rappresentato un fattore di aggregazione culturale all’interno delle comunità locali e forse oggi la loro fortuna è aumentata grazie alla facilità di accesso alle informazioni in rete. Si sente spesso dire che il numero degli scrittori sia in continua crescita, a dispetto del calo dei lettori, ma non si può negare che le due cose siano spesso collegate. Ben vengano dunque tali occasioni che veicolano una crescita culturale nel territorio nazionale.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Dai sette anni in poi ho letto un po’ di tutto. Ho divorato i classici per ragazzi e ho affrontato presto la letteratura ottocentesca, sia europea che russa. Ho molto amato, Fogazzaro, De Amicis, Deledda, Dickens, Dumas, Flaubert e Zola. C’è stato poi il periodo di Dostoevskij, Tolstoj, Cechov e Gogol. Durante gli anni del liceo mi sono appassionata a Hesse e Moravia e ho letto Pasolini, Sartre, Proust, Kundera, Garcia Marquez, Calvino e molti altri.

Ho sempre avuto un’attenzione particolare per la letteratura siciliana, da Verga, Pirandello e Capuana fino a Tomasi di Lampedusa, Brancati, Sciascia, Patti e poi ancora Consolo, Bufalino e Camilleri. Ho avuto un periodo di grande fascinazione per Rosetta Loy e per Maria Bellonci, grazie alla quale ho iniziato ad apprezzare i romanzi storici e le biografie. Ho molto amato anche Vassalli e Tabucchi. Solo di recente mi sono accostata agli autori americani. Tra i contemporanei apprezzo molto Mc Ewan e Allende.

 

 

Secondo te quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Per me lo scrittore ha oggi più che mai il dovere di essere testimone del presente senza distogliere gli occhi dal passato. Senza una riflessione storica non può esserci vera consapevolezza del proprio tempo.

 

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storia di scrittrice, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Per me scrivere è sempre stato un gesto naturale e spontaneo, a volte una pressante esigenza interiore; da quando ho imparato a scrivere non ho più smesso. Per molto tempo è rimasto però un fatto intimo e personale: nonostante le pagine che si accumulavano nel mio cassetto, non ho cercato riscontri o consensi esterni.

L’insicurezza mi aveva portato a considerare questa passione come una sterile velleità, un capriccio. A un certo punto mi sono resa conto che la riservatezza e il timore di essere giudicata mi avevano fatta rinchiudere in un guscio dal quale non riuscivo più a uscire, che mi impediva di crescere e di evolvermi. Ho deciso allora di concedere maggior spazio alla mia inclinazione letteraria: ho iniziato a frequentare corsi di scrittura creativa, per cercare di affinare lo stile, e ho rispolverato vecchi progetti. Mi sono anche iscritta a un circolo letterario, dove ho avuto l’occasione di fare parecchi incontri stimolanti: scrittori, editor, docenti ed esperti di linguistica, personalità affascinanti e di grande spessore culturale che mi hanno spinto a riprendere la penna in mano con una nuova consapevolezza. Non rimpiango di essermi aperta agli altri e di aver trovato il coraggio di sottopormi alle critiche. Anche il semplice confronto tra lettori appassionati e scrittori dilettanti si è rivelato proficuo e costruttivo. Ho all’attivo alcuni articoli e delle collaborazioni editoriali in ambito musicale; alcuni miei racconti sono stati pubblicati su riviste e in antologie di concorsi letterari.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

A volte parto da un’idea, uno spunto che mi cova in testa anche per mesi, che rimane in incubazione finché non è pronto per venire alla luce. Mentre guido o cammino per strada riordino le fila di una scena, di un dialogo, o delineo un personaggio. Quando l’idea è matura avverto l’urgenza della sua stesura: come se dovesse per forza separarsi da me per acquisire una propria autonomia. Inizio allora a scrivere la traccia e poi la sviluppo. A volte scrivo di getto ma in genere sono piuttosto lenta e pignola e continuo a rifinire e a limare i miei scritti finché non sono soddisfatta del risultato, tornandoci su più volte, anche a distanza di tempo.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Innanzitutto, trattare argomenti che mi stanno a cuore e raccontare storie di cui avverto la valenza umana e sociale. Con la segreta speranza di riuscire a comunicare agli altri in maniera efficace, ma con leggerezza, un contenuto, un’emozione; di coinvolgerli in storie in cui riescano a trovare delle assonanze personali, in cui possano riconoscere frammenti di sé stessi.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Non saprei, non sono in grado di giudicarmi da sola.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?

 

All’inizio i miei scritti erano più che altro a carattere autobiografico ma col tempo ho imparato a prendere le distanze da me stessa. I temi ricorrenti della mia scrittura sono le storie familiari, spesso ambientate nel passato e viste da una prospettiva femminile. Mi affascina esplorare la storia e ricostruire antiche vicende, ricucendone con la fantasia gli strappi e i punti oscuri, come un restauratore che riempie le lacune di un affresco per ricreare l’armonia dell’immagine.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Racconto breve, scrivi anche in versi? Se no, pensi che proverai?

 

Ho scritto versi fino ai vent’anni circa, poi ho smesso, per prendere le distanze da un’ipersensibilità che vivevo come dolorosa. Per proteggermi dalla sofferenza ho rinunciato alla poesia, ma non escludo che in futuro mi ci accosterò ancora.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

Sono nata e vissuta in Veneto ma sono di origine siciliana. Entrambe queste terre fanno parte di me: la mia mente razionale e il mio presente abitano il nord est mentre la mia irrazionalità e la mia inquietudine emotiva hanno profonde radici meridionali. Non ho mai interrotto il rapporto con la Sicilia, nella quale ambiento spesso le mie storie e in cui torno ogni anno come una turista sentimentale, mossa dal richiamo del passato e dalle sensazioni perdute delle lunghe estati dell’infanzia. Subisco il fascino contraddittorio di questa terra, che a volte mi attrae, a volte mi indigna, ma da cui non riesco a prescindere. Spesso tornarvi è doloroso, perché la modernità del suo aspetto attuale e le mille incoerenze che ancora l’affliggono non mi aiutano a ritrovare quel suo aspetto che mi porto dentro, per il quale provo un’incoerente nostalgia.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittore si trova a cavallo di due mondi?

 

La scrittura è quel mondo magico dove realtà e finzione si compenetrano e si confondono. In ogni storia inventata c’è qualcosa di reale o autobiografico, così come in ogni storia vera che si voglia raccontare c’è sempre qualcosa di irreale, in quanto non può non prevalere la soggettività del narratore. Forse è proprio questo uno dei motivi di maggior fascino della letteratura: è un territorio libero, dove gli unici confini sono quelli della fantasia.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Finora i miei lettori sono stati soprattutto parenti, amici o conoscenti. Proprio per questa eccessiva vicinanza nutro parecchi dubbi sulla loro obiettività. Mio marito, che ringrazio, è il lettore più severo e obiettivo di cui dispongo, perché mi aiuta a mettermi ogni volta in discussione.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge sé stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in sé stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

È una frase molto efficace, che descrive una sensazione che tutti abbiamo sperimentato nel rapporto con un buon libro, che apprezziamo proprio per questa sua capacità.

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Un buon testo, a parer mio, deve semplicemente catturare l’attenzione del lettore facendogli venire voglia di proseguire la lettura. Quando un libro mi piace lo leggo e lo rileggo più volte, lo interiorizzo e non lo dimentico più. Dev’essere privo di inutili verbosità, di pedanteria, presunzione o autocompiacimenti stilistici, deve avere un ritmo nella narrazione e una struttura coerente; deve dimostrare rispetto per la sensibilità di ogni lettore. Al di là delle vicende narrate, che possono anche essere drammatiche, dovrebbe sempre lasciare un messaggio positivo, che possa far chiudere il libro con la sensazione di essersi appropriati di qualcosa di bello e di autentico.

Non ho mai fatto recensioni di libri, solo qualche intervento critico informale.

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

“Mi sembrava proprio di essere dentro quella scena…”

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

Parecchie critiche mi hanno spronato a migliorare: sarebbe troppo lungo elencarle tutte. Avevo una scrittura un po’ ridondante, che spero di aver imparato a contenere.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Ho tante buone intenzioni e dei progetti di cui, per scaramanzia, è prematuro parlare!

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

La musica, la lettura, la storia, l’antiquariato, i viaggi e la buona cucina.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

Tutto il bene possibile. Sono le grandi chance della modernità. È bello che ogni autore possa esprimersi liberamente pubblicando i propri testi come è giusto che il lettore abbia il diritto di dire la sua opinione, di commentare e valutare un testo.

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Domanda: da uno a dieci, quanto sei felice di aver vinto il Premio Babuk?

Risposta. Dieci!

 

 

Grazie.

 

Grazie a voi, di cuore!

 


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