Quell'estate volevi comprare un gazebo
da spiaggia: sotto riunire, calumet della
pace, il circo delle buone abitudini.
Tu progettavi ed io, lungo il corso
che dava sul fiume, putridume e spaccio,
cercavo le mie stelle. Mai ti mostravo
i fianchi speronati dal desiderio di quelle
vie appiccicate alla terra in formato
collage, mosaico di alberi giallognoli
e vecchie botteghe. Quell'Agosto,
Agosto era caldo fino al casello
che ci inghiottiva per darci ai
monti e nella piazza antistante
il bar, cieco quanto il bastardo
di qualche facile gattaccia,
blu di divani e di insegna,
sedeva sedata dal tedio la gioventù
del Molise: giacche ed alcolici,
risa, discoteche, distanti maliarde.
Io mi sentivo sicura sui ciottoli
ripidi, autostrada di discese e
salite: una gradinata cingeva
il monumento maggiore, messo
al centro, naso quasi aquilano,
odorava di antico e guerre, di
fascismo e cannoni dimenticati
come dentiere. Quanto ho amato
quella sera d'estate nessuno potrà
mai saperlo e quanto ero certa
del mio bacino e delle cose
che per le mie gambe erano tutto.
A proposito: un giorno mi sfilarono
gli stivali verdi, quelle lucertole
tacchi e punte tonde cavesi, sono
state arrendevoli ed obbedienti
alla mano che corse esperta
ad aprirgli la bocca .
Si afflosciarono l'uno sull'altro:
svenuto il destro, il sinistro
sopportò poco il peso del primo caduto.
Allora forse mi sono ammalata,
quando trovandomi scalza sul pavimento
dei tali, ho avuto freddo. Ed il freddo
mi ha risucchiata. Giù, fino in fondo.
Un Draculino soddisfatto non ha tenuto
conto di quanto mi fosse già vicino
alle ossa con quella sola,
veloce suzione granata.
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