La stazione è ancora treni,
la ola dei palazzi in altero convegno,
" Ok Computer" manda bagliori
color ufficio dall'angolo con i parcheggi.
Se un Mario arriva con la borsa tronfia,
un altro scende sottile più di un filo
d'acqua; io non conosco il rumore
delle rotaie ma so come le hai intese
nei tuoi via vai. Tu portavi neve
in riva al mare ed il mare,
per punirti, ti portava via me.
La porta sta socchiusa come allora:
il " Privato" è un cave canem a
cui dovevo piegare il collo,
ma come spesso accade agli indecisi,
me compresa e bandierina,
ho sfidato l'apertura, un'Idra abbaia,
un'Idra muore, ed il bocchettone
lussurioso, la boccia che trasudava
olio. E madida del gran peccato,
ho cercato, una volta uscita,
di ripulirmi la schiena, lì dove
forse era più carne la mia propensione
al volo. La stazione è ancora treni:
bisce grigie e d'amaranto risalgono
il mestruo caldo del sud e vanno
verso la cerebralità dei portici
e delle torri di tutti i nord.
Lì dove tutto è meccanismo,
fabbrica e pedali alla domenica,
lì dove l'onda è la pagnotta del weekend.
La stazione è ancora treni e le tue
gambe impagliate a bordo città,
hanno percorso un tratto della
mia prima vita: laboratorio e
geografia, statino, lode e promozione.
Ma adesso che resti al cuore
della molla che ti schizzò da queste
parti, vorrei sentissi la mia felicità
traslocata dagli scambi, dal ritardo,
dalle chiome separate o ladre e
dalla stanza, alcova - spia.
Ho affittato un corpo un tempo,
restio sigillo, un mulo, una cassa:
felicità è che non s'apra subito
per scoprirsi semplice e mai
abbastanza da dirsi al freddo.
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