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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

da La Tristezza degli angeli

di Jon Kalman Stefansson 

Proposta di Carlo Anaclerio »

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Pubblicato il 25/06/2013 21:02:57

Adesso sarebbe bello dormire finché i sogni non diventano cielo, un cielo sereno e senza vento, qualche piuma d’angelo che scende volteggiando a terra, per il resto nient’altro che la beatitudine di chi vive ignorando se stesso. Ma il sonno fugge i defunti. Quando chiudiamo i nostri occhi fissi, sono i ricordi ad aggredirci, non il sonno. Prima arrivano isolati, e perfino piacevoli e argentei, poi però non tardano a mutarsi in una nevicata scura e soffocante, e così è da oltre settant’anni. Il tempo passa, la gente muore, il corpo sprofonda nella terra e altro non sappiamo. Del resto qui c’è poco cielo, le montagne ce lo rubano, e le tempeste, amplificate da quelle stesse cime, sono nere come la fine del mondo. Ma a volte quando il cielo si schiarisce dopo una tormenta, ci sembra di vedere la bianca scia degli angeli, lontano, al di sopra delle nubi e dei monti, sopra gli errori e i baci degli uomini, una scia bianca come la promessa di un’immensa beatitudine. La promessa ci riempie di una gioia infantile e risveglia un ottimismo da tempo sopito, ma acuisce anche lo sconforto e la disperazione. È così, una luce intensa genera anche ombre profonde, una grande gioia cela in sé, da qualche parte, una grande malinconia, e la felicità umana sembra destinata a tenersi sul filo di una lama. La vita è piuttosto semplice ma l’uomo non lo è, quelli che definiamo gli enigmi dell’esistenza non sono che le nostre complicazioni e le nostre selve oscure. La morte ha tutte le risposte, è scritto da qualche parte, e libera l’antica saggezza dagli incantesimi che l’imprigionano; ma questa, naturalmente, è una totale sciocchezza. Le cose che sappiamo, le cose che abbiamo imparato non le abbiamo apprese dalla morte ma dalla poesia, dalla disperazione e infine dai ricordi felici, come dai grandi tradimenti. Non deteniamo alcuna saggezza, però ciò che vacilla in fondo al nostro animo la sostituisce e forse ha più valore. Abbiamo percorso una lunga strada, più lunga di chiunque altro, i nostri occhi sono come gocce di pioggia, pieni di cielo, di aria tersa e di nulla. Per questo non correte alcun rischio ad ascoltarci. Ma se dimenticate di vivere finirete come noi, un gregge smarrito tra la vita e la morte. Così morto, così freddo, così morto. Da qualche parte nel profondo delle regioni dello spirito, di questa coscienza che rende l’umanità sublime e maledetta, si nasconde comunque una luce che tremola e rifiuta di estinguersi, rifiuta di cedere il passo al peso delle tenebre e alla morte che soffoca. Quella luce ci nutre e ci tortura, ci costringe ad andare avanti, invece di sdraiarci a terra come bestie prive di parola e aspettare ciò che forse non arriverà mai. La luce brilla e noi andiamo avanti. I nostri movimenti sono senza dubbio incerti, esitanti, ma il loro fine è chiaro – salvare il mondo. Salvare te e noi stessi con queste storie, questi brandelli di versi e di sogni che da tempo sono precipitati nell’oblio. Siamo a bordo di una barca che fa acqua, e con le reti marce vogliamo pescare le stelle.

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