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Il quadro

di Silvia Rizzo
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Pubblicato il 16/07/2014 18:58:16

 

IL QUADRO

 

 

            Mi piacque fin dal primo momento che lo vidi. Rappresenta la campagna estiva della Val d'Orcia: il giallo dorato dell'erba alta e del grano, profili di colline che con la lontananza sfumano in un azzurro che trapassa nell'azzurro intenso del cielo di una giornata estiva, così intenso che quasi si sbianca in basso sulla linea dell'orizzonte: a sinistra in primo piano il verde cupo di due cipressi solitari nell'immensità della campagna, al centro una strada bianca a curve sinuose che si perde fra l'oro del grano, a destra qualcosa di scuro, forse uno di quei macchioni che interrompono l'aridità del paesaggio valdorciano nei punti dove anche in estate scorre un rigagnolo d'acqua. La cornice di vecchio legno crepato, tinto di vernice azzurra sbiadita e a tratti caduta, suggerisce che il paesaggio sia visto dalla finestra di un podere abbandonato come ce ne sono tanti qui, o meglio c'erano, prima che ne cominciasse il recupero e la trasformazione in ville o in agriturismi.

            Manifestai ad Andrew il mio interesse per quel suo quadro e dissi che forse l'avrei voluto acquistare. Ma la cosa rimase lì. Passò parecchio tempo e il quadro era sempre appeso a una parete in casa del suo autore, dove lo ammiravo ogni volta che ci andavo, ma una sorta di timidezza mi impediva di riprendere il discorso dell'acquisto e anche Andrew, probabilmente per discrezione, non diceva niente. La situazione si sbloccò in un momento significativo e anche un po' drammatico della mia vita.

            Fin da quando avevo comprato la casa in Val d'Orcia avevo concepito il progetto di mettermi in pensione anticipatamente e di trasferirmi a vivere lì lasciando l'odiata città. Negli ultimi tempi il progetto si era fatto più concreto: mi ero data ancora due anni di tempo per sistemare un serie di cose e preparare gradualmente il cambiamento. Ma accadde che un sabato di maggio, mentre ero a Campiglia per il fine settimana, lessi nella posta elettronica un messaggio circolare del preside di facoltà in cui si diceva che i provvedimenti imminenti del governo determinati dalla crisi economica avrebbero cambiato in peggio le condizioni dei dipendenti statali e le modalità di pensione e si suggeriva a chi ne aveva la possibilità di collocarsi a riposo prima dell'entrata in vigore del decreto. Mi parve quasi un segnale. I tempi erano strettissimi. La domenica feci una lunga escursione da Campiglia alla vetta dell'Amiata per riflettere in solitudine camminando nel bosco. Qui presi la mia decisione e la mattina dopo col primo treno andai all'Università e, seduta su una panchina di pietra all'aperto, scrissi a penna la mia richiesta di essere collocata a riposo a partire dall'indomani, primo giorno del mese di giugno, la consegnai al protocollo e me ne tornai a Campiglia. Era il 31 maggio del 2010.

            La subitaneità del cambiamento non poteva non incidere sul mio stato d'animo e già durante il viaggio di ritorno ero entrata in uno stato di grande agitazione. Avevo bisogno di parlare con un amico che potesse capirmi e così il giorno dopo andai a far visita ad Andrew, col quale, fin da quando l'avevo conosciuto, avevo spesso parlato del mio desiderio di lasciare il lavoro per vivere in campagna, e gli raccontai la novità. «Hai fatto quello che volevi fare» commentò lui. Nel grande studio luminoso, pieno delle sue opere di pittura e scultura e dei suoi arnesi di lavoro, il quadro coi due cipressi che prima era appeso alla parete stava ora al posto d'onore sul cavalletto e la gran luce che lo investiva ne accentuava l'intrinseca luminosità. Andrew mi disse che una sua amica americana ci aveva messo gli occhi e voleva comprarlo, ma che lui dava la precedenza a me, che ero venuta prima, purché mi decidessi entro l'estate.

            Pensai che l'acquisto di quel quadro poteva solennizzare un momento di passaggio così importante nella mia vita: quei due cipressi affiancati erano l'invisibile soglia che avevo varcato e la strada bianca persa nella lontananza la nuova ignota strada su cui mi stavo incamminando. Fu così che il quadro divenne mio.

            Lo stato di agitazione si accentuò progressivamente e pagai il brusco cambiamento con una depressione abbastanza grave, da cui tuttavia riuscii ad uscire abbastanza rapidamente. Ero ormai da tempo completamente guarita e mi godevo la nuova vita quando, in una bella giornata dei primi di novembre in cui il sole accendeva le mille sfumature di rame e di oro del fogliame dei boschi, Andrew venne a portarmi il quadro e me lo appese alla parete di fronte all'ingresso nella sala grande. Non molto dopo decidemmo però di cambiargli posto e collocarlo nel mio angolo di lavoro a destra del camino, nel punto in cui, se ci fosse stata una finestra, si sarebbe effettivamente vista una valle assolata. Il quadro, così luminoso da emanare quasi luce propria, divenne così un'illusionistica ulteriore finestra. La lunghezza della sala in fondo a cui era collocato consentiva di vederlo anche da lontano: sebbene non sia di grandi dimensioni, la distanza ne accentua la spazialità e profondità.

            Andrew tenne una mostra personale nella torre medievale della Rocca a Tentennano nell'estate del 2012 ed io prestai il mio quadro, che, ricollocato in mezzo alle altre opere del suo autore, sulle mura di pietra viva dell'antica torre conservava il suo magico fascino.

            Ero in un letto di ospedale fasciata come una mummia dopo l'esplosione di GPL che sbriciolò di colpo la mia casa il 7 gennaio 2013. Qualcuno mi aveva portato i giornali con la cronaca locale che riportava l'incidente e le fotografie della casa distrutta. Guardando una di queste notai qualcosa di luminoso che sporgeva fra le macerie e che lì per lì mi parve quasi lo schermo azzurrino di una televisione. Ovviamente non poteva essere, dato che per principio non ho mai voluto che nella mia casa entrasse una televisione. Non tardai a rendermi conto che era la parte superiore del quadro coi due cipressi, che in mezzo a un monte di calcinacci, pezzi di infissi, frammenti di legno e altre cose irriconoscibili brillava di una luce mite e misteriosa.  

            La casa rimase sotto sequestro per tre mesi, dato che in questi casi scatta quasi automaticamente l'accusa di crollo colposo. Quando dopo alcuni giorni si ottenne l'autorizzazione a un sopraluogo coi carabinieri per recuperare qualcosa, io dall'ospedale detti disposizione di cercare il quadro indicando il luogo dove era nella foto, peraltro non lontano da quello dove era appeso originariamente. Non fu trovato.

            Uscii dall'ospedale. Passò un lungo inverno di bufere di vento, pioggia, neve. La casa era sempre sotto sequestro e quel che forse si era salvato giaceva nascosto sotto le rovine ed esposto a tutte le intemperie. Non si poteva entrare nemmeno nel giardino e da fuori il quadro non si vedeva. Dopo quella foto sembrava svanito nel nulla.

            Andrew veniva spesso a trovarmi nella casa dove stavo provvisoriamente ospite di amici e portava a passeggio i cani, che due straordinari vicini, Domenico e Francesca, avevano salvato dal canile municipale e stavano ospitando a casa loro durante il periodo in cui io ero convalescente e senza casa. Fu in una di queste occasioni che Andrew, andando a riconsegnare il cane nel podere dove Domenico tiene i polli e che confina col giardino della casa distrutta, riuscì da quel punto di osservazione a individuare il suo quadro fra le macerie. Forse l'opera scomparsa volle rivelarsi solo al suo autore. «Entro e me lo prendo» disse Andrew a Domenico. Questi gli indicò allora un punto lontano, meno visibile e dove la rete era più bassa, e rimase a fare il palo. Andrew recuperò il quadro, che si trovava ora in una posizione diversa da quella della foto del giornale ed era sfondato nel centro, mentre nella foto sembrava intero. Tornando da me a salutarmi sperava di strapparmi un sorriso mostrandomi il quadro che bene o male era salvo e, come mi disse subito, si poteva restaurare. Io ero allora in un grave stato di prostrazione fisico e psichico. Vedendo il quadro così sfondato gli dissi: «Prendilo tu, portalo via. Non voglio vedere niente che mi ricordi la casa e l'incidente».

            Passarono molti mesi ancora ed io, dopo quel periodo buio, stavo tornando alla vita con rinnovato entusiasmo. Il capannone agricolo che avevo restaurato per portarci la mia biblioteca era stato nel frattempo completato e con l'aiuto degli amici lo avevo arredato in maniera essenziale ed ero andata a vivere nel mio 'loft' ricongiungendomi finalmente ai miei cani e gatti, anche loro miracolosamente scampati.

            Andrew mi aiutò in maniera decisiva restaurando alcuni mobili che si erano salvati, prestandomene di suoi, montandomi mobili IKEA che avevo acquistato. Un bel giorno si presentò col quadro, che aveva pazientemente restaturato in maniera filologica con l'aiuto di una fotografia. Era più bello di prima e non si indovinava più nulla di quello che gli era successo.

            Così il quadro che avevo rabbiosamente respinto nella mia depressione, quando ero senza casa e separata dai miei animali e mi sentivo come un naufrago sbattuto a riva senza più nulla e neppure un cencio addosso, mi fu restituito nel nuovo ambiente e nella nuova vita che lì cominciava, la seconda vita che mi è stata miracolosamente regalata il giorno dell'esplosione. Ora è in fondo ad un ambiente di lunghezza quasi doppia rispetto al salone di prima, su una parete bianca, collocato un po' di lato. È più bello che mai e regge perfettamente alla grande distanza da cui può essere guardato, anzi la sua nitidezza luminosa e la sua profonda spazialità ne sono accentuate.

            Qualche tempo dopo la compagna di Andrew, Janet, ed io gli facemmo notare che il macchione sulla destra, che era nel punto dove il quadro era stato sfondato e che quindi era frutto di una ridipintura, risultava più scuro di come lo ricordavamo. Andrew rise e disse che era la nostra immaginazione.

            Un pomeriggio che erano venuti a trovarmi, Andrew spedì Janet e me a fare una passeggiata coi cani dicendo che voleva rimanere senza nessuno fra i piedi a montarmi una libreria IKEA. Quando tornammo Janet disse: «Ora che il quadro è qui da qualche tempo, non si nota più che il macchione è più scuro». «Sembra anche a me» dissi io. Andrew si illuminò in viso contento che Janet avesse percepito subito il cambiamento. Dopo la nostra osservazione aveva fatto di nuovo ricorso alle fotografie e si era convinto che avevamo ragione. Aveva quindi portato con sé pennelli e colori e in nostra assenza aveva ritoccato il quadro alleggerendo lo scuro della macchia.

            Un'altra parte della storia mi è stata poi raccontata da Andrew durante una passeggiata nella riserva naturale di Pietraporciana. L'americana che voleva il quadro nonn si era rassegnata e lo tormentava chiedendogli di dipingerne una seconda versione. A tal punto lo sentiva già suo che quando seppe dell'esplosione esclamò: «E così ha distrutto il mio quadro!». Tanto ha insistito che alla fine Andrew si è rassegnato a copiare se stesso e ha dipinto di nuovo per lei il quadro coi cipressi.

 

Nota: l'autore del quadro si chiama Andrew Wordsworth, è pittore, scultore, fotografo, scrittore; vive e lavora a Montepulciano http://www.andrewwordsworth.com/


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