Poderuccio, 15 settembre 2009
Oggi mi sono congedata per sempre da un grande amico che mi è stato vicino per dodici anni e tre mesi in un periodo della mia vita non facile, segnato da perdite e lutti. La decisione stessa di prenderlo con me era nata dal desiderio di reagire alla tristezza per la morte di mia madre, scomparsa il 17 aprile 1997. Poco più di un mese dopo, alla fine di maggio, andai al canile comunale di Roma e passai in rassegna le centinaia di cani che vi erano rinchiusi, vecchi e giovani, grandi e piccoli. Un grosso e bel cane dal pelo biondo mi colpì perché, mentre gli altri abbaiavano appena appariva qualcuno in capo al viale dov'era la loro gabbia, lui rimaneva in dignitoso silenzio. Disponeva di un un box abbastanza ampio e le sue feci erano collocate nel punto più lontano dalla ciotola del cibo, mentre molti altri cani non si mostravano altrettanto attenti alla pulizia. Quando mi fermai davanti a lui mi dette la zampa attraverso le sbarre e fu amore a prima vista. Me lo fecero 'provare': un pezzo di corda al collo a mo' di guinzaglio e una passeggiatina al 'cinodromo', un prato spelacchiato. Era docile, si conduceva bene, e non disturbò dei gatti che erano lì. Al canile l'avevano battezzato Principe. Tornai a casa e nella notte mi venne in mente il titolo dell'opera di Borodin Il principe Igor, e decisi che l'avrei ribattezzato Igor. Avergli dato un nome significava sentirlo già mio: il giorno dopo andai a prenderlo. Dopo aver sbrigato le pratiche, lo feci salire sulla mia piccola 126 e si spaventò tanto che riuscì non so come a infilarsi sotto il sedile, nonostante la stazza molto grande. Al canile mi dissero che poteva avere due o tre anni, ma la seconda età credo fosse la vera.
Fu mio marito a osservare, quando mi vide arrivare con lui, che era quasi una fotocopia del cane precedente, Fritz, morto di vecchiaia qualche mese prima della morte di mia madre.
Era straordinariamente bello: pelo molto folto con gradazioni di colore biondo distribuite in modo da sottolineare le sue forme, ampio petto, zampe solide, portamento altero con la coda eretta come uno stendardo, muso fiero dagli occhi profondi, focato di nero, orecchie pendenti un po' più scure e una striatura nera sulla coda. La gente - non solo i bambini - si fermava a guardarlo e una volta una turista a Pienza mi chiese il permesso di fotografarlo. È rimasto bello anche nella vecchiaia estrema.
Ci fu un lungo periodo di rodaggio durante il quale imparammo a conoscerci a vicenda. All'inizio era un cane un po' traumatizzato. Una volontaria del canile che rividi per caso all'università mi disse che era arrivato lì appena due mesi prima che io lo liberassi, portato dalla sua stessa padrona, una ragazza che piangendo aveva detto che andava a vivere altrove e non poteva più tenerlo. Nei primi tempi talvolta correva verso giovani donne. Doveva essere vissuto in campagna perché lo spaventarono terribilmente le scale (abito al quinto piano) e si rifiutò di farle emettendo una sorta di acuto fischio. Ma anche l'ascensore non doveva averlo mai preso e nei primi tempi quando l'apparecchio si fermava cascava seduto a terra. Lo spaventavano anche i pavimenti lucidi e per defecare cercava la terra o l'erba.
Di lui non si possono raccontare episodi straordinari. Non ha salvato nessuno, non ha compiuto memorabili atti di fedeltà al padrone, non si è distinto per comprensione del linguaggio umano. Era semplicemente un cane. Era dotato di grande intelligenza canina e mi è stato devotissimo senza mai essere esageratemente appiccicoso: non mi saltava addosso quando rientravo, non leccava, non si abbandonava a piroette di felicità, ma mostrava la sua contentezza di rivedermi in maniera composta e dignitosa, talvolta ‘ridendo’, cioè aggricciando le labbra sui denti fino a scoprirli in modo che ad altri avrebbe potuto sembrare minaccioso. Se uscivo la sera lo trovavo in attesa del mio ritorno e solo quando mi aveva salutato correva verso la ciotola del cibo, che aveva lasciato intatta, e finalmente mangiava. Ma se tornavo da un'assenza di qualche giorno rimaneva sulle sue, mi salutava appena e qualche volta addiritttura, quando lo carezzavo o gli grattavo la pancia, emetteva un sommesso brontolio per farmi capire che, se accettava le mie dimostrazioni di affetto, non dimenticava che l'avevo abbandonato.
Appena arrivato nella mia casa si scelse lui stesso il posto dove dormire: non vicino alla mia camera da letto, ma dietro uno dei due battenti della porta d'ingresso. Da qui custodiva la casa. Era un formidabile cane da guardia, che incuteva timore già a guardarlo, ma che non abbaiava mai istericamente a vuoto. In generale abbaiava poco, per fortuna, perché la sua voce era possente.
Con gli estranei nei primi tempi aveva qualche aspetto d'imprevedibilità e a volte diventava improvvisamente aggressivo con persone che lo carezzavano in mia presenza. Era come se ritenesse che solo io avessi il diritto di carezzarlo. Col tempo si è molto calmato e con gli esseri umani era un cane tranquillo, anche se non si abbandonava subito a grande confidenza.
Aveva uno sguardo intelligente e profondo e sapeva capire quello che io provavo. Nei primi tempi, una volta che ero andata nella stanza di mia madre e stavo seduta sulla poltrona di lei a piangere silenziosamente, sentii improvvisamente un naso umido insinuarsi sotto il mio braccio: era lui, che mi era silenziosamente venuto accanto dall'altra estremità della casa. Un altra volta, nel periodo della terribile malattia che ha portato a morte uno dei miei fratelli, sapendo di essere sola in casa mi misi per sfogo a urlare e gemere e subito mi ritrovai intorno i due cani (nel frattempo era arrivato anche Piotr) che mi toccavano dappertutto col muso esplorando il mio corpo alla ricerca della ferita che mi aveva fatto gridare.
Igor ha vissuto con me la più grande novità della mia vita, la casa di campagna in Val d'Orcia. Quando tornavamo lì da Roma, per prima cosa si rotolava felice nell'erba. Qualche volta mi sono rotolata anch'io insieme a lui: eravamo felici insieme e per gli stessi motivi, il sole, l'erba, la libertà.
Era un cane dall'ossatura possente e straordinariamente robusto e resistente alla fatica: così è diventato il mio fido compagno di cammino. Anche da vecchio poteva camminare in montagna otto-nove ore e poi avere ancora l'energia per lanciarsi a tutta velocità a inseguire un capriolo. Non si può dire quanti chilometri abbiamo percorso insieme in tanti anni, per monti, per boschi, per campi, per prati, o più modestamente per strade e parchi cittadini. Con lui ho scoperto i paesaggi e gli itinerari intorno alla casa di campagna in lunghe e avventurose camminate per luoghi assolutamente selvaggi. Igor stanava caprioli, cinghiali, lepri e li inseguiva accanitamente. Una volta invece fu lui ad arrivare di corsa verso di me inseguito da tre o quattro cinghiali che evidentemente non avevano gradito di essere disturbati. Forse era un gruppo di femmine coi piccoli: e possono essere molto pericolose. Guardai gli alberi intorno per scegliere quello su cui arrampicarmi, ma le scrofe si accontentarono di averlo fatto scappare e si volsero per tornare indietro. Allora lui riprese a inseguirle e loro si girarono facendolo di nuovo correre verso di me. La cosa si ripetè due o tre volte, finché non riuscii ad afferrare quel diavolo di cane e a mettergli il guinzaglio.
Tenerlo al guinzaglio non era semplice e certo le mie braccia si erano irrobustite per il continuo esercizio. Se per qualche motivo decideva di partire improvvisamente in corsa, coi suoi quaranta chili di peso mi buttava per terra. Tra i motivi poteva esserci la presenza di un altro cane maschio: una volta mi fece cadere in mezzo alla piazza principale del paese in un giorno di mercato per andare ad addentare un cagnolino bianco, per fortuna senza fargli niente: ed io a terra, con borsetta e telefonino rotolati da parte e dall'altra, guardata con riprovazione da tutto il paese. Fu perciò che mi stupii moltissimo quando Igor accettò immediatamente la tenera amicizia del già ricordato Piotr, un cagnolino piccolo come un gatto. Da lui si lasciava anche togliere il cibo e il piccolino correva sempre a rifugiarsi fra le zampe del suo grosso amico e ne sfruttava la coda come cuscino. Igor era anche un grande cacciatore di gatti, con l'eccezione della gatta di casa, con la quale addirittura nei primi tempi si scatenava in giochi e inseguimenti sfrenati. Dovetti una volta pagare le spese per un’operazione all'anca a un gatto che si era arrampicato velocissimo su un cipresso ma che Igor, allungandosi in uno straordinario balzo, era riuscito ad afferrare per il posteriore ricevendone a sua volta un sanguinosissimo graffio all'orecchio.
Il suo folto pelo lo proteggeva egregiamente dal freddo, mentre soffriva il caldo. Amava molto l’acqua. Si gettava in torrenti, stagni, pozze anche in pieno inverno. Era per me un grande piacere osservarlo mentre si immergeva e sguazzava voluttuosamente. Era come se facessi il bagno anch'io. La prima volta che lo portai al mare bevve grandi quantità di acqua salata e vomitò durante tutto il ritorno.
In campagna a un certo punto ottenne di poter dormire fuori e ci stava con qualsiasi tempo, pioggia, vento, geli e perfino la neve. Ha dormito fuori alla pioggia e al vento anche l'ultima notte della sua vita (anche se questo è un mio rimorso: la sera prima il cielo era sereno e io non ho pensato ad aiutarlo a entrare in casa né lui sembrava desiderarlo).
Le cagne in calore lo facevano uscire di senno. Le percepiva anche a chilometri di distanza e non c'era nulla che potesse tenerlo. In campagna riusciva quasi sempre a scappare e passava notti intere chissà dove. Dovetti far cementare alla base la rete che recingeva il giardino perché lui ci passava sotto in spazi che sarebbero stati piccoli per un coniglio. Una mattina i padroni di una di queste cagne in calore mi telefonarono per dirmi che non potevano uscire di casa perché c'era Igor steso di traverso davanti alla loro porta. In quei periodi perdeva il sonno e l'appetito, smaniava, gemeva, a volte ululava, non mi seguiva più nelle passeggiate.
Come quasi tutti i cani di grossa taglia invecchiando ha cominciato a perdere progressivamente l'uso delle zampe posteriori. Ma si è saputo straordinariamente adattare a questo progressivo handicap, senza mai lasciarsi andare, continuando ostinatamente a sforzarsi per avere fino all'ultimo una vita attiva, anche soffocando qualche gemito. La sua vecchiaia è stata per me una straordinaria lezione: spero di saperlo imitare quando sarà il momento. L'ha vissuta con grande dignità e senza mai perdere il gusto per la vita, anche nella situazione più limitata che gli imponevano le sue condizioni fisiche progressivamente peggiori. Anche negli ultimi tempi, quando ero costretta a uscire senza di lui che non ce la faceva più a seguirmi, non tralasciava mai quello che riteneva un suo assoluto dovere: passare dal giardino anteriore a quello posteriore superando a stento i sette gradini della ripida scaletta che li metteva in comunicazione, un duro cimento per le sue povere zampe anchilosate. Una volta avendolo sentito gemere tornai indietro: lui allora fece finta di niente e ridiscese i due gradini che aveva salito come se non fosse stata affatto sua intenzione fare le scale. Del resto la dignità era sempre stata la sua principale caratteristica: non ha mai elemosinato il cibo, non è mai stato umile e sottomesso.
Gli ho dedicato questa ultima estate e ho assaporato la dolcezza di essere ancora con lui, pur consapevole dell'imminente congedo; anzi questa consapevolezza rendeva tutto più intenso e prezioso. Ed è stato commovente vedere come, nel suo solito modo discreto e sommesso, mi manifestava il suo immenso affetto. Era evidente che stava in vita per me e guardava a me come un navigante alla stella polare. Per lui ho trascorso, per la prima volta da quando ho la casa di campagna. tre interi mesi qui, andando a Roma, quando occorreva, dalla mattina alla sera o al massimo per una notte. Il 12 settembre 2009 gli si sono paralizzate del tutto le zampe posteriori. Il suo sguardo è mutato e io ho capito che era giunto il momento. Oggi è venuto a casa il veterinario e Igor si è addormentato dolcemente accanto a me. Perché non è possibile anche per noi esseri umani? Mentre attendevamo il veterinario, il piccolo gatto Tigrin, da poco miracolosamente guarito dalla gastroenterite infettiva felina che ha ucciso tutti i suoi fratelli, si era rifugiato accanto a Igor, sul pannolone che avevo steso per lui sul pavimento, e stava teneramente rannicchiato nell'incavo del grande corpo sdraiato. Il vecchio cane era ancora capace di dare conforto e protezione.
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