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Racconti

di Rosa Maria Melchionda
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Pubblicato il 04/05/2014 16:56:03

RACCONTI


MariaStella e la sua famiglia affrontarono il viaggio in programma per incontrare i parenti materni: la nonna Maria, vedova da qualche anno; gli zii Primiano e Antonietta; i cugini Mimmo, Deborah, Maria Teresa.
Stella era molto affezionata a nonna Maria, era molto contenta di rivederla e quando nel tardo pomeriggio del sabato di Pasqua l’auto imboccò l’angusto Vico Veglia, parcheggiò lungo il solito antico muretto, chiese al padre di suonare un paio di volte il clacson, fissando la porta della casa a pochi passi da lì.
Sulla soglia si stagliò la figura di nonna Maria, con le mani strette attorno all'inseparabile mantellina che le proteggeva le spalle; un sorriso emozionato, gli occhi umidi e poi a voce alta:
“Marì, Samy, Roby, Anna! Finalmente! “
La raggiunsero mentre i vicini si affacciavano per salutarli, la abbracciarono forte forte, le chiesero come stava mentre al genero stringeva la mano. Entrarono in casa, risposero alle domande sulla scuola, gli amici, su come erano trascorsi i mesi da che non si vedevano. Poi:
” Nanò, quando ero piccola mi facevi sedere sul gradino della porta di casa tua, ricordi? La sera, d’estate, eravamo tutti e sei i nipotini e, per tenerci buoni, iniziavi: – Mè, statv quiet. Mò v cund nu fatt! – E partivi con racconti ogni sera diversi che ci tenevano seduti su quel gradino,stretti stretti,ma attenti e zitti zitti “.
Mamma Anna aggiunse:
” Quante volte la gente che passava si fermava ad ascoltare, in piedi, dietro la tua sedia e si godeva la vista dei nostri bambini con i pantaloncini corti e le gonnelline colorate!”.
- Quasi quante volte si è fermata ad ascoltare te, figlia mia, quando da ragazza cantavi con la tua voce bella ed intonata.- ricordò la nonna alla figlia.
” Mamma, ti piaceva cantare?” domandò MariaStella.
“ Sì, molto. “ rispose ed aggiunse:
“Cantavo soprattutto mentre cucivo e ricamavo. La gente si fermava ad ascoltarmi o semplicemente rallentava il passo; in quel periodo non c’erano le auto che ci sono adesso, non c’era il problema del traffico, dei suoni e dei rumori, tutto era più tranquillo, la gente viveva con un ritmo diverso, soprattutto in un paesino del sud, in montagna. Se cantavi o fischiavi si sentiva bene lungo le vie, anche perché le case erano state costruite vicine, anche una sopra l’altra, come a ripararsi fra loro e a favorire la convivenza degli abitanti, a farli stare insieme il più possibile. “
Proseguì con la descrizione della vita che conduceva da ragazza, accomodandosi su una delle panche vicino al tavolo e riempiendosi un bicchiere con succo di frutta.
“ Pensa, figlia mia, che l’unico rumore che spesso svegliava le strade, oltre alle voci delle donne e dei bambini, era quello degli asini o dei cavalli che trasportavano cose o trainavano carretti.
D’ inverno poi, neanche quello, se nevicava. La gente stava il più possibile in casa, appiccicata all'unica stufa a legna per scaldarsi, ma i più fortunati, come noi, avevano anche l’asino o il cavallo che favoriva il calore nelle stanze principali, quando la sera lo si metteva dentro, al riparo.
Un inverno è nevicato così tanto che si sono scavate delle gallerie nella neve, per uscire di casa e raggiungere il negozio per comperare pane, latte, farina e pasta o raggiungere la scuola oppure gli uffici del Comune.
Noi bambini ci divertivamo un mondo a girare in quelle gallerie, ma poi quasi tutti ci ammalammo perché non avevamo scarponi adatti o doposcì e nemmeno giacche a vento come adesso. Io mi sono beccata un raffreddore gravissimo che mi ha tolto la possibilità di sentire odori e profumi. Eh, che tempi! “
MariaStella ascoltava sua madre con immenso piacere, cercava di immaginarla una bambina, ma non ci riusciva, la vedeva come la sua mamma.
Guardò la nonna, sorrise e le chiese: ” Nanò, m cund nu fatt?”. E iniziò…
Nonna Maria viveva in un bilocale con, in più, una stanza al primo piano,mentre gli zii ed i tre figli viveva- no al secondo e terzo piano. Una dislocazione dei locali abitativi perfettamente in linea con la propensione, nell'edilizia di allora al sud, di ampliare le abitazioni in altezza, costruendo una stanza sopra l’altra, massimo due, così da ottenere una camera o due per piano, senza la distinzione fra zona notte e zona giorno; la cucina per esempio si trovava nella maggioranza dei casi all'ultimo piano e Stella non si spiegava il motivo di quella scelta. Non aveva molto senso, a suo avviso, salire due o tre rampe di scale per mangiare, per fare gli onori di casa con gli ospiti, passando per di più davanti alle camere da letto … o peggio ancora attraversandole … e dormire magari a piano terra, vicino al portone, o alla porta finestra d’ingresso protetta da scuri di legno.
Ma così era. Col tempo scoprì che la dislocazione delle stanze verso l’alto aveva una ragione,storica,sociale e lo scoprì semplicemente mettendo a confronto i paesaggi delle tre regioni cui apparteneva: al sud si poteva viaggiare per chilometri e chilometri senza incontrare anima viva, campi e boscaglie a perdita d’ occhio, qualche casetta, poco più grande di una capanna, dislocata qua e là per gli attrezzi e per la pausa del lavoratore nelle ore di maggior calura, poi qualche grande masseria con l’allevamento di bestiame ed infine i centri abitati, da dove ogni giorno, all'alba, partivano gli agricoltori per raggiungere il proprio podere, lavorarlo e tornare all'imbrunire in famiglia nella casa che era un monolocale, giusta per consumare il pasto, per dormire e dar ricovero all'asino o al cavallo.
I paesi nacquero così, nessun giardino, nessun cancello, solo un locale adiacente all'altro per vivere insieme i momenti al di là dei lavori nei campi; pertanto quando negli anni arrivò un maggior benessere, nella necessità di ingrandire la casa, unica soluzione restava occupare lo spazio in altezza.
Al nord, invece,le campagne e le colline non avevano un aspetto desolato, si vedevano casali, fienili, stalle, disseminati ovunque, in mezzo al proprio terreno; quindi l’agricoltore abitava lì, isolato, con la famiglia,più o meno lontano dal borgo o dal paese,dove si recava quando le necessità lo esigevano, o in occasione di feste e ricorrenze.
Stella riteneva più giusto il modo di vivere al sud, secondo il suo modesto parere la socialità era favorita, la convivenza con la comunità permetteva di aiutarsi a portare il peso delle difficoltà con maggior condivisione, così come a godere dei momenti di gioia e di festa con maggior partecipazione da parte di tutti.
Da nonna Maria era stata rispettata anche un’altra tradizione, se così si può chiamare: la prima cosa che si trovava entrando in casa era la camera da letto, con tutti i suoi arredi. Dall'armadio ai comodini, dal cassettone con specchio alle sedie per appoggiare gli abiti in fondo al letto; una radio degli anni cinquanta faceva bella mostra di sé sul comodino più vicino alla parete interna, mentre lungo la parete opposta erano dislocate delle sedie ed una piccola poltrona per guardare la televisione, incastonata fra l’armadio ed il cassettone, ma anche per fare conversazione, per far accomodare visitatori ed amici. Nella parete faceva bella mostra di sé una credenza, ricavata da una nicchia scavata nei mattoni, chiusa da due sportelli in legno con inserti in vetro, sui quali erano infilate fotografie di volti giovani, fanciulleschi, meno giovani, sorridenti sotto un velo bianco … fotografie dei figli, dei nipoti, di parenti ed amici lontani.
Molte di quelle foto le aveva spedite MariaStella a sua nonna, assieme alle lettere che le scriveva regolarmente per renderla partecipe della vita che conducevano lei e la sua famiglia, per farle pesare meno la lontananza da loro.
La cucina era nella stanza attigua, vi si accedeva attraverso una porta che si apriva di fianco al comodino più e- sterno del capezzale del letto; la si raggiungeva, dal portone d’ingresso, attraversando una sorta corridoio de- limitato dal lettone e dalle sedie per la conversazione.
Lavandino in pietra, fornello a tre fuochi posto su un mobiletto con due sportelli ed alimentato con bombole a gas, frigorifero di quelli bassi e piccoli,un tavolo posizionato a parete, usato all'occorrenza, erano gli arredi essenziali della cucina; ad essi si affiancavano lunghi bastoni in legno incastonati da parete a parete per appendere teste d’aglio, cipolle, pomodorini ad essiccare, pomodori, peperoncini, il buonissimo formaggio caciocavallo, il pecorino,le pannocchie, ecc. ecc.
Nella stanza c’era la sagoma di una rampa di scale, quella che portava al piano superiore, e nello spazio sotto- stante erano stati incassate, nella parete, delle mensole in legno coperte da una tenda variopinta che fungeva-no da dispensa per le conserve, le marmellate, i pomodori pelati, le salse già pronte, i legumi, l’olio d’oliva; sul pavimento c’era una botola che aveva sempre affascinato i bambini perché aveva un grosso anello di ferro per sollevarla e copriva una grotta sotterranea, da sempre usata come legnaia e come luogo fresco per conservare il vino. Si scendeva, una volta sollevata la botola, su gradini modellati nella pietra.
Non poteva certo mancare la stufa: bianca e nera, cerchi concentrici in ghisa a coprire l’imboccatura in alto, sportelli per inserire la legna, e per raccogliere la cenere, nella parte anteriore; un braccio a raggera, fissato sui tubi, per stendere ad asciugare indumenti, asciugamani, strofinacci, ecc. ecc.
Ma ciò che Stella ed i suoi fratelli adoravano era la cassapanca, imponente, con braccioli e schienale lavorati artisticamente, con la seduta ampia e comoda, tanto da poter accogliere tutti e sei i cuginetti ogni volta che desideravano far merenda.
La particolarità di quel mobile era la capienza eccezionale sotto la seduta: si afferrava il punto centrale dello schienale, si tirava verso di sé fino a farlo appoggiare al pavimento e … opplà! Si trasformava in un tavolino ad altezza bambino con annessi comparti colmi di biscotti, pane, farine, taralli, zucchero.
Le più belle colazioni mattutine, ma anche serali davanti alla stufa accesa, MariaStella le aveva gustate lì, seduta a quel tavolo speciale con scodellina fumante di latte, nella quale inzuppare i biscotti della nonna.
Una porta in legno grezzo dipinta di verde, di fattura proprio … casalinga, più che artigianale, dava l’accesso ad una scala di proverbiale ripidità, tanto che ad ambo le pareti tra cui si inerpicava erano stati fissati i corrimano in ferro per aiutarsi a salire ed a scendere.
Al piano superiore si trovava un corridoio, si apriva in uno spazio trapezoidale munito di un lavandino in pietra ed un piccolissimo bagno; a sinistra c’era una stanza, molto ampia, arredata con due letti matrimoniali, armadio e mobile con specchio e lì era sempre stata ospitata la famiglia di Stella: i genitori in un lettone, i figli nell'altro, finché il nonno Domenico era in vita, poi la nonna aveva preferito lasciare alla figlia ed al genero il letto al piano terra e salire a dormire con i nipoti.
Prima di addormentarsi, a luce spenta, raccontava i fatti, li esortava, ormai cresciuti, a vivere nel modo migliore possibile, impartiva consigli con tutto l’amore che provava per quei ragazzini che crescevano lontano da lei.
Raccontava con dolcezza, con tanta allegria che passavano al mondo dei sogni chiudendo gli occhi con il sorriso sulle labbra; spesso si addormentava prima lei di Stella ed allora al buio, nel silenzio, la sentiva respirare provando tanta tenerezza e tanta gratitudine perché i suoi racconti le avevano insegnato che la vita andava presa con coraggio e grinta e non con fatalismo e rassegnazione, facendo scelte anche difficili per vivere fino in fondo senza semplicemente lasciarsi vivere.
Maria si era sposata giovanissima, aveva avuto tre figli, uno bello e biondo e paffuto come i neonati dipinti nelle chiese, diceva sempre, ma le era stato portato via ad appena un anno per cause che i medici non le spiegarono mai. Il marito era un ubriacone scansafatiche che le portava via i soldi guadagnati con lavoretti di cucito e ricamo per berseli alla bettola ed un giorno fu ricoverata in ospedale per risolvere un problema di salute, lasciando i figli soli, in balia della strada, dove solo una zia si prendeva cura di loro per sfamarli, ma nient’altro. Dimessa dal mesocomio, Maria fu allontanata dalla sua casa con i figli per salvaguardarli e quando restò vedova, poco dopo, un brav'uomo si offrì di sposarla e di crescere i suoi bambini.
Si trasferirono lontano e la sua vita fu serena, dignitosa, grazie al lavoro ed alla bontà di Domenico che aveva campi da coltivare ed un frutteto.
MariaStella ammirava la forza che sua nonna aveva avuto e proprio in quelle tre notti trascorse a fare discorsi più da grandi, comprese di avere attinto da lei la voglia di agire e fare in nome di un presente ben vissuto e di un futuro da costruire.
Arrivò il momento di salutarsi, un momento sempre molto triste, ma quella volta MariaStella si sentì oppressa da un vero e proprio struggimento nell'abbracciare nonna Maria e non ne comprendeva il motivo.
Nell'auto, poco più tardi, si ripromise di scriverle lettere con maggior frequenza di quella tenuta fino ad allora, stava invecchiando, ma soprattutto lei, MariaStella, stava crescendo ancor più in fretta.



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