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Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso. (da "Il tempo ritrovato" - Marcel Proust)

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Raffaele Floris

Argomento: Intervista

Testo proposto da LaRecherche.it

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Pubblicato il 17/05/2018 12:00:00

 

L’autore qui intervistato è Raffaele Floris, terzo classificato al Premio letterario “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, IV edizione 2018, nella Sezione A (Poesia) con “Macchia cieca; Corredo; Schegge”.

 

 

Ciao Raffaele, chi sei? Come ti presenteresti a chi non ti conosce?

 

Sono una persona mite, passabilmente educata, silente ma non del tutto introversa, che ama molto ascoltare. Non per questo rinuncio a esprimere un’opinione, tendo ad argomentare per paradossi, spesso con qualche battuta scherzosa che può anche essere male interpretata e generare non poche perplessità.

 

 

Quali sono gli autori e i testi sui quali ti sei formato e ti formi, che hanno influenzato e influenzano la tua scrittura?

 

Ho scelto di formarmi leggendo il più possibile i classici, soprattutto in lingua italiana, data la mia scarsa dimestichezza con le lingue straniere: nella mia piccola biblioteca ci sono tutti gli autori della letteratura italiana. Se poi dovessi citare a livello esemplificativo due poeti che mi hanno “attratto”, direi Giovanni Pascoli per quanto riguarda il secolo scorso (ma qual è per me il secolo scorso? Me lo domando, a volte!) e Franco Loi per i contemporanei. Dopodiché le influenze sono molteplici, siccome ora è più facile rispetto a un tempo la lettura di autori quali Alessandra Paganardi, Ivan Fedeli, Luigi Cannone, Dario Marelli, Gianfranco Isetta, Fabrizio Bregoli, Marco Maggi e molti altri. Molti ma non moltissimi, intendiamoci!  Mi rendo conto di aver citato anche alcuni amici. La diffusione negli anni ’80 del mensile Poesia mi ha consentito di documentarmi anche sui “mostri sacri” quali Milo De Angelis, Luigi Raboni, Elisa Biagini, Isabella Leardini, Maria Luisa Spaziani, e tanti altri, in perfetto disordine anagrafico.

 

 

Secondo te quale utilità e quale ruolo ha lo scrittore nella società attuale?

 

Credo molto più marginale rispetto a un tempo, soprattutto se si parla di poeti e se per ruolo s’intende l’eventuale voce in capitolo che possono avere, capace di farsi ascoltare.

Se, diversamente, per ruolo intendiamo un “còmpito” la risposta è più facile: continuare a scrivere.

 

Come hai iniziato a scrivere e perché? Ci tratteggi la tua storiadi scrittore, breve o lunga che sia? Gli incontri importanti, le tue eventuali pubblicazioni.

 

Ho iniziato a scrivere parodie, tra i diciassette e i vent’anni: alcune di queste sono veramente impubblicabili, se non per una ristretta cerchia di persone, sia per il linguaggio, sia per le situazioni particolari di un microcosmo prima scolastico poi lavorativo. La mia formazione, in questo caso particolare, è stata sui libretti d’opera, i cui testi sono spesso banali e brutti (Francesco Maria Piave, il librettista del melodramma verdiano dell’Italia risorgimentale, era un ubriacone) ma che tuttavia mi hanno dato una padronanza metrica già dagli “esordi”. Nel ’91 ho pubblicato la mia prima raccolta Il tempo è slavina, una silloge di poesie giovanili che per fortuna non ha lasciato traccia. All’inizio degli anni ’90 l’incontro con Mauro Ferrari (ora direttore editoriale di puntoacapo) mi ha permesso di entrare in contatto con diversi altri autori, e, sollecitato anche da questi, nel 2007 ho pubblicato L’ultima chiusa; poi sono venuti La croce di Malta (romanzo breve del 2013), L’òm, l’aşi e ‘pulóu, (detti proverbi e filastrocche in dialetto pontecuronese, 2016) e infine Mattoni a vista, silloge poetica del 2017.

 

 

Come avviene per te il processo creativo?

 

Concepisco una poesia non soltanto come un lavoro a sé stante, ma come un tassello che si incastra in un progetto che tento di definire a priori, ma non è detto che questa aspirazione sia sempre riuscito a realizzare. Mi piace molto l’idea che una silloge poetica sia un po’ come un concept album. Con molte variazioni sul tema, ma tenendo ben presente un filo conduttore. Spesso questo percorso si svolge inconsapevolmente, con una visione che sembra essere razionale ma che è spesso dettata dall’inconscio, o dalla coscienza, se vogliamo, più che dalla ragione.

 

 

Quali sono gli obiettivi che ti prefiggi con la tua scrittura?

 

Raggiungere il lettore anziché i lettori: sperando che le mie parole siano al tempo stesso comprese e amate da ciascuno, non da tutti; l’unanimismo è inquietante, spesso prelude alla fine della scrittura creativa, almeno per come concepisco quest’ultima.

 

 

Secondo il tuo punto di vista, o anche secondo quello di altri, che cos’ha di caratteristico la tua scrittura, rispetto a quella dei tuoi contemporanei?

 

Mauro Ferrari e Ivan Fedeli hanno parlato di un poeta “fuori dal tempo” e di una “poesia gentile”. Ci hanno azzeccato, pur essendo stati sin troppo generosi nei miei confronti. A me piace confrontarmi col verso classico (un tempo il novenario e il settenario, alternati magari a versi liberi; ora prevalentemente l’endecasillabo): per me la forma è sostanza, e quasi sempre l’abito fa il monaco. Ma ovviamente anche questo è un paradosso: se qualcuno s’inquieta mi diverto.

 

 

Si dice che ogni scrittore abbia le sue “ossessioni”, temi intorno ai quali scriverà per tutta la vita, quali sono le tue? Nel corso degli anni hai notato una evoluzione nella tua scrittura?

 

Fabrizio de André diceva: “Io ho poche idee, ma fisse”. Pur apprezzando, e in taluni casi invidiando altre strade poetiche che sono certo non potrei percorre, le mie ossessioni sono sempre quelle: la vita, la morte, gli affetti, le assenze (i morti credo davvero siano più permanenti di noi); ma soprattutto il tempo, che sembra apparentemente ciclico nei miei lavori (i ritorni stagionali, gli amori, la campagna assolata delle estati roventi o la desolazione autunnale) ma che invece è un tempo-freccia. “Non c’è mai niente che ritorna davvero” è l’unica autocitazione che mi permetto qualche volta di usare.

 

 

Hai partecipato al Premio Babuk nella sezione Poesia, scrivi anche in prosa? Se no, pensi che proverai?

 

Ho provato a scrivere un romanzo breve, La croce di Malta appunto, per verificare la mia capacità di scrittura, esclusi gli articoli per diversi giornali locali o brevi riflessioni sulle poesie di altri autori. Ma capisco che mi manca il “passo” del narratore: perché se la prosa è anche lavorare abilmente con la fantasia, la poesia è essenzialmente verità. Non temo questa parola, sebbene oggi mi sembra erigersi la dittatura (o il totem)del dubbio, che rassicura perché così si riesce a far parte del “gruppo”.

 

 

Quanto della tua terra di origine vive nella tua scrittura?

 

Praticamente tutto. Questa pianura è il titolo di una mia poesia, ma quest’espressione ricorre diverse altre volte, sia ne L’ultima chiusa, sia in Mattoni a vista.

 

 

Qual è il rapporto tra immaginazione e realtà? Lo scrittoresi trova a cavallo di due mondi?

 

L’immaginazione personalmente la lascio alla prosa. La poesia immagina quando “vede oltre”: è questione di lenti; c’è chi non vede al di là del proprio naso e può talvolta rifugiarsi nella retorica, c’è chi intravede una “super-realtà” invisibile agli altri, come diceva Lisa Morpurgo, arguta astrologa ma anche scrittrice di valore. Ma non so se esistono i due mondi: qualche volta l’immaginazione è autentica e preziosa profezia, qualche volta è follia, il più delle volte è banale ingenuità.

 

 

Chi sono i tuoi lettori? Che rapporto hai con loro?

 

Persone che, soprattutto attraverso i social, hanno ripreso ad avere qualche dimestichezza con la poesia: molti non credo abbiano biblioteche memorabili, però il fatto di poter scambiare impressioni anche con i classici “non addetti ai lavori” è qualcosa che mi conforta e allieta. Se poi sono persone giovani, ne sono doppiamente e favorevolmente stupito.

 

 

“Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L’opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso”. Che cosa pensi di questa frase di Marcel Proust, tratta da “Il tempo ritrovato”?

 

Ma certo! In poesia il linguaggio, per piano che sia, non si può esimere da certi dettati anche estetici, quindi è ancora questione di lenti: chi legge usa le sue, ed è legittimo che veda (e senta) quello che altri non vedono, ma che riconosce in sé come autentico.

 

 

Quali sono gli indicatori che utilizzi nel valutare, se così ci è permesso dire, un testo? Quali sono, a tuo avviso, le caratteristiche di una buona scrittura? Hai mai fatto interventi critici, hai scritto recensioni di opere di altri autori?

 

Non ho la passione, né forse la capacità, di affrontare un trattato. Facendo parte tuttavia della giuria del concorso “Gozzano” di Terzo (AL), ho scritto le motivazioni per la sezione “poesia singola inedita”: gli autori premiati, bontà loro, hanno apprezzato anche al di là della semplice cortesia personale. Gli indicatori che utilizzo sono quasi una bussola: dov’è il nord? Ovverosia, qual è il tema centrale? Dove sono gli opposti? Una poesia, o un libro di poesie, dovrebbe avere testi che “galleggiano”, con levità, quasi in assenza di gravità (un po’ come il canto gregoriano, che non ha attrazione tonale), dove le riprese del tema sono riproposizioni e variazioni più che ripetizioni ossessive, talora ribadite con forza. Mutuando un’espressione musicale, si potrebbe affermare che la poesia “non risolve” in modo tradizionale, e tuttavia non può essere neppure “dodecafonica”. Milo De Angelis in questo è un maestro, ma inviterei anche a leggere alcune liriche di Gianfranco Isetta (sebbene di lettori, nell’ambito del blog Alganews, ne abbia già più che a sufficienza! Ma di questo sono lieto, beninteso).

 

 

In relazione alla tua scrittura, qual è la critica più bella che hai ricevuto?

 

Ho una ritrosia innata a proporre i miei testi a chicchessia, non per spocchia o per timore di critiche anche severe (vivaddio!), ma semplicemente perché mi chiedo perché un critico letterario, un blog che ospiti autori famosi e bravi, debba prendere in considerazione anche me. Ma forse è soltanto pigrizia.

 

 

C’è una critica “negativa” che ti ha spronato a fare meglio, a modificare qualcosa nella tua scrittura al fine di “migliorare”?

 

No, per i motivi che spiegavo poc’anzi: ma le critiche sono benvenute. Sempreché non si autodefiniscano “costruttive”, termine che difficilmente riesco a comprendere. Ci sono valanghe di parole vuote che ogni giorno ci travolgono: preferisco una stroncatura netta a infinite perifrasi lessicali di difficile decrittazione. Anche una buona critica ha il dovere, come la buona poesia, dell’autenticità, della ricerca del vero e del bello: non può essere autoreferenziale, magari attingendo a termini abusati e omnicomprensivi.

 

 

A cosa stai lavorando? C’è qualche tua pubblicazione in arrivo?

 

Senza margini d’azzurro è il titolo di una silloge completata pochi mesi fa e che vorrei pubblicare prossimamente. Ho iniziato una nuova silloge, il cui titolo mi piacerebbe fosse Gli occhi della guerra, dal momento che è ispirato all’omonimo blog www.occhidellaguerra.it; ma per questo è necessario il consenso di quest’ultimo: quando riuscirò a mettermi in contatto li ragguaglierò su questa mia ambizione. Spero abbiano la percezione di considerare tutto questo come fonte d’ispirazione e non come un “mezzuccio” per racimolare una qualche notorietà.

 

 

Quali altre passioni coltivi, oltre la scrittura?

 

Sono l’antitesi al salutismo: le mie passioni sono tutte sedentarie. Un tempo credevo di avere qualche velleità come musicista, ma mi rendo conto che sarei diventato un pianista mediocre, anche se la passione per la musica rimane: non tanto per l’ascolto, ma per la lettura del brano sullo spartito, che è una soddisfazione straordinaria. Inoltre, mi rallegro quando è necessario il mio apporto per creare un testo sulla base di una melodia già predisposta, sia perché il testo ancora non esiste, sia perché è in lingua straniera: in questo caso non si può assolutamente parlare di traduzione, in quanto la musica ha le sue esigenze, evidentemente ineludibili, e il testo deve adattarsi con le sillabe alle note.

Poi ci sono le passioni più comuni ma ugualmente importanti: la passione per gli animali (ma che non posso tenere prigionieri in casa, quindi mi limito a guardarli ogni tanto), la passione calcistica (sono interista, quindi nella sofferenza redento). La fede cristiana, che cerco di praticare nella comunità più che di sfoggiare come fosse un foulard. La lettura di Tex Willer, che considero la saga più paradossale, originale e suggestiva della letteratura popolare. M’interesso di molte altre cose, ma non credo siano d’interessante lettura.

 

 

Sei tra i vincitori del Premio “Il Giardino di Babuk – Proust en Italie”, perché hai partecipato? Che valore hanno per te i premi letterari? Che ruolo hanno nella comunità culturale e artistica italiana?

 

Il mio principio è innanzi tutto quello di rispettare le opinioni della giuria anche quando arrivi ultimo. Questa è la prima cosa. Ogni pressione, ogni discussione postuma sarebbe odiosa, oltreché insignificante e meschina. La seconda è “non ringraziare i giurati”, ci pensi l’organizzazione a ringraziarli! (Anche questa è ovviamente una battuta). Inoltre, un argomento non banale è l’obiettivo di un possibile autofinanziamento, dal momento che la poesia può contare, salvo eccezioni, su vendite esigue. Se poi la giuria è composta da critici e autori di riconosciuta competenza, c’è anche una piccola, momentanea soddisfazione personale.

 

 

Hai qualcosa da dire agli autori che pubblicano i loro testi su LaRecherche.it? Che cosa pensi, più in generale, della libera scrittura in rete e dell’editoria elettronica?

 

La rete è un mezzo, così come l’editoria elettronica, per raggiungere un fine, che è la diffusione della scrittura poetica. Ho qualche perplessità non tanto sul mezzo, che mi pare efficace, adeguato ai tempi e accessibile a tutti, ma sul numero esorbitante di Pagine, Blog, premi letterari, riviste on-line che m’induce a pensare sia statisticamente impossibile un livello qualitativo di alto profilo per tutte queste realtà. Non mi riferisco certo a LaRecherche.it, basti guardare il nome dei giurati, ma credo occorrerebbe un trip advisor anche per la libera scrittura in rete. Talvolta la poesia avrebbe bisogno di fischi, non soltanto di applausi. Persino Pavarotti fu fischiato al Metropolitan!

 

 

Vuoi aggiungere qualcosa? C’è una domanda che non ti hanno mai posto e alla quale vorresti invece dare una risposta?

 

Non ora: ci saranno altre occasioni, inoltre non ho tutte queste domande e risposte che mi assillano. Guardo l’orologio: sono già le 2.20. Anche Marzullo è a dormire da un pezzo!

 

 

Grazie, Raffaele.

 

Grazie a voi.

 


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