Pubblicato il 10/05/2018 12:07:35
Bla, bla, bla 3 : ‘baracca e burattini’.
Nella lontananza del tempo e dello spazio la mente risale al ricordo di quando ci si divertiva all’arrivo della ‘baracca dei burattini’ nella pubblica piazza, e c’era non poca sorpresa quando sul finire della rappresentazione, da dietro il sipario s’affacciava il burattinaio, il quale fra gli applausi e lo sconcerto dei più piccini, quasi annullava tutta la magia che egli stesso aveva creato. Che spettacolo ragazzi! Oggi che quella rappresentazione non la si vede più calcare le scene della pubblica piazza quasi mi assale la nostalgia per quei personaggi: eroi e sovrani, dame e cavalieri che in fine trovavano una loro precipua ragione d’essere all’interno della ‘commedia ridicolosa’ che andavano recitando tra lazzi e screzi in cui pur traspariva un fondo di ovvietà e di giustizia, col rispetto dovuto e la necessaria considerazione d’una verità altra che, al tempo stesso ammiccava nella testa dei più grandi.
Ben altro teatro, o meglio, ben altra ‘baracca’ e altra rappresentazione è quella a cui assistiamo ogni giorno dagli scranni del Parlamento e nel prosieguo sulle pagine dei quotidiani, nei talk-show e nei ‘pizzini’ sempre più frequenti che appaiono sui social fra insulti e parolacce, invettive e minacce, senza riguardo per alcuno anche quando si tratta della massima carica dello stato. Ciò che è più grave è non comprendere se si vuole salvaguardare l’istituto democratico su cui si fonda la Costituzione o se c’è una volontà ‘sommersa e oscura’ che vuole che il tutto – come si suol dire – vanda ‘a carte quarantotto’, trascinando il ‘paese’ nell’anarchia più dissoluta o spingerlo in una guerra faziosa fra le diverse istituzioni che lo compongono.
‘Paese’ s’è detto perché, nella realtà dei fatti, continuiamo ad essere un piccolo paese con manie di grandezza all’interno di una economia macroscopica (fatta da altri) che ci schiaccia e ci assoggetta in ragione delle nostre ‘piccole dimensioni e minime risorse naturali’; pur essendo un grande parse in fatto di rinascenza culturale e beneficiaria prosperità turistica improntata sulla ‘bellezza naturale’ del territorio e la ‘creatività artistica’ eccellente. “Molto, molto pittoresco!” – ci sentiamo dire da chi ci osserva con occhio rivolto alla propria benestante consistenza economica, sostenendo che da ‘paese di cuccagna’ siamo passati a ‘paese di burattini’ passando attraverso l’esperienza napoletana di ‘paese dei quaqquaraqquà’.
Ma, come abbiamo visto e come da tempo andiamo ormai constatando, non si vive sugli allori del passato, né di una ipotesi di ‘bellezza’ duratura, quando poi se ne fa continuo scempio e, per di più siamo noi stessi a farlo. Che spettacolo ragazzi! Quale spettacolo ci è dato di assistere ogni giorno: dalle continue liti del peggiore dei condomini attorali/politici, allo squallore indegno che si svolge sulla scena del teatro più autorevole della nazione che è il nostro Parlamento; dai cambiamenti di quinte (leggi ‘sacacche’), alle luci che si oscurano improvvisamente (leggi di stelle nascenti che si esauriscono nel giro di una frase malposta), e di ‘primedonne’ (soprattutto uomini) che pur di farsi notare sono disposti a mettersi le piume sul culo.
Ma non finisce qui l’elenco delle malefatte, dei soprusi, delle ruberie , delle prevaricazioni, delle ingiustizie, delle speculazioni, degli imbrogli e delle truffe ai danni dei cittadini (che li osservano spesso ignari), non sono che punte di obelischi che, prima o poi, ci ritroviamo tutti infilati nel posteriore e che fanno gran male quando ci vengono regolarmente ficcati (volenti o nolenti) a mo’ di supposta, facendoli passare per necessari a una ‘ripresa economica’ che non arriva mai. O almeno queste le prerogative ‘promesse’ poi ‘negate’ e poi ‘ripromesse’ e nuovamente ‘smentite’, o piuttosto ‘sconfessate’, da quegli stessi partiti politici e movimenti ‘occultamente’ politicizzati che le hanno a bella posta confezionate per farci credere a una qualche possibilità di cambiamento.
Di fatto assistiamo al solito teatrino dove noi ‘burattini’ siamo più o meno sempre gli stessi: quegli arlecchini e pulcinella bighelloni, le rosaure innamorate, i pantaloni restii e i dottor balanzone; soggiogati però da pinocchi bugiardi (tutti i politici lo sono), dai pirati furbeschi (tutti i politici lo fanno), dalle bande violente (create dalla politica per destabilizzare), dalle organizzazioni mafiose (d’accordo con i politici per la spartizione dei poteri), ecc. ecc., tutti in scena per una rappresentazione degna dei ‘baracconi’ che essi stessi hanno istituiti, fondati, edificati (BANCHE, ENI, IMPS, ALITALIA, RAI, TIM, COOP, FINSIDER, FINCANTIERI …) – chi più ne ha più ne metta; coadiuvati dai Sindacati cosiddetti dei ‘lavoratori’ che da tempo ormai, anziché mediare i contrasti e gli interessi tra le parti, si sono venduti al migliore offerente capitalista in cambio della pelle dei dipendenti in tutti i settori lavorativi.
“Pittoresco, molto pittoresco!”, aver permesso che interi settori manifatturieri siano stati rilevati da investitori stranieri e trasferiti all’estero; che molte attività di servizi non appartengano più di fatto allo Stato Italiano, spostati altrove e governati da realtà imprenditoriali ultranazionali come, per esempio, lo smaltimento dei rifiuti dai quali ‘altri’ ricavano oneri assai sostanziosi e quant’altro. Non ha certo fatto bene al paese concedere ad alcune Regioni certi ‘statuti speciali’ che vanno smembrando l’unità dello stato in favore di rivendicazioni di lingua, di cultura, di religione, di servizi offerti ecc., per poi assistere a invalidità istituzionali come quella ‘sanitaria’ che non consente lo stesso trattamento per tutti i cittadini in ogni angolo del paese.
Siamo d’appresso all’oscurantismo pragmatico di quei valori essenziali che sono alla base del costituire una ‘realtà sociale’ coesa con le necessità di un ‘paese’ che non ne può più fare a meno, la cui cittadinanza è ormai arrivata a consumare le ‘bucce della frutta’ che produce in gran quantità; che si vede derubata delle acque minerali che sgorgano sorgive in abbondanza; dell’ossigeno che serve alla salute psico-fisica e che invece ci logora i polmoni e ottenebra la mente, rendendoci tutt’altro che quei ‘pensatori, eroi, poeti’ e quant’altro che qualcuno ha inciso a lettere cubitali sul monumento alla modernità.
Davvero ‘molto pittoresco’ direi, lasciare ad altri (mafie, investitori criminali, associazioni a delinquere, city-gang ecc.) di farla da padroni sul nostro territorio, altri che ignorano i principi fondanti di quella Costituzione che ci siamo dati e di cui altresì dovremmo andare fieri. Ma haimè non accade così, perché (e sarebbero tanti i perché), fino a che Roberto Benigni non l’ha riproposta alla TV (e dobbiamo rendergliene merito), metà (ma la percentuale è azzardata) non solo non la conosceva, ma neppure sapeva a che cosa facesse riferimento. Ciò a testimonianza che nessuno nelle varie rifondazioni della Scuola che ci sono state nel corso degli anni si è preso la briga di spiegarla. Come del resto i più ignorano che ancora nel 2018 sussistono nel nostro paese sacche di analfabetismo e comunque di una idea superficiale di lingua parlata (dagli stessi insegnanti) come l’Italiano.
Per non parlare della falsa e ipocrita frase ‘la giustizia è uguale per tutti’ che troviamo in tutte le aule di giurisprudenza (come dire: ‘per non dir del cane’ rifacendo il verso a Jerome K. Jerome), perché di una giustizia cane si tratta, con tanto di rispetto per l’animale che rimane indubitabilmente il più fedele e devoto amico dell’uomo. Cosa che non sono i giudici togati e soprattutto gli avvocati (sempre di parte perché politicizzati), chiamati a risolvere le diatribe più o meno efferate con maestria quasi alchemica (cause penali), e che assolvono invece come ‘mestiere di routine’ le dispute (cause civili) tra cittadini e ad esempio lo Stato o le istituzioni comunali.
Ma il cane spesso si morde la coda e fa dei giudici e degli avvocati gli aguzzini del cittadino che ad essi (volente o nolente) si affida e/o è affidato, mettendo a soqquadro l’intero istituto della giurisprudenza con sentenze spesso inusitate che sappiamo essere coordinate dall’esterno (dai poteri forti politicizzati), quando non addirittura da interessi competenti premi e ricompense sottobanco in odore di peculato: sottrazione e furto di denaro pubblico, corruzione, concussione, malvessazione ecc. E che, guarda caso, attribuiscono (malgrado siano stati presi con le mani nella marmellata) a quei ‘burattini’ (che essi stessi sono) che scavallano sulla scena parlamentare per rubarsi la poltrona migliore. Che spettacolo ragazzi! Da non credere. Eppure dovete credermi se dopo aver legiferato più volte sui doppi incarichi dei politici, degli alfieri della giurisprudenza, dei sindacalisti e dei magistrati che aspirano alle più alte cariche dello stato; dei baroni della sanità che chiedono fino a 300/500 euro per una visita di quindici minuti exstra agli stipendi esosi che ricevono dagli incarichi ospedalieri; dei sapienti della ‘scienza e della conoscenza’ che si spartiscono gli incarichi professorali in diverse Università pubbliche e private (con remunerazioni da favola); degli imprenditori (spesso senza arte né parte) messi a capo delle grandi aziende di interesse pubblico, che vengono spostati da una all’altra (o in qualità di presidenti di entrambe) come se possedessero l’onniscenza, la conoscenza totale e illimitata, attribuita e pertinente alla natura divina in quanto l'assoluta perfezione esclude la possibilità di una ignoranza sia pure minima.
Quando i veri ‘ignoranti’ siamo noi che permettiamo tutto questo, nel senso che ignoriamo (ipocriti) che tutto questo accade veramente. Noi i veri ‘burattini’ che attaccati ai fili, ci lasciamo muovere sulla scena di un teatrino obsoleto (la baracca) da un nugolo di Parlamentari meschini, per quanto meschine fossero le storie dei Pupi di passata memoria, che pure, davano un senso al ‘tempo immaginifico della storia’ e coscienza al ‘tempo sacro della vita’. Ma “..La coscienza – scrive Luigi Pirandello – non è una potenza creatrice; ma lo specchio interiore in cui il pensiero si rimira.” Così noi (tutti noi in primis) siamo i veri responsabili del destino che rimiriamo, parte e controparte di un copione scritto da ‘burattinai’ (i pupari), che (volenti o nolenti) ci siamo scelti e che continuiamo a recitare sul grande palcoscenico del mondo, al limite fra favola e realtà.
Ma è tempo di cambiamento. Come nei “Giganti della montagna”, l’ultimo dei miti teatrali di Luigi Pirandello, i ‘fantasmi’ del passato, con l’innocente convinzione di trovare un loro teatro (Parlamento) di rappresentazione, cercano un ‘mago’ (Premier) capace di occulti quanto singolari prodigi di risoluzione dei ‘problemi esistenziali e di sopravvivenza’ (primari cui noi tutti aspiriamo), che chiede (vuole e pretende) che il suo operato incida, magari anche con conflittualità, su chi attende (noi burattini) alla rappresentazione. Posto che (e non concesso), il ‘mago’ sottoponga il copione (programma politico) ai ‘Giganti della montagna’ (la risma autocratica dei parlamentari), pur consapevole del pericolo di portare un’opera così ricca di sensibilità (infingarda) verso quei potenti signori (detentori del potere) avvolti dalla volgarità che hanno completamente abdicato alle ragioni dell’interiorità e dello spirito, per correlare la loro esistenza solo a una dimensione materiale, concede loro che la rappresentazione sia allestita davanti al popolo.
Dacché il popolo (meschino), non certo abituato a questo tipo di spettacolo, apostrofa rozzamente il ‘mago’ (premier) e gli attori (parlamentari) e alla fine li uccide; e nell’epilogo, attraverso l’uccisione di tutti (parlamentari e premier compreso) si consuma la tragedia della morte dell’arte e della cultura, (insieme alla Costituzione a fondamento della Democrazia), di quella che noi (odierni consumatori di entrambe), pensiamo sia formata la società moderna. “Con ciò Pirandello frantumava anche la visione stessa di una verità assoluta e, additando alle «Maschere nude», sottolineava la trama di menzogna e di inautentico esistenziale, capaci di impaniare l’essere umano (sociale) nelle molpteplici ipocrisie e finzioni della società”. […] Nell’affermazione della propria consapevolezza critica, del valore soggettivo della rappresentazione del mondo secondo un’attività cosciente (e coscienziosa). […] La ricerca della verità, secondo Pirandello, si deve coniugare con la tensione civile (popolare), per distruggere gli pseudovalori e i resti di una società arretrata o per denunciare gli effetti sociali e culturali negativi. Acciò scriveva: “Badate, io non mi propongo di farvi ridere facendo sgambettare le parole” […] Nessuna penosa dottrina, nessuna crisi interiore ha (il diritto o l’obbligo) di alterare la serena armonia della vita e del temperamento umano, […] e (non pensiate che) questi elementi più tardi , sotto l’azione del sentimento (che prima o poi verrà fuori in ognuno si spera), non s’agiteranno per combinarsi nei modi più svariati”. Finanche con una possibile/impossibile sollevazione popolare (la storia insegna).
Nella situazione odierna noi, burattini senza e fili e senza un burattinaio al governo, per di più senza un copione sul quale appronare una rappresentazione di noi stessi davanti a un pubblico emerito (l’Europa e il resto del Mondo), al quale è lasciato il plauso e l’applauso finale: “..a forza di ripetere continuamente che sembri sorriso e che sei dolore … ne è venuto che oramai non si sa più né che cosa veramente tu sembri, né che cosa veramente tu sia … Se tu ti potessi vedere, non capiresti, come me (io che scrivo e trascrivo), se tu abbia più voglia di piangere o di sorridere.” Quale possa essere la svolta alla stagnazione attuale, mi chiedi? (rivolto al lettore).
“Adesso è vero – gli risponde l’humour moderno di Pirandello. Perché adesso penso solamente che voi vi siete fermato a mezza via. Al vostro tempo le gioie e le angustia della vita avevano due forme o almeno due parvenze più semplici e molto dissimili fra di loro, e niente era più facile che sceverare le une dalle altre per poi rialzare le prime a danno delle seconde, o viceversa; ma dopo, cioè al tempo mio, è sopravvenuta la critica e lefelice notte; s’è brancolato molto tempo a non sapere né che cosa fosse il meglio, né che cosa fosse il peggio, finché principiarono ad apparire, dopo essere stati così gran tempo quasi nascosti, i lati dolorosi della gioia e i lati risibili del dolore umano.” Ora questo pregiudizio (perché di questo si tratta), sa di retorica intellettuale, è per certi versi grottesco, e seppure per gioco esaminiamo anche gli arabeschi capricciosi degli italiani, di certo arriveremo a una creazione arbitraria; vale a dire che ci ritroveremo ad essere governati da una contaminazione mostruosa di diverse politiche ideologiche con elementi e programmi che sicuramente sono al di fuori del seminato, del conosciuto e dell’accettato; posti decisamente oltre quanto di peggio fin qui conosciuto.
Non resta che sperare in quella feconda spontaneità creatrice in cui gli italiani si sono fin qui barcamenati (per la sopravvivenza) e che, seppure trovandosi nel definitivo trionfo del volgare (coatto), non c’è fine al maggior numero dei mediocri, si ritrovi quel moto d’originalità e di amor proprio (e di patria) che da sempre è sollecitudine di rinascimento; il riacquisto di un patrimonio che sappia far fruttare sapientemente il senso delle cose e della verità, per riempire il ‘vuoto’ d’idealità che altresì da sempre ci distingue. Questo è il punto da chiarire e che richiede un’analisi più sottile. Scrive Pirandello: “Si potrebbe dire altresì che l’unica verità oggettiva per l’uomo sia quella ch’egli stesso riesce a creare oggettivando con la volontà il proprio sentimento.
Di vero, insomma, non c’è che la rappresentazione che noi ci facciamo del mondo esteriore , rappresentazione continuamente mutabile e infinitamente varia […] che è per noi la verità oggettiva, ed è illusione e finzione […] perché è in noi senza volontà; il senso estetico (del nostro vivere) comincia quando questa rappresentazione (di noi stessi) acquista in noi volontà, azione. Quello che dà infatti valore espressivo alla rappresentazione che si vuole è il sentimento. Ma per se stesso qusto non potrebbe nulla se non provocasse nella rappresentazione il movimento che la effettui, la volontà. Se non vi suscita dentro questa volontà, che è appunto l’azione, il sentimento è sterile.” Cioè, fine a se stesso.
Ma da questo dualismo d’intendimenti non vedo scampo alcuno, dal che si comprende che per “.. il popolo la storia non è scritta (non da esso), o se è scritta, esso la ignora o non se ne cura (non gli serve da insegnamento e non si comprende il perché); la sua storia esso la crea (vivendola), e in modo che risponda a’ suoi sentimenti e alle sue aspirazioni. Poiché non è così e tutte le promesse fin qui dette (e ascoltate dai nostri parlamentari), non sono use ad essere soddisfatte da alcuna delle parti (politiche), il popolo attento li guarda tutti come dei ‘fantocci’ e le loro ‘gesta’ (i loro proponimenti) come inverosimili; talvolta ignaro del danno incalcolabile che tutto ciò comporta.
Ma ecco che rileggendo il Berni, ci confessiamo d’essere dalla sua parte: “Che penitenza è la mia, a dare intendere al mondo che questo si debbe piuttosto imputare alla mia disgrazia che ad alcuna elezione? Io non ho comprato a contanti questo tormento, né me lo sono andato cercando a posta per far rider la gente del fatto mio; che se non se ne ridon però se non gli scempi. Ciascun faccia secondo il suo cervello, che non siam tutti d’una fantasia.” Pur avvertendo appunto un senso di ribellione e derisione del bisogno d’intendersi almeno nella forma, perché non abbia ragione chi di questo passo coglie l’occasione per dileguarsi dal problema insorto, né di lasciar andare i giovani che non trovano riscontro in questa nostra realtà sociale ad anni di studi, né dei sacrifici che i genitori hanno affrontato per farli studiare. Né chi per ragioni di crescita economica abbandona il ‘teatro/baracca’ con tutti i burattini per altri lidi.
L’errore è sempre quello: ‘quaranta denari (in più) non valgono tutta una vita spesa fra la comune gente (e la coscienza popolare). Questo è il nodo da sciogliere per chiunque azzardi oggi un governo: nascere e crescere a stretto contatto con il proprio territorio, investire nella cultura e nella rappresentatività delle proprie eccellenze, per arrivare, possibilmente, ad uno stato intermedio di equità sociale e dare a ognuno quella ‘pace’ che a costo di molte vite perse si è guadagnata. “D’altra parte, nessuno più si sogna di negare che gli antichi (avi) avessero l’idea della profonda infelicità degli uomini. La espressero, del resto, chiaramente filosofi e poeti. Ma, al solito, anche tra il dolore antico e il dolore moderno si è voluto vedere da alcuni una differenza quasi sostanziale svolgentesi con la storia stessa della civiltà, una progressione che ha fondamento nella sensibilità dell’umana coscienza, sempre più delicata, e nell’irritabilità e incontenibilità sempre maggiori.”
“Facilmente oggi – scrive ancora Pirandello – agli occhi nostri, se crediamo d’essere infelici, il mondo si converte in un teatro d’universale infelicità, […]la ragione che più s’interessa del valore filosofico del contenuto più che della vaghezza risente di un sentimento profondo di una disunione, di una doppia natura (piuttosto vaga) della modernità.” È pur vero che a un dramma, assistiamo talvolta a una farsa trascendentale, ingigantita a dismisura e, quella che era la povera ‘baracca dei burattini’ assume oggi la vana parvenza d’un teatro macroscopico che si ripete in ogni parlamento del mondo. Una banale concezione dell’umorismo o cosa? Di fatto la parodia costante inscenata dalla politica nostrana (che a tutti i costi vuole apparire seriosa), s’avvia a trasformarsi in una ‘cena dei cretini’ (dall’omonimo film di Francis Veber).
La cena, in cui ognuno deve invitare un individuo maldestro e incline al rompiballe (uno a caso) che ne combina di tutti i colori, si trasforma in gara il cui si sceglie il più cretino da portare a casa degli amici. Qui, tra gags e qui pro quò, s’avvera quella che è la nostra prossima scelta governativa per chi sarà il prossimo ‘cretino’ da nominare ‘premier’, da invitare a casa e mostrargli i nostri conti in rosso? Renderlo partecipe delle nostre necessità di sopravvivenza? Del nostro buono e cattivo umore riguardo le nostre certezze e incertezze sull’istruzione, la sanità, la pensione, i trasporti pubblici, la cultura, l’abbattimento delle tasse ecc.? Insomma di quel fardello di limitazioni cui ci obbliga il vivere quotidiano all’interno del nostro ‘piccolo paese’ che proprio non ne vuol sapere di diventare grande?
Eccolo, è lui. Lo stile è quello che conosciamo tutti: ‘che il ridere degli altrui malanni lo rende stolto’, che tuttavia è in grado di modulare perfettamente i toni e le espressioni, che di volta in volta (a seconda dei casi e degli interessi), affronta paradossalmente con ironia (e stupidità) fino all’assurdo, la caricatura e il grottesco, quasi con geniale estro umoristico come già in passato abbiamo avuto occasione di annotare. È qui che scatta la contraddizione che in essi genera il riso, ma non si pretenda di rassegnarci a non dir parola, che ci vuole poco a sostituir parola in cambio di un’altra (democrazia con dittatura) e subito svanisce il ridicolo (il riso ostentato sulla bocca di certi parlamentari), che di sventure ce né ben per tutti. Stiano attenti e andiamo avanti, che retorica e imitazione son ben la stessa cosa.
E con ciò mi taccio, ma solo fino alla prossima puntata.
(*) Tutti brani e le citazioni sono riprese dalle ‘Opere’ di Luigi Pirandello, I Meridiani Mondadori 2004. E da ‘L’umorismo’, Oscar Mondadori 2010 a cura di Daniela Marcheschi.
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