Cessati i lampi e i fragorosi tuoni
di un improvviso e violento temporale,
si espansero nitidi i consueti suoni
di un’umida e fresca sera autunnale.
Tra le pozze d’acqua sulla via
e il tappeto di foglie ingiallite,
si avvertiva nell’aria la nostalgia
delle giornate estive ormai finite.
Nella piccola piazza rianimata di gente,
si levò una lontana e triste melodia,
una musica lenta e struggente
di un canto denso di malinconia.
Sotto la luce di un vecchio lampione,
come un mago portato dal vento,
un violinista destava l’attenzione
tracciando nell’aria volute d’argento.
L’uomo stringeva il suo strumento
come un abbraccio che avesse accarezzato
tra il capo reclinato e l’ossuto mento
della sua donna il volto amato.
La mano nodosa lasciava le impronte
sopra il legno stinto e consumato.
Dei solchi profondi spezzavano la fronte
e la pelle sottile del viso emaciato.
Il sudore colava in gocce perlate
come condensa di un male nascosto
e umettava le labbra inaridite e contratte
sul volto sofferto e scomposto.
La musica copriva ogni rumore,
era l’ultimo canto del cigno morente
che dopo aver raggiunto l’amore
venne colpito dal rivale perdente.
Le note si levavano in armonia
come battiti d’ala di un animale ferito
mentre lottava nella lenta agonia
di un combattimento ormai finito.
Il lento ritmo di quelle note disperate
accompagnava la triste sorte
del povero cigno con le ali spezzate
nell’ormai calmo sonno della morte.
D’improvviso il musicista si fermò.
Abbassò il violino come fosse pesante
e con occhi febbrili intorno ci guardò
con l’arco sospeso e ancora vibrante.
La folla applaudì con commozione,
ma lui chinò il capo come umiliato
da quella misera condizione
che tormento e dolore aveva causato.
Dieci soldi per quel canto divino,
dieci soldi per l’infelice musicista,
senza forse capire che quel violino
svelava l’animo di un grande artista.
(Ispirato a "La morte del cigno" di Saint Saens)
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