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Italo Svevo letto da Antonio Testa

Argomento: Letteratura

di Salvatore Violante
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Pubblicato il 27/06/2011 15:39:47

Italo Svevo letto da Antonio Testa (*)
Nel maggio del 1968 per conto delle Edizioni A. Longo di Ravenna, vede la luce il libro saggio dal titolo Italo Svevo che compendia gli studi di Antonio Testa sullo scrittore triestino. Sono circa 130 pagine che affrontano il problema Svevo, e, per il periodo in cui vengono stampate, per la maniera del tutto nuova e convincente, libera lo scrittore triestino dai laccioli cui era sottoposto da letture critiche tradizionali limitate e limitanti, per il grande difetto di prospettiva in cui cadeva la critica letteraria italiana allorquando cercava un metro di giudizio italiano per uno scrittore che di italiano aveva solo il nome. Il libro è organizzato in sei capitoli più un settimo dedicato alle note bibliografiche. Il primo capitolo dal titolo Introduzione in realtà anticipa le conclusioni a cui perverrà l’autore del saggio durante il suo viaggio attraverso i testi di Svevo ed in particolare nell’analisi dei tre romanzi principali: Una Vita che darà il titolo al terzo capitolo, Senilità che titolerà il quarto, La Coscienza Di Zeno il sesto. Il secondo capitolo, utilissimo per gli studiosi, mette insieme in una ventina di pagine tutte le conclusioni cui erano pervenuti i maggiori critici di Svevo. C’è un quinto capitolo titolato da Senilità alla Coscienza che già nel titolo indica un moto da, utile, per giungere a destino.
Partiamo dal secondo capitolo: I Critici di Svevo. In queste pagine Testa mostra il teorema che la critica costruisce sui suoi tre romanzi, una sorta di schema che pone Senilità al vertice alto del triangolo evolutivo della sua arte. Partendo da Una Vita, il romanzo di Svevo, per questa critica, ha una evoluzione in Senilità ed un’involuzione ne La Coscienza di Zeno. Infatti, La Coscienza di Zeno, esplicitando chiaramente l’influenza di Freud, mentre provoca interesse e consensi nella critica francese, innesca incomprensione in qualche critico italiano, scorgendo nell’impiego dell’analisi più un problema che una soluzione stilistica. Così Ravegnani finirà per sostenere che La Coscienza è appesantita dalle frequenti incursioni psicoanalitiche per cui l’autentico Svevo è da ricercarsi in Senilità. Montale a sua volta mostra come Una Vita mantenga un equilibrio instabile fra i vari temi e Consiglio addita severamente il peso negativo che ne La Coscienza ha il materiale patologico. Per questa critica è solo un problema d’equilibrio tra soggetto narrante ed oggetto della narrazione. In Una Vita la bilancia pende troppo dalla parte degli elementi oggettivi e narrativi, ne La Coscienza il peso cala sul piatto dove trova posto il soggettivo e l’autobiografico. Solo Senilità mantiene il giusto equilibrio fra i due piatti della bilancia. Questo schema, secondo Antonio Testa, condizionerà anche critici come Spagnoletti e Bo che si impegneranno a ricostruire il rapporto tra biografia ed arte in Svevo.
È con la rivista Solaria, anche grazie ad Elio Vittorini, che si avvia una decisiva prima indagine critica notevole. La rivista negli anni che vanno dal ’26 al ’36, entra in polemica con il genio italico contrapponendo i valori letterari europei (Proust, Joyce, Kafka) a quelli limitati e provinciali della nostra letteratura. Ne deriva che l’unico scrittore italiano che più si avvicina agli europei sia Svevo. In Solaria i critici possono sostenere l’europeismo e l’antiretorica di Svevo e apprezzarne la consistenza fuori da inutili estetismi e vincoli retorici. Sono questi critici che per primi provano fastidio a risolvere l’arte di Svevo con il semplice gioco equilibristico tra narrazione ed analisi. Ed è Solmi riproposto da Vittorini, ad evidenziare come non sia possibile riscontrare in qualsiasi momento dell’evoluzione artistica di Svevo un’accettazione sia pure problematica della poetica del naturalismo: Svevo non insegue mai paradigmi di principi naturali ma sempre l’annotazione psicologica avvolgente e dinamica. Quindi lo schema della progressiva eliminazione del naturalismo man mano che l’arte di Svevo avanza è costruzione semplicistica e forzata. Bisogna convincersi che l’analisi è presente in tutti e tre i romanzi e li caratterizza unitariamente. Nella trappola dello schematismo cadono, da prospettive diverse, la critica estetica che giudica l’umorismo di Svevo antiretorico e saggio, privo di folgorazione fantastica, perciò torbido e patologico, questo perché Svevo è scrittore analitico, autobiografico, incapace di contemplazione, di trasfigurazione fantastica; la critica stilistica, contrapponendo lo stile narrativo tradizionale e quello analitico in una sorte di “sine qua non”, considera la scelta estetica di Svevo, scelta necessitata da scrittore che per limiti propri, si piega alle necessità della lingua, non riuscendo a piegare la stessa alle sue necessità. Si ha così l’assurdo che Svevo, per la critica estetica, è cattivo scrittore per eccessiva analisi, per quella stilistica, per troppo poca. Anche la critica più recente rispetto agli studi di Testa, (De Castris, Maier, Luti,) pur con meriti importantissimi, cade nella trappola dello schematismo costruito dalla critica classica, e se De Castris, per gli studi sulla formazione giovanile , il Maier, per l’imponente lavoro bibliografico, il Luti per lo sforzo di arrivare a comprendere in maniera più credibile il problema Svevo, regala strumenti indispensabili alle ricerche dei futuri studiosi, essa ,tuttavia, finisce sempre per soccombere, nel la lettura complessiva, in quel pregiudizio schematico della contrapposizione fra corpo narrativo ed analisi che fa intravedere un malinteso rapporto con Proust.
Svevo era consapevole implicitamente della materia che andava a trattare già nell’ottobre del 1890 quando pubblicava sull’ Indipendente di Trieste la sua novella L’Assassinio di via Belpoggio. Precedente ad Una Vita (1892), in questa novella compare già un’eccezionale capacità di analisi sebbene le numerose annotazioni psicologiche siano poco approfondite. Giorgio, uomo placido, incapace di far male ad una mosca, da ubriaco, uccide per un mucchio di banconote. Giorgio, con il suo carattere, un’azione così eroica avrebbe potuto solo sognarla. Da sveglio ed in perfetta lucidità si sarebbe accontentato del sogno, e così soddisfatto, avrebbe continuato la sua vita in una inerzia totale senza sbocchi impegnativi. Dopo il delitto, prende atto della sua energia, ed il risentimento muscolare al braccio per il colpo menato, si impadronisce dell’intero corpo sgombrando la mente. Non c’è rimorso ma l’osservazione analitica dell’atto compiuto. La soddisfazione di essere riuscito a farlo, mostra come esso appartenga al suo desiderio inconsapevole. Giorgio torna con la memoria al suo passato, quando, a carico di sua madre, tirava avanti tristemente sognando una condizione migliore senza far niente per procurarsela. La mortificazione di tale condizione è il motivo inconscio del misfatto. C’è voluta un’ubriacatura per realizzare l’unico atto di protesta! Basta questo “eroismo involontario” a Giorgio per saziarlo e riportarlo nel suo tran tran inerziale. La storia finisce con la sua confessione. Basta un interrogatorio con voce suadente. Questa novella ha già in sé i contenuti poi sempre più sottilmente penetrati delle opere successive. È il primo tentativo di spogliare l’esistenza da ogni decoro contraffattivo. Svevo scopre essere quello, il suo nuovo mondo narrativo e ne è sorpreso, per ciò, tutte le annotazioni sue tipiche, non trovano il loro modo organico ma restano qua e là e devono essere organizzate dal critico lettore. Una Vita, in sostanza, appartiene a questo momento preliminare della narrativa di Svevo. Necessità di fare chiarezza nella coscienza, di eliminare quella retorica che complica la vita facile. Ad Alfonso Nitti basta “l’eroismo” della conquista di una donna altolocata per fargli dire di essere vissuto. Dopo di che, voilà, l’inerzia. L’ingresso del piccolo borghese che entra nel mondo dei troppo ricchi, facendosi ricco con i troppo poveri, masochista con l’altolocata Annetta Maller, sadico con la popolana Lucia Lanucci, non diventerà mai romanzo corale ma vivrà del racconto di una piccola avventura individuale in chiave ironica in cui il protagonista, dopo lo sforzo iniziale della conquista e del possesso di Annetta Maller, cercherà di proteggere la sua inerzia rassegnata con la categoria della saggezza, con l’alibi della moralità, dei buoni sentimenti. In realtà Alfonso è soddisfatto di aver superato con il possesso di Annetta il suo complesso d’inferiorità e di averla punita per questo. Quindi può permettersi con Lucia di farsi grande e lodare la vita equilibrata, laboriosa nella semplicità e nella pace. Il romanzo poteva finire naturalmente qui, invece…. Non c’è ancora la dialettica interna così sottilmente minacciosa fra inerzia e ansia. La si potrà notare poco dopo, con Senilità dove l’ironia si trasformerà in umorismo. Questo però non ci deve far dire, raccomanda Testa, che avviene per la variazione delle condizioni di vita dell’autore, bensì per la raggiunta maturità del narratore e della sua tematica , ormai più convinto dopo il noviziato. La necessità di narrarsi trova riscontro anche nell’ambiente concreto che è nudo, privo di orpelli, funzionale all’analisi interiore che mai travalica nel lirismo della solitudine. Quindi tutto è obbligato a funzionare in tal senso e se la narrazione cede all’orpello, questo e rigettato come spurio e come tale salta agli occhi. È il caso della morte per suicidio del protagonista di Una VIta che arriva come una forzatura letteraria a romanzo ormai concluso. Giustamente Testa fa notare che a leggere per la seconda volta il romanzo, il lettore, fattosi esperto, salta gli episodi (la morte della madre, il suicidio etc.) spuri, e scopre il tema unitario e necessario dell’opera: una specie di odissea della rassegnazione.
La limitazione di Una Vita per Testa, sta tutta in questo dilemma dell’esistenza, esistenza problematica solo perché astratta. La Banca è tutto il mondo di Alfonso, mondo nudo come la sua vita. L’autore-narratore può lì sbizzarrirsi con l’ironia ma non riuscirà a raccordarsi e ad intaccare l’altro mondo che pure lui ama (cultura romantica, naturalisti francesi, Schopenhauer). Egli ha per le mani un racconto che non lo convince per la nudità della trama e l’anti-eroicità del protagonista. Non si fida della materia narrata per sua necessità. La sente nuda e vuole raccordarla al suo mondo culturale. Il romanzo, così, vivrà la stessa contraddizione dell’autore. La stessa che c’è tra l’impiegato ed il frequentatore di biblioteche. La vita nel romanzo, la vita vera, non potrà integrarsi con motivi costruiti dalla sua cultura romantica e la sovrapposizione dei due elementi così estranei, balzerà immediatamente agli occhi.
In Senilità (1898)invece, questa problematicità esistenziale non costituisce la sostanza del romanzo ma il presupposto. Infatti qui il l’ossessione esistenziale non si contrappone con la situazione sociale. Emilio Brentani, pur piccolo borghese come Alfonso, soddisfa con l’impiego le sue necessità materiali e con la letteratura il suo ego, diciamo così, sociale. Il romanzo non vive di questa problematicità. Mentre Nitti esaurisce le sue energie inseguendo le due carriere, il protagonista di Senilità, Emilio Brentani, pasce già nella sua inerzia alle prime battute. Morto il padre, Brentani scrive un romanzo per inerzia, immagina il suo personaggio come un giovane artista che viene rovinato da una donna misteriosa e fatale dal carattere e dalle movenze feline. In tal modo si è assicurata una certa rispettabilità letteraria. La sua immaginazione ha mostrato quanto egli sia attratto e nello stesso tempo terrorizzato dal mistero. Una volta esauritosi il mistero, l’adulto Brentani vorrebbe liberarsi dall’inerzia riprendendo l’impegno letterario. Non può più accontentarsi della favoletta immaginifica. L’impegno sarebbe eccessivo e qui cessano le sue ambizioni letterarie. Questo è il prologo: da una parte l’impiego che sazia il suo ventre, dall’altro la letteratura che gli ha procurato l’alloro su cui riposare. Lo scopo di Emilio è la vita tranquilla, senza scopo, senza responsabilità, senza impegno ma anche senza disperazione, perché è convinto della sua ricchezza interiore. Si sente a trentacinque anni “nel periodo di preparazione,(….) una potente macchina geniale in costruzione, non ancora in attività”. Ovviamente l’illusione cadrà ma sarà sostituita da altre illusioni che hanno la funzione di mantenere calma piatta. Inerzia quindi dall’inizio alla fine. Non c’è modo di ricamarci sopra, non è possibile costruire intorno ad un uomo superfluo una sostanza sociale. L’unico elemento caratterizzante è quest’inerzia che è puro movimento potenziale. In tal modo si può correre dietro a sogni e compiacersene senza muovere un dito per realizzarli. Ed anche quando egli insegue l’avventura amorosa, lo fa solo per realizzarsi un passato, in maniera da riempire a sufficienza la sua esistenza e farne una ricreazione mnemonica: senza assilli, senza crucci, senza insidie e senza ansie. La popolana Angiolina è donna facile per il piccolo borghese Brentani. L’approccio ,immediatamente, chiarisce i limiti dell’impegno: “non voleva compromettersi in una relazione troppo seria” Nel rapporto l’aggettivo qualificativo per eccellenza pare essere: cauti . Angiolina è all’altezza e disegna per Brentani un piano per evitargli noie e scaricare su di un terzo eventuali beffe. Brentani è estasiato e crede che il progetto sia solo un ragionevole modo di vivere l’amore. Quando Angiolina gli dichiara d’essersi fidanzata, si rende conto che il sogno è stato distrutto dalla realtà e che quello che egli aveva solo immaginato una volta realizzatosi non potrà più ritornare sogno. L’avventura leggera si fa problematica per cui necessita il ritorno alla vita tranquilla, inerte. Ha una sorella, Amalia, donna che pur austera s’innamora di uno scultore di poco conto ma molto ammirato dalle donne e amico di Brentani . Dalla stanza di Amalia, Brentani, sente provenire la sua voce in sogno mentre parla di viaggio di nozze ove tutto è lecito. Questo fatto procura a Brentani l’uscita di sicurezza dall’avventura con Angiolina ed il ripiego morale del ritorno al dovere. Si dedicherà alla sorella. Quando ella è moribonda, tenta di chiudere convenientemente con Angiolina . L’incontro non avviene come l’aveva immaginato. Pensava ad un dolce, tenero, appagante incontro, pieno di buoni sentimenti e senza rimproveri. Angiolina invece arriva di corsa ed ha fretta di liquidarlo. Tutto in modo prosaico, mostrando come la realtà è assai brutale rispetto all’immaginazione. Resta deluso e per qualche tempo ripercorre con la memoria luoghi e situazioni della sua avventura. Cerca di darle sistemazione coerente, compatibile con il suo sognato. C’è un breve momento in cui fa fatica a ritornare al tranquillo moto inerziale. Presto quel periodo, si farà ricordo e tanto basterà per farlo diventare il momento più importante della sua vita e grazie al ricordo, Angiolina, si trasformerà in un simbolo di donna amante, triste e pensante. Qui Svevo, secondo Testa, attraverso Brentani che cerca di organizzare la sua vita in una successione di avvenimenti prevedibili e perfetti, evidenzia la patologia dell’esistenza che vuole risparmiarsi la fatica dell’ impegno sociale. Per Svevo è tutto molto chiaro: e la poesia non può prescindere da questa verità. La lucidità dell’analisi da parte dell’autore lo rende indulgente verso gli attori del romanzo: il tono sarà ironico ma di un’ironia bonaria mai irridente. In effetti Una Vita si differenzia dal successivo romanzo, perché racconta una verità resa astratta dalla miscellanea di elementi spuri, di puro gusto letterario, con quello analitico; Senilità invece fa del racconto la verità irrinunciabile e necessaria alla poesia dell’autore. Qui niente è fuori posto, non una parola inutile od un’immagine da ricamo; l’ironia si arricchisce di pietas e tutto concorre a realizzare l’identificazione della poesia con la verità.
Con La Coscienza di Zeno ( 1923) il ciclo si chiude. Lo scrittore ha ormai il bagaglio pieno della filosofia di Schopenhauer, delle teorie psicanalitiche di Freud e del la nuova concezione del reale di autori come Joyce o Proust. È ovviamente un bagaglio non semplicemente inteso, come dire, culturalmente appreso, ma completamente chimificato e trasformato in energia utile alla vita dell’uomo del suo romanzo. Insomma, filosofia ed analisi non servono a Svevo per creare schemi artificiosi entro cui calare la vita del suo personaggio, bensì per farsi esse stesse caratteristiche umane, di quell’uomo di Svevo che cerca di vivere nel miglior modo possibile con la minore fatica possibile e con prospettive più grandiose possibili. La Coscienza di Zeno è la scelta consapevole e matura di una vita senza grossi impegni e faticosi e quindi della necessità di un dotarsi di un atteggiamento propositivo, rinnovabile nel tempo, nella prospettiva di un domani migliore dell’oggi. Questo atteggiamento avrà il merito di tacitare i richiami interiori alla virtù e nel contempo permetterà di perseguire il piacere pratico. È il mai più con cui inizia il romanzo Svevo. È la definizione di quell’atteggiamento di Zeno Cosini verso il vizio del fumo: la malattia dell’ultima sigaretta che fa dire al personaggio che solo per lui il tempo ritorna, non s’arresta mai. Assaporare l’ultima sigaretta diventa estremamente piacevole per chi si propone seriamente di smetterla con il fumo. Si continuerà la trasgressione pur sognando di ritrovare il mondo normale. Ma ci saranno tante ultime sigarette: si trasporterà il domani nel tempo in un potenziale attuarsi (un po’ come il domani del pagherò di Totò) permettendo così al piacere di ritrovarsi ogni volta. L’analisi che Zeno fa dei suoi gesti è estremamente lucida: senza un serio proposito la vita futile è priva di interesse e peso tensivo, con esso si illuminerà d’intenzione. Zeno Cosini, intelligente, ricco, e di buona famiglia se la gode così. È così che accontenta i suoi vizi e risponde alle aspettative paterne: mai più (domani, direbbe Totò). Ma il padre muore. Per Zeno Cosini, una vera catastrofe. Non può più giocare con il domani. È costretto a crescere, non può più fare l’eterna promessa, deve giocare da professionista e così pensa di sposarsi. Ecco un nuovo più attuale proposito. Frequenta una casa borghese con quattro ragazze: Anna di sette e Alberta di diciassette anni non sono da considerarsi perché immature. Restano la strabica, grassa Augusta e Ada. Quest’ultima ha una severa bellezza. Zeno di lei ama la serietà degli occhi, il taglio severo dei capelli ed il suo parlare semplice. Insomma Zeno s’innamora di una moglie-madre. Vorrebbe sposarsi per ritornare figlio e continuare a fare le marachelle ma sempre avendo davanti l’obiettivo di essere tradotto verso una vita completa, virile, di lotta e di vittoria. Ma anche questo proposito viene rimandato all’infinito: si riprometteva di parlarle ma solo quando si fosse fatto più degno di lei. Che fretta c’era? Così tira avanti analizzando i suoi sentimenti e le sue preoccupazioni, dando l’idea di chi sogna una cosa ma ha paura che essa poi possa davvero realizzarsi. Infine sposa la strabica Augusta. Deve perciò trovarsi l’amante. Anche questo proposito va per le lunghe: trovata, l’amante diventerà sua complice. Entrambi, ogni volta, rinnoveranno il proposito di farlo per l’ultima volta.
La Coscienza di Zeno è certamente l’impotente saggezza di chi guarda con occhio benevolo lo sforzo di raccordare le contraddizioni presenti tra il nostro essere ed il nostro voler essere. Questo più o meno il pensiero di Testa che legge Svevo. Un traguardo notevole in quegli anni.
Io penso che oggi sia possibile sottolineare la solitudine dei personaggi di Svevo microcosmo di quella inquietudine ed angoscia del mondo borghese che conosce l’alienazione. Svevo utilizza l’analisi per impadronirsi della propria coscienza e del proprio subconscio: il mondo è dentro non fuori, e là, i fatti si dissolvono. La società appare malata e decadente. D’Annunzio, Fogazzaro e tutto il genio italico si illudono mitizzando e mistificando l’individualismo borghese. Svevo demistifica tutto questo. Scopre quanto sia irrazionale e tragica la realtà ma anche come la coscienza sia brava a creare autoinganni. Questo in Svevo non avviene per caso o per arbitrio. Il suo osservatorio non è collocato nella provincia italiana ma in quella Trieste crocevia della cultura europea. È testimone delle forme e maniere in cui la borghesia percepisce la propria crisi e quella del mondo austro-ungarico. Attraverso quella cultura e quelle maniere (analisi, monologo interiore, nuovo sentimento delle cose, passato tramite il presente, rappresentazione del negativo, dell’anti eroe, della coscienza individuale), Svevo mostra l’impossibilità di rappresentare il proprio tempo oggettivamente, al di fuori delle contraddizioni, crisi, malattie individuali. Emblematico là dove dice << forse…un uomo …come tutti gli altri nel segreto di una stanza…..inventerà un esplosivo incomparabile ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri…ruberà tale esplosivo…una esplosione enorme…….e la terra ritornata …..nebulosa errerà nei cieli…..>>
(Antonio Testa, “Italo Svevo” Edizioni A. Longo – Ravenna 1968, pagine 131 lire 1200)
Salvatore Violante
(*) Testo stampato sul libro quarantaduesimo di “Secondo Tempo” Marcus Edizioni Napoli.

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