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Mario Apuzzo, Archeologia del sogno, Guida, Napoli

Argomento: Alimentazione

di Salvatore Violante
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Pubblicato il 09/03/2010 16:37:40

* Mario Apuzzo, Archeologia del sogno, Guida , Napoli 2009
Il contenitore del catalogo è di cm. 23 x 23, ha il fondo dorato e presenta due ritratti in nero sulle due facce. Nella prima c’è il profilo dell’autore che si presenta con verosimiglianza attuale, nell’altra, l’immagine è di prospetto e realizza il viso di un giovane trentenne. È sempre l’autore, ma somigliante al suo secondogenito. Ad una prima occhiata viene da pensare a quei contenitori per dischi “pop music” anni ’60 con l’immagine della popstar americana sulle fiancate. In realtà credo che il contrasto tra le due immagini (quella somigliante al viso d’oggi dell’autore e quella più giovane e quindi più remota) voglia evidenziare lo scarto temporale di cui è capace l’immaginazione quando rincorre la memoria. Il catalogo della mostra presenta, anche nel risvolto di copertina, un’immagine dell’artista in atteggiamento pensieroso davanti al suo leggio con la scritta “Sorprendere con Generosità”. La sorpresa è veramente generosa perché l’artista mostra il suo profilo più volte. Nel risvolto del retro di copertina ma anche a pag. 51, 102 e 106.
Viene da pensare a Narciso anche se, credo, che il narcisismo sia qui generato più che dal profilo, dal sentirsi tenutario di capacità tecniche sopraffine. Tutto questo è fondamentale per leggere correttamente l’opera di Apuzzo. È la chiave d’ingresso per cogliere, con plausibile approssimazione, quelle tracce di sogno costruite in tutta la produzione, e più ancora nelle sue ultime opere. Il catalogo, stampato coi tipi di Guida, documenta la mostra tenuta nella sala Carlo V al Maschio Angioino di Napoli dal 3 al 28 ottobre 2009 intitolata Archeologie del sogno. È stata curata dalla moglie Colomba Iovino e dal critico Giorgio Agnisola. È presentata per la produzione recente, dai testi critici dello stesso Agnisola, di Aldo Masullo e Francesco Sisinni. Per la più remota, da quelli di Angelo Calabrese e Franco Solmi. Le traduzioni in inglese dei testi scritti danno referenze d’internazionalità al tutto: Michele Guastaferro traduce Agnisola e Sisinni; August Viglione, Masullo mentre Francesco Policastro traduce Calabrese e Solmi. Gli scritti di Franco Solmi ed Angelo Calabrese si trovano alla fine del catalogo come a prefare una sorta di antologia riassuntiva delle opere quasi tutte degli anni ’70, ’80, ’90 ed inizi del nuovo secolo. C’è di tutto, dalla scultura all’oreficeria, dalla pittura alla grafica. Franco Solmi sottolinea la natura lirica dell’arte di Apuzzo, considerandola una maniera di specchiare nel presente i riflessi memoriali di antiche ritualità mediterranee. Pensa che la mancanza di personaggi e di eventi del quotidiano nelle così dette “mappe” riflettano una solitudine di fondo. Ci si potrebbe spingere a definire “metafisica” quella pittura, dice, se non fosse presente un forte senso di vita, anche se primitivo, che traspare dal calore dei toni e dalle venature della materia.
Angelo Calabrese punta sulla sensualità dell’artista che cerca appagamento già nella scelta del materiale come la pietra, il talco e la steatite per la scultura, ma anche il sughero ed il papiro per la pittura. L’artista si muove lasciandosi prendere dalla fisicità della materia che modella o segna, senza violenze, come a volerne interpretare il restauro.
Così, secondo Calabrese, nasce una sorta di epopea delle origini che produce nell’occhio del fruitore un terremoto di eventi illusori fino a provocare una sorta di transfert in un mondo epico e primordiale dove la memoria produce le sue atmosfere. In tali atmosfere l’evento perde la sua temporalità e diventa testimonianza, un residuo archeologico che stimola l’immaginazione.

Il sottoscritto ha visto nascere e crescere l’ultima produzione.
Essa, è stata realizzata ancora una volta, utilizzando un tessuto preesistente. L’artista si è trovato fra le mani un catalogo illustrato e partendo da quelle immagini stampate, con l’ausilio di una semplice biro, facendo un’operazione inversa, ha disegnato cancellando. Il resto l’ha fatto il postmoderno computer ed il colore.
Ha utilizzato, in altre parole, le ombre per tirar fuori, nella luce, nuove figure, in una metamorfosi del preesistente. Forse dal sottofondo della memoria, sono risalite alcune schegge che hanno indirizzato la mano dell’artista verso certi itinerari anziché altri? Non saprei dirlo con sicurezza. Bisognerebbe trasformarsi in medici psichiatri e sottoporre l’artista ad una serie di sedute. Questo non è possibile, e non è detto che il soggetto in questione sarebbe disponibile in buona fede. Quello che è certo è che Apuzzo è un abilissimo ritrattista e, questo, gli dà padronanza del mezzo (penna) e degli effetti ombra-luce. È un bravissimo orafo, il che lo costringe alla cura ossessiva dei particolari, infine, è un eccellente scultore, cosa che lo rende tattile alle forme. Inoltre è innamorato di Caravaggio e, di conseguenza, di quelle atmosfere in cui la plasticità delle figure salta fuori con un’illuminazione particolare, marcando i volumi, facendo del quadro una sorta di scena da cui le immagini, improvvisamente, fuoriescono. È originario della costiera, quindi ama la luce calda che invita alla buona cucina. Adora stravaccarsi al sole e inondarsi dei suoi caldi raggi, poltrire a letto e inebriarsi leggendo o disegnando, avverte la vitalità delle marine. Da vesuviano acquisito per virtù matrimoniali, ama i colori di quella terra e la sua carica dionisiaca che egli cerca di suggere creando e godendo del suo buon vino. Questo, da lui costruito, direi quasi nutrito tra la sabbia, i lapilli e le schegge di lava, si sublima come sangue di Vulcano da sorseggiare per strizzarne profumi e suggestioni. C’entra tutto questo con l’opera di un artista? Io credo di sì. Sono convinto che le manipolazioni artistiche di Apuzzo siano una sorta di coito compiuto con la materia fino all’orgasmo, vale a dire fino alla esaltazione di quel “bello” vivo e vitale che appaga l’occhio e fa riposare la mente (la ratio aristotelica) innescando altri sensi oltre ai cinque riconosciuti. Aldo Masullo ragiona su tutto questo a modo suo, da filosofo, chiamando come teste Eraclito di Efeso ed accomuna l’arte visiva al sogno ad occhi aperti. Io che filosofo non sono, intuisco nel linguaggio dell’arte una sorta di arco voltaico che scocca tra due poli interagenti. Da un lato quello dell’artista nella sua interezza fatta di tessuti, visceri e sangue, dall’altro quello della materia da ri-vedere. La scintilla per Masullo, ma anche per me e per Leopardi, è il sogno ad occhi aperti. “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in certo modo doppi. Egli vedrà con gli occhi una torre, una campagna; udrà con gli orecchi un suono d’una campana; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna, udrà un altro suono. In questo genere di obbietti sta tutto il bello e il piacevole delle cose. Trista quella vita (ed è pur tale la vita comunemente) che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici….(Zibaldone 4418)
Più semplice di così?
Il problema vero è riuscire a capire dove e cosa porta tutto questo.
Sisinni parla dell’opera di Apuzzo come di una sorta di crestomazia della bellezza che si dispiega in molteplici forme realizzando sempre un’epifania lirica sia quando innova sia quando si mantiene più fedele alla tradizione.
Giorgio Agnisola apre il catalogo riconoscendo ad Apuzzo una espressività che nasce da una suggestiva compresenza di geometria e sensualità. Le immagini, egli dice, assumono il senso di una metafora astratta e persino ironica, carica di rimandi emotivi e psicologici, che interpretano la vita dall’interno, nei movimenti oscuri e complessi dell’esistere, ma anche dall’esterno, fotografando simboli e segnali della società postindustriale. E addentrandosi nell’analisi dell’ultima produzione così si esprime: - la sua intuizione si orienta nel gioco di assonanze interne, di scatti dell’immaginazione, come dentro un contenitore di cui si conoscono solo le pareti, ma di cui si può individuare il senso. Apuzzo parte di qui per un’avventura che è innanzitutto viaggio fantastico e psicologico, archeologia dei sogni, erranza della memoria.-
Pessoa ha detto: -Nulla si sa, tutto s’immagina-
Che dire ancora? Un’opera d’arte vive tre volte: nell’intenzione dell’artista, in se stessa, nella fruizione del lettore. Lo stesso lettore ne godrà o soffrirà in modo diverso cambiando il suo osservatorio.
Su di un battello con mare forza nove, fermarsi a guardare un quadro o una scultura, sarà certamente diverso che in un salotto ben illuminato.
Per questo, qualsiasi tipo di lettura va presa con le molle.
Il mio consiglio? Guardate con i vostri occhi.


*Articolo comparso nel libro trentottesimo di “Secondo Tempo”


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