Nessun'altra casa
era altrettanto rumorosa.
La vita che vi si svolgeva
manifestava con baccano
il suo decorso. Era come
se non potessero vivere
senza far sentire che vivevano.
Così ogni loro gesto era chiassoso,
anche quando silenziosamente
avrebbe potuto trovare svolgimento.
Se scrivevano declamavano
quello che scrivevano
e se leggevano facevano altrettanto,
addirittura sfogliando le pagine con forza,
fin quasi a strapparle,
pur di affermare con fragore
la loro presenza,
la loro partecipazione alla vita
che ormai consisteva, quasi del tutto,
nell'esprimere vitalità.
Così fortemente presi
da tale occupazione
(testimoniare caoticamente
la loro esistenza),
e da tale occupazione
per nulla spossati
(mai stanchi si sentivano
ma sempre pù rinvigoriti),
arrivarono a pensare all'immortalità
come obiettivo della loro lotta.
Addirittura all'immortalità.
Pensarono che vivendo
tumultuosamente e
nel tumulto manifestando
la propria vita, si potesse
sconfiggere la morte,
e se ne convinsero.
Con maggiore forza, allora,
ripresero a far chiasso,
confondendo il chiasso con la vita.
Sfidarono la morte col frastuono,
col fracasso pretesero di vincerla.
E per secoli continuarono,
nella loro baraonda,
ad uccidere il silenzio
che, tuttavia, mai morì.
Lentamente i rumori,
pur restando forti,
meno intensi si fecero.
Gli abitanti della casa
non smettevano mai
quel loro putiferio,
ma iniziarono a dubitare
della possibilità della vittoria,
fino a rendersi conto
dell'ineluttabile sconfitta.
Non smisero però di far rumore.
Dopo una vita trascorsa nel
frastuono, inaudita appariva la quiete.
E nella loro disperata gazzarra
finirono per morire, uno a uno,
fino a che, morti tutti,
ogni suono ebbe fine.
Vuota rimase la casa rumorosa.
Ed il silenzio ne restò padrone.
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