Pubblicato il 20/10/2017 09:20:33
“Fogli(e) d’Autunno 5” (letteratura, poesia, narrativa, libri, editori, concorsi, con uno sguardo all’arte in fatto di mostre, cinema, teatro, musica e viaggi.)
“Quando arrivò l’Autunno se ne accorsero appena, faceva ancora così caldo che la sera lasciavano spegnere il fuoco. (…) Lenta, calma, l’Estate finiva. L’aria odorava dei fuochi che bruciavano nelle sodaglie, degli aromiche salivano dai pendii. (…) Mattine e sere tiepide, senza vento. Per giorni interi osservarono i cieli bassi e umidi, opachi come i sooni. Quando i viaggiatori partivano lei metteva le braci negli scaldapiedi e saliva a riempire d’olio le lampade nelle camere, loro rimanevano in cucina a parlare, commentavano la giornata, respiravano l’aria della sera. Finito il suo lavoro lei augurava la buona notte e saliva nella sua soffitta. Di lassù sentiva le loro voci e le loro risate, e l’upupa che gemeva nel boschetto sul fiume”. (Da ‘L’offerta’ di Michèle Desbordes – op.cit.).
È tornato l’autunno senza che me ne accorgessi. Così, quando d’improvviso ho scorto le foglie ingiallite che cadevano dagli alberi. Tutto sommato non me ne dispiace anche perché ero quasi stanco di tanta assolata solitudine (si fa per dire) degli alberi. Come dire, la cosa mi fa sentire un po’ meno solo, ed accarezzo l’idea di rimettermi a scrivere, senza alcuna cognizione del tempo che passa. Ma che ora è (?) Davvero non saprei dire perché non guardo mai l’ora. Eppure so che non è vero, la guardo sovente ma capita che un momento dopo già non la ricordi più. Allora torno a guardare l’orologio per vedere se nell’affanno siano cadute le lancette, oppure … al contrario è invece scemato l’interesse per ciò cui forse prima avevo riposto interesse, ma prima di quando (?) Il fatto in se stesso all’apparenza sembra non dire niente, anzi, lasciar cadere ogni cosa nell’indifferenza, forse perché non c’è nessuno con cui condividere l’interessamento di poco prima, ma di quale interesse si trattasse ora davvero non saprei dire. Che mi sia sfuggito insieme all’attimo segnato dall’orologio anche il nesso che il passare del tempo reclama alla sopravvivenza (?) Per quanto, se non ne trovo la ragione, mi pare sia del tutto inutile rimpiangere l’attimo andato comunque perduto e, insieme con la ragione, ritrovare l’istanza che lo rendeva partecipe della mia stessa esistenza. Un fatto di essere presente a se stessi, oppure … e mi rifaccio alla logica che mi dice che potrebbe non essere così, ma così come (?) Di certo non è così che funziona, quando nell’evolversi del tempo, anche l’attimo può avere, anzi ha, una sua ragione d’essere all’interno degli spazi occupati da una qualche riflessione, come nel caso di un momento di solitudine che arriva all’improvviso e ci sorprende impreparati … ma impreparati a cosa davvero non saprei. Che forse stiamo aspettando il diluvio (?) Quand’ecco la mente attiva da luogo al fluire di sentimenti contrastanti, reclama in sua difesa le emozioni, si concede spazi di rifrazione, inclusivi di suggestioni, di turbamenti ed eccitazioni, che attraverso i condotti interstiziali della mente sollecitano all’immaginazione ciò che dell’immaginario non è … nell’incapacità di cogliere il nostro ‘attimo fuggente’(!) e tornare a impossessarci delle ragioni di un silenzio che era divenuto assordante e non ci lasciava vivere, ma che forse possiamo ancora governare …
“tra le righe” (GioMa inedita)
..torno talvolta a leggere come sono fatto negli spazi in bianco leggo quello che vorrei essere
Ɣ – Al nostro inconscio immaginario appartengono l’arte, la musica e la poesia, e gran parte della letteratura che ci ha impegnati fin dall’inizio di questa lunga passeggiata narrativa fra passato e presente, fra attualità del passato e future letture autunnali. A incominciare dall’affermazione di Albert Einstein:
“La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero, sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza” e che, per quanto la scienza dichiari il contrario, richiama alla religiosa osservanza del creato, a quel mistero che ha un solo nome ‘Dio’.
La citazione è di Mario Brunello, violoncellista che, nel suo libro “Silenzio” (Il Mulino 2014), ci racconta come scaturiscono le sue straordinarie note, semplicemente facendo vibrare le corde del suo strumento all’interno di una cassa armonica, specie di luogo in cui esse non sono; in cui, per l’appunto, domina il silenzio che permette però all’artista di entrare, di essere segnato dalla creazione. “E così nasce la musica. Il suono si sistema in quel silenzio. Ecco allora la ricerca di luoghi dove il silenzio è d’oro, dove esso prospera e viene rispettato, come una montagna o un deserto. Persino in un mercato caotico pieno di colori, di parole e di forme, il musicista trova il suo silenzio e lo trasforma in qualcosa di portentoso: «È un silenzio che sta anche intorno ai suoni, un silenzio che è ‘liquido amniotico’, che dà vita e ne fa riconoscere e individuare il (suo) senso profondo”.
Discografia: “Violoncello and” – EGEA 2009; “Odusia” – EGEA 2008; Bach - “Concerti Brandenburghesi 1-6” direttore Claudio Abbado - 2008; Bach - “Sei suites per violoncello solo” - EGEA. Ed altre incisioni, moltissimi altre, dedicate ad autori come Vivaldi, Beethoven, Sollima, Villalobos, Jobim, Brahms, Chopin, Samti, Dvorak con Antonio Pappano. Pubblicazioni: Mario Brunello “Fuori con la musica” – Rizzoli 2011. “Silenzio” Il Mulino 2014.
Sitografia: rivistailmulino@mulino.it Ɣ – ‘L’arte di essere fragili’ di Alessandro d’Avenia (Mondadori 2016) non è un romanzo, e neppure un libro qualunque, ci si può innamorare nel leggerlo così come si è sempre innamorati della ‘bellezza’. Finanche nella sua sfuggevole accezione, quando cioè la bellezza trova il suo equivalente nella ‘fragilità’ di ciò che non si può afferrare, che solo è lasciata all’incanto dell’osservatore attento, che la esalta e la celebra su tutte le cose: come il pittore fa con la natura, l’uomo con la donna, quando il sentimento sublima l’amore e ci fa dono di un ‘salvavita’ che molti non stenteranno a riconoscere come il più bel libro mai letto prima. Insieme a tanti altri ovviamente, ma in senso assoluto quello che più asseconda la necessità attuale di riconciliazione con gli altri, col mondo in cui viviamo, con la bellezza della natura che ci circonda e, non in ultimo, con noi stessi. Quei ‘noi’ che forse non conosciamo fino in fondo o che volutamente disconosciamo per scelta, per ansietà o per disamore di quelle cose che pure abbiamo amate e in segreto ancora amiamo, alle quali senza ragione non prestiamo più alcuna attenzione. Non c’è in questo trattato poetico nulla che sappia di vecchia morale, di nebbiosa credulità, di ingiusta etica, nulla che nel bene e nel male delle faccende umane sappia di stantio, tutto è qui riportato al giorno d’oggi. Così le storie che vi sono riportate, le impressioni che danno lustro alla nostra modernità obsoleta, le esperienze maturate sul campo dal giovane prof d’Avenia calatosi nel raffronto agevole con il poeta Giacomo Leopardi, sono tali da riuscire a formulare un epistolario impossibile eppure verosimilmente attestabile ai nostri giorni. Scrive d’Avenia: “Nutre la mente soltanto ciò che la rallegra, e ciò che la rallegra è la scoperta dei legami che uniscono cose e persone, che rendono viva la vita. Cogliere quei legami, e ripararli è la felicità del cuore e della mente”. Ed è forse questo il breve lucido resoconto che scaturisce da un dialogo siffatto in cui il termine ‘raffronto’, produce tuttavia una sorta di seduzione che modella l’incanto della lettura, lo scherzo intelligente di esistere e di nascondersi a noi cercatori d’oppio letterario che stanchi, lasciamo talvolta al caso di offrirci le sue leccornie poetico-filosofiche. Forse l’una e l’altra delle cose, per quanto è l’aver scoperto che le ‘cose’ davvero:
“..tornano a reclamare i loro diritti, la loro tenerezza, la loro impurità, la loro ombra luminosa, la loro fragilità. Le cose e le persone, i loro volti, tornano a invocare la nostra misericordia: custoditeci e riparateci, nonostante tutto.(..) Così è la poesia, ci costringe ad abbassare la luce artificiale e tornare a vedere il mondo, mutilato e fragile, ridotto così dalla nostra indifferenza. (..) Se le stelle riuscissero ancora a colpire i nostri occhi, non solo una volta all’anno quando cadono, credo che avremmo più possibilità di costruire la nostra casa su fondamenta celesti, quelle della nostra unicità”. (d’Avenia).
E chi meglio di Giacomo Leopardi che non ha avuto il tempo di invecchiare, ha potuto investigare nei sentimenti umani la fragile essenza dell’essere? – si chiede l’autore d’Avenia – Chi ha dato a questa nostra epoca, la dimensione di come davvero "la poesia può salvarci la vita”? “Forse se il nostro lettore, Giacomo (Leopardi), stanotte spegnesse tutte le luci e guardasse il cielo in silenzio, saprebbe che la bellezza e la gratitudine ci salvano dallo smarrimento dovuto alla nostra carenza di destino e destinazione”.
“Forse se in quel buio luminoso avesse accanto o nel cuore qualcuno, ne scorgerebbe meglio la seducente fragilità, un infinito ferito che chiede cura e riparazione, e capirebbe di esser ‘poeta’, cioè chiamato a fare qualcosa di bello al mondo, costi quel che costi. Forse allora saprebbe che solo uno è il metodo della faticosa ed entusiasmante arte di dare compimento a se stessi e alle cose fragili, per salvarle dalla morte: l’amore. Questo è il segreto per rinascere … questa è l’arte di essere fragili”. (..) Viviamo in un’epoca in cui si è titolati a vivere solo se perfetti. Ogni insufficienza, ogni debolezza, ogni fragilità sembra bandita. Ma c’è un altro modo per mettersi in salvo, ed è costruire, come te, Giacomo, un’altra terra, fecondissima, la terra di coloro che sanno essere fragili”.
Alessandro d’Avenia, dottore di ricerca in Lettere classiche, vanno ricordati ‘Bianca come il latte, rossa come il sangue’ (Mondadori 2010) dal quale è stato tratto nel 2013 l’omonimo film; ‘Cose che nessuno sa (2011); ‘Ciò che inferno non è’ (2014) con il quale ha vinto il premio speciale del presidente al premio Mondello 2015. Da questo libro l’autore ha tratto un racconto teatrale che presto porterà in giro per l’Italia. Sitografia: info@mondadori.com , news@mondadori.it
Ɣ – “Cedi la strada agli alberi - Poesie d’amore e di terra”, un libro di Franco Arminio (Chiarelettere 2017), dal quale sono ripresi i passi che seguono:
“La prima volta non fu quando ci spogliammo ma qualche giorno prima, mentre parlavi sotto un albero. Sentivo zone lontane del mio corpo che tornavano a casa.”
Chi scrive ha in mano un’emozione o un sentimento. Scrivendo, si trasforma in chi legge, acquisendo forma e suono, allora diventa poesia. Il sentimento perso o perduto è una delle fonti di maggiore ispirazione dei poeti di tutti i tempi. Come in questa poesia di Franco Arminio, ‘poeta della suburbia’ …
Portami con te in un supermercato, dentro un bar, nel parcheggio di un ospedale. Spezza con un bacio il filo a cui sto appeso. Portami con te in una strada di campagna, dove abbaiano i cani, vicino a un’officina meccanica, dentro a una profumeria. Portami dove c’è il mondo, dove non c’è la poesia.
“Franco Arminio ci invita a immaginare e vivere l’amore che non si è voluto o potuto cogliere. Descrive alcune ipotetiche scene di vita come rituali d’amore da seguire nel quotidiano per cogliere la concretezza di un rapporto che sia pieno di fatti, oltre che di parole, perché solo così può riempirsi di significato e di senso. (…) Paesologo, così si definisce Franco Arminio, professione poeta, registra, scrittore, ma anche animatore del festival “La luna e i calanchi” di Aliano, in Basilicata, regione per la quale ha scritto il documento strategico per le aree interne: “Nei paesi, nelle aree interne, dove gli altri vedono solo il passato, io vedo il presente e il futuro, spiega a Linkiesta, a margine della Rena Summer School di Matera, dove è intervenuto in qualità di relatore. E il luogo migliore in cui si può fare sono le aree interne. (…) Le aree interne sono molto meglio: hanno tradizione, identità, bellezza. (…) La città non è il cuore di tutto. In città non c’è il sacro di cui l’uomo ha bisogno. Quel sacro che rimane nelle comunità abbandonate, lontane dalle città. Io nutro più fiducia nei posti più marginali possibili, anche quelli colpiti dal sisma lo scorso anno. Soprattutto quelli”.
Sitografia: info@chiarelettere.it Ɣ – Ma la poesia dov’è, dove si è cacciata? Si chiederanno alcuni di voi (lettori che mi seguite), non certo è rimasta nelle torri d’avorio e neppure è finita nelle discariche, perché la poesia è qui, ovunque, intorno a noi, e scovarla si può in ogni luogo, in ogni momento dove riponiamo la nostra ‘bellezza’ interiore; dovunque spendiamo il nostro ‘amore’, in qualunque luogo ci misuriamo con il creato. Perché la poesia è vita è nel nostro modo di vivere, nel nostro comportamento, nella nostra stessa esistenza, quando implode nell’abbandono di noi stessi, o esplode nell’assoluto della nostra volontà in ‘attimi’ di felicità …
È questo il caso di Antonia Pozzi, poetessa, fotografa, cineasta, che ha raccolto in un libro i suoi “Versi d’Autunno” (Carteggi letterari Le Edizioni 2017), in cui ci svela “Tramonti muti e foglie che volteggiano nella brezza autunnale” … della vita:
“La vita” (18 agosto 1935)
Alle soglie d’autunno in un tramonto muto scopri l’onda del tempo e la tua resa segreta come di ramo in ramo leggero un cadere d’uccelli cui le ali non reggono più. “Ottobre” (Pasturo, 30 settembre 1935)
È crollo di morta stagione quest’acqua notturna sui ciotoli. Languono fuochi di carbonai sulla montagna e gela nella fontana un fioco lume. L’alba vedrà l’ultima mandria divallare coi cani, coi cavalli, in poca polvere dietro un dosso scomporsi.
“Sole d’Ottobre” (20 ottobre 1933)
Felci grandi e garofani selvaggi sotto i castani – mentre il vento scioglie l’un dopo l’altro i nodi rossi e biondi alla veste di foglie del sole – e il sole in quella brucia della sua bianca bellezza come un fragile corpo nudo .
Sitografia: leedizioni@carteggiletterari.it
Ɣ “Musicofilia”, un libro di Oliver Sacks (Adelphi 2008). “Le piace Brahms?” – fa chiedere François Sagan dalla bella arredatrice quarantenne al giovane amante. Ovviamente non ricordo la risposta – ammetto che è passato un certo tempo – tuttavia, personalmente, avrei risposto: “Forse sì, forse no!”, solo perché penso di essere io a non piacere al signor Brahms. Se invece la domanda mi fosse stata rivolta per Tchaicovski o Dvorak o qualcun altro avrei avuto una risposta decisa, come dire, più determinata: “Semplicemente sì!”. E questo, in qualche modo, fa la differenza, seppure ciò suoni alquanto strano a dirsi da parte di chiunque ami la musica in genere. A spiegarci i perché di questa discordanza di risposte ci ha pensato Oliver Sacks, neurologo e psichiatra, nel suo libro “Musicofilia” di recente ristampa, in cui la musica è trattata come patologia, lì dove essa rappresenta di fatto una disfunzione, o meglio una disorganizzazione nella normalità. Un libro di non facile lettura ma che riserva un’infinità di sorprese, o meglio, di possibilità sorprendenti per quanti fanno della musica una costante esperienza, così come nell’ascoltarla o riascoltarla, fanno un atto di rinnovata scoperta, per cui ogni momento “si mostra come se il passato può esistere senza essere ricordato” – come già vissuto – “e il futuro senza essere previsto” – quindi tutto da vivere e da godere. Questo ci permette di comprendere quanto di ciò che ascoltiamo in musica è propedeutico all’alimentazione del nostro apparato sensoriale che fin dalla pubertà si nutre di “suoni”, o meglio di “emissioni sonore” che elaborate a livello corporeo, sviluppano trasformazioni di diverso tipo, interessando altri organi sensitivi oltre che l’udito, come l’olfatto e la vista.
“L’olfatto, la vista?” – viene da chiedersi. La risposta equivale a un “Sì!” affermativo ed ha anche un nome: “sinestesia”, per cui “non esiste una separazione netta, presente in ciascuno di noi, fra vista, udito, tatto e gusto. (..) Ogni parola o immagine che udiva o vedeva, ogni percezione, dava istantaneamente origine a un’esplosione di equivalenze sin estetiche – le quali erano tenute a mente con precisione, in modo indelebile e implacabile, per il resto della sua vita”. Il che, in ambito strettamente neurologico, può risultare una disfunzione cerebrale, tuttavia ciò non vuol dire che fungiamo da agenti “sinestetici”, o almeno non del tutto e non ancora.
In verità qualche dubbio il neurologo Sacks ce lo crea, e scorrendo le molte pagine del libro qua e là è possibile che ci ritroviamo tutti in bella mostra con qualche patologia in più. Finanche quella di essere fruitori tormentati da sentimenti musicali, che so, essere piuttosto fan dei Beatles che dei Rolling Stones, degli U2 invece che dei Coldplay o viceversa, e di subire una musicofilia pregressa, quando non da allucinazioni musicali, o da epilessia musicogena – che orrore! Non è tutto, il libro, che non è di medicina e neppure di psichiatria, si limita ad esporre quelle che sono le patologie senza la pretesa di dare soluzioni curative.
Molto più tranquillamente permette di addentrarci nelle diverse dimensioni della musicalità, in quello che è il paesaggio sonoro della nostra ragione, e che riguarda il sentimento, la memoria e l’identità, di uno stato emozionale affettivo che da sempre la musica regala a tutti noi, seppure nel diverso modo di sentire e apprezzarla. Che, al di là della seduzione o dell’indifferenza che talvolta ci coglie, alla malinconia che sembra creare intorno a noi, spesso risulta essere la cura che cercavamo. Unico nel suo genere, il libro ha una sua valenza per gli aspetti inusitati e insospettabili che il lettore trova nelle pagine fitte di richiami etnico- musicologici, medicali e scientifici che appartengono a un panorama letterario di scarsa fruizione, in cui nomi illustri, operano nel silenzio della ricerca più ostica delle amnesie e amusie cocleari (l’imperfetta percezione dei suoni), e la musicoterapia applicata (morbo di Parkinson, demenza precoce, sindromi temporali e durature) e non solo.
Bensì anche delle problematiche connesse al linguaggio così come si è sviluppato in tutti i suoi aspetti, che quasi c’è di conforto sapere che: “L’origine della musica umana è molto meno facile da comprendere”. Un libro utile per quanti: musicisti, appassionati di musica, neurologi, educatori, insegnanti di sostegno, linguisti, logopedisti, ricercatori, etnomusicologi che, possono trovare in esso le ragioni di quella conoscenza sconfinata che pure è parte rilevante della nostra crescita culturale. E che straordinariamente ricalca le parole di Darwin – che ne era al tempo stesso sconcertato – quando nel suo “L’origine dell’uomo” scrisse: “Giacché né il piacere legato alla produzione di note musicali, né la capacità (di produrle) sono facoltà che abbiano il benché minimo utile diretto per l’uomo … devono essere collocate fra le più misteriose di cui egli è dotato”. E a voi, piace Brahms?
Oliver Sacks, recentemente scomparso ha insegnato neurologia e psichiatria alla Columbia University Artist. Medico e scrittore, è autore di dieci libri, fra i quali: “L’uomo che scambiò la moglie per un cappello” (Adelphi 1985); “Vedere voci” (Adelphi 1989) un viaggio nel mondo dei sordi; e “Risvegli”, da cui è stato tratto il film che nel 1990 ha ricevuto tre nomination agli Oscar. Sitografia: info@adelphi.it
Ɣ – Alla musica, la ‘grande musica orchestrale’ cosiddetta ‘classica’ che si vuole distinguere da quella ‘popolare’ anche detta ‘arte di cavar suoni’, è dedicato un libro di Raffaele Mendace “Il racconto della musica europea - Da Bach a Debussy” (Sfere 2017), che ho appena ricevuto come notizia poiché previsto in uscita in libreria dal 19 Ottobre. Un saggio di 500 pagg. circa, concepito per l’appassionato non musicista, ma perfettamente adatto anche agli studenti di università e conservatori, il libro propone una narrazione avvincente, sintetica e ricca di dettagli del periodo centrale della musica occidentale, cuore del repertorio concertistico, operistico e discografico. Innovativo per taglio e struttura, il volume offre uno strumento accessibile e scientificamente affidabile che esplora percorsi biografici e creativi, generi, forme e stili, indagando significato, origine e contesto dei fenomeni musicali. È tutto quello che so e che trascrivo per conoscenza.
Sitografia: Sfere - opere@networkeditoriale.it
Ɣ – “Il canto delle sirene” - Argomenti musicali, un libro di Eugenio Trías (Tropea Editore 2009).
“La musica non è soltanto un fenomeno estetico, né si riduce a una delle forme di quel sistema delle ‘belle arti’ che si è costituito a metà del Diciottesdimo secolo. La musica è molto più di un fenomeno estetico; è una forma di gnosi sensoriale, è conoscenza sensibile, emozionale, capace di offrire salvezza.; e per questa ragione è in grado di produrre effetti determinanti sulla nostra natura e sul nostro destino. Autentico viatico per la conoscenza che Eugenio Trias ha ricostruito in quest'opera dedicata ai grandi compositori della musica occidentale, dal Rinascimento fino alle più recenti avanguardie. Un compendio di ben 864 pagine da leggersi individualmente oppure seguendo il ‘filo d'Arianna’ indicato dall'autore: dai gloriosi misteri di Bach, il dualismo del tragico e del comico in Mozart, le grandi narrazioni di Haydn, lo stile eroico di Beethoven, il concetto di opera totale in Wagner; e ancora, lo spirito creatore di Mahler, la nuova teologia musicale di Schònberg, la notte eterna di Béla Bartók, i sacrifici di Stravinskij, il panteismo sonoro di Cage o l'architettura musicale di Xenakis, sono soltanto alcuni degli ‘argomenti musicali’ che si distendono in quest'opera e animano un mosaico che, attraverso una lettura profonda e originale, sa restituire di ogni compositore i tratti distintivi e individuarne le reciproche relazioni di somiglianza e differenza.
Ne nasce una partitura filosofica avvolgente all'interno della quale possiamo riconoscere sotto nuova luce le figure dei grandi compositori occidentali degli ultimi quattrocento anni. Ma in questo percorso è lo stesso Trias che riconosce il debito verso una tradizione che comprende la filosofia hegeliana e quella platonica, e in particolare verso la lettura che di Platone ha elaborato la scuola di "Tubinga-Milano" (di cui massimo esponente è Giovanni Reale). La proposta dell’autore coincide allora con una meta-narrazione che, a partire dai momenti più alti della storia della musica, ritrova nei miti greci, nella tradizione pitagorica e del Platone delle dottrine ‘non scritte’ il nucleo generativo comune al pensiero filosofico e musicale … per cui ‘in principio era il suono’.
Eugenio Trias è attualmente professore di filosofia alla Facultad de Humanidades della Univesitat Pompeu Fabra di Barcellona ed è considerato il più grande filosofo spagnolo vivente. Come testimoniano le sue numerose pubblicazioni, ha dedicato il suo lavoro all’approfondimento filosofico spaziando in diversi ambiti. Nel 1995 è stato insignito del riconoscimento internazionale Friedrich Nietzsche per gli studi filosofici. In “Il canto delle sirene” egli ci regala un’appassionata e vibrante ricerca filosofica che si immerge nella musica come fenomeno originario per riconoscere, attraverso la sua storia e le vette toccate dai grandi compositori, la sua pulsazione più autentica”.
Sitografia: info@marcotropeaeditore.it
Ɣ – “Quaderni di un mammifero”, un libro di Erik Satie (Adelphi 1980). “Mi chiamo Erik Satie / come chiunque” … “Sono un uomo del tipo / di Adamo (del paradiso)” … “A chiunque. Vieto di leggere, ad alta voce, il testo durante l’esecuzione della musica. ogni inosservanza di quest’ammonimento determinerebbe la mia giusta indignazione verso l’impudente. Non sarà accordato alcun lasciapassare” …
“Agli altri” Non dimenticate che le epoche hanno, sull’artista (e sui poeti), una grande influenza; esse lo dominano e gli impongono la loro atmosfera. Egli non vi si può sottrarre” … “Erik Satie, nato a Honfleur (Calvados) il 17 Maggio 1866, passa per il più strano musicista del nostro tempo”. Del nostro tempo, davvero c’è scritto così? Sì, proprio così. “Si situa lui stesso tra i ‘fantasisti’ che, secondo lui, sono ‘brave persone del tutto ammodo’. Spesso, dice ai suoi amici : ‘Miope dalla nascita, sentimentalmente presbite. Fuggite l’orgoglio: di tutti i nostri mali, è quello che rende più stitici. Se c’è qualche sventurato, i cui occhi non mi vedono, che gli si annerisca la lingua e che gli scoppino le orecchie”.
“Ecco qual è il linguaggio abituale del signor Erik Satie. Non dimentichiamo che il maestro è considerato, da un gran numero di ‘giovani’, il precursore e l’apostolo della presente rivoluzione musicale. (…) Numerosi musicisti, fra cui Claude Debussy e Maurice Ravel, ma anche altri, lo hanno presentato come tale: ‘colui capace di immaginare l’immaginario’, e questa loro affermazione si basa su fatti di un’esattezza garantita. Dopo aver trattato i generi più alteri, il prezioso compositore presenta qui (in questo libro) delle sue opere umoristiche.”
Ça va sans dire, che le parole usate, come ‘alteri’ sia riferito alla musica cosiddetta ‘classica’ e all’opera ‘lirica’; e ‘prezioso’ compositore, sostituisce un eufemismo che sta per ‘ricercato’ ed ‘eccentrico’; in quanto alle sue opere (brevi, corte, ecc.) definite nel testo ‘humoristique’ va riferito al gusto ‘sofisticato’ delle sue scelte musicali, alle quali spesso ha dato nomi intraducibili, di pura fantasia. Di certo non è mancato alla sua ‘tastiera musicale’ un certo ‘pizzico di follia’ che, proprio per questo, lo rende ‘maestro’ delle avanguardie che sono seguite alla sua epoca. Vanno inoltre ricordati alcuni titoli originali, quali: ‘Air du rat’, ‘Chanson du chat’, ‘Rambouillet’, dove spesso utilizza un frasario alquanto bizzarro sul genere onomatopeico infantile. ‘Veritable préludes flasques’(pour un chien) che il grande pianista Ricardo Viñes interpretò in modo supremo alla Salle Pleyel (1913); ‘Pièces froides’, ‘Ogives’, ‘Gnossienne’, ‘Gymnopédie’, ‘Sports et divertissements’, ‘Descriptions Automatique’ che riscossero un notevole successo al Conservatorio (1913) e che lo stesso Viñes suonò con una finezza segreta, con uno spirito irresistibile.
In proposito, lo stesso Satie, affermava: “Scrissi le ‘Descriptions Automatiques’ in occasione della mia festa. Quest’opera segue a ruota i ‘Véritables Préludes Flasques’. È evidente che i Prosternati, gli Insignificanti e i Bolsi non vi troveranno alcun diletto. Ma che si mangino la barba! Che si ballino sulla pancia!”. Ma non sono i soli, tutta la musica di Satie, eccezion fatta per i suoi amici più appassionati (più della persona in sé che della sua musica), fu bistrattata non so per quanto tempo, e sempre tornata in auge fino ai nostri giorni, sia per la sua ‘forza distraente’ che di solito si avverte all’ascolto; sia per il suo ‘avvicendamento’ a quella creatività di cui tutti siamo, o che potremmo essere, ‘portatori sani’ del virus della modernità.
Riguardo poi a ‘Sports et divertissements’, il maestro scrive nella ‘Prefazione’: “Questa pubblicazione si compone di due elementi artistici: disegno, musica. la parte disegno è composta di segni – di segni d’intelligenza; la parte musicale è espressa da punti – da punti neri. Queste due parti riunite – in un solo volume – formano un tutto: un album. Consiglio di sfogliarlo con un dito amabile e sorridente, giacché questa è un’opera di fantasia. Non vi si veda nient’altro. Per gli ‘Incartapecoriti’ e gli ‘Inebetiti’, ho scritto un corale grave e dignitoso. Questo corale è una sorta di preambolo amaro, una forma di introduzione austera e afrivola. Ci ho messo tutto quel che so sulla Noia. Dedico questo corale a coloro che non mi amano. Mi ritiro. (…) I miei corali eguagliano quelli di Bach, con la sola differenza che sono più rari e meno presuntuosi”.
Ed anche che “La ‘Musique d’ameublement” è in sostanza un prodotto industriale” – scrive – e la definizione potrebbe riguardare non so quanti altri pezzi musicali che in verità non riesco a definire, se non ‘giochi divertenti’, ‘allegre scappatoie’, e che invece il maestro appellava come: “una curiosa facezia, che associa l’originalità alla grazia”, alla quale anche era uso dire: “prima di scrivere un’opera, le giro intorno più volte in compagnia di me stesso”.
Non è forse questo il principio delle così dette ‘variations’ che molti compositori più ‘seriosi’, non necessariamente migliori di Satie, ci hanno lasciato? Così come di ogni assolo del Jazz più autentico? O anche di gran parte della musica americana fino a Gerswin? E non è questa anche la sequela di ‘argomentazioni musicali’ dell’ideologia futurista di Marinetti, Russolo, Cangiullo, Piatti, Grandi; del profilo ‘sintetico’ di certi esempi sonori trascritti in ‘Echantillonage’ per utensili ripresi dai ‘rumoristi’ radiofonici e/o teatrali? Il costante oscillare di Erik Satie tra poesia e musica, tra il vezzo umoristico e l’emozione del mistero e l’esigenza di soffondere una sorta di atmosfera fatta di piccole sonorità ‘mi poétique’, il suo fare ricorso allo spirito infantile nei suoi pezzi più eclatanti è Surrealista o Dada? Ripeto qui le parole esatte spese da Erik Satie a riguardo:
“Chiedo di ascoltarli (e aggiungo riascoltarli) a piccoli sorsi, senza precipitazione. Che la Modestia cali sulle spalle ammuffite dei Rattrappiti e degli Insabbiati! Non si abbelliscano della mia amicizia! È un ornamento che non gli spetta”. Che dire? Ci troviamo davanti al ‘genio’ assoluto della musica contemporanea, o no?
Discografia insolita di Erik satie: - Jean-Pierre Armengaud – ‘Piano’ – LP Le Chant du Monde 1986 - Marjanne Kweksilber (soprano) – Reinbert Di Leeuw (piano) ‘Songs, Lieder, Mélodies’ – LP Philips 1980 - Reinbert Di Leeuw (piano)’Les oeuvres de jeunesse pour piano’ – cofanetto LP Philips 1980 (molto apprezzato dal pubblico ‘pop’ per il quale ha ricevuto il disco di platino. - Erik Satie ‘Danceries’(per orchestra e voce soprano) – CD Denon 1986 - Erik Satie ‘Oeuvres pour piano (pièces humoristiques) – Vol. 1/2 CD Accord 1986 - Paolo Poli (voce) Antonio Ballista (piano) – ‘Soiree Satie’ LP FonitCetra 1982
Sitografia: info@adelphi.it
Vi prego, non vi scomodate più di tanto, nella prossima puntata vi parlerò di “Parade” su musica di Erik Satie, in occasione della grande Mostra aperta a Roma alle Scuderie del Quirinale di un altro ‘genio’ della pittura e non solo che fu Pablo Picasso. Au revoir!
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