Escoriazioni inevitabili.
“Come mi trovi?” chiesi a Luigi. “Non stai male, forse insieme a questa giacca ci stanno bene quei pantaloni li” mi dice, indicandomi un paio di calzoni presi da Zara prima di partire. “Hai ragione, ora li provo”. “Adesso va meglio?” “Si Giusè, perfetto, Budapest è tua stasera!” “Ne sono certo…” rispondo ironicamente. Dalle casse collegate al lettore mp3 di Vincenzo si sente Spectrum di Zedd, bellissima, esaltante, orgasmevole. Siamo tutti intenti a sistemarci i capelli, l’abbigliamento, il profumo, il sorriso, la testa, gli obbiettivi, il vino. Oh maledetto vino comprato a due euro dal supermercato sotto l’appartamento, scalda i nostri freddi cuori, letteralmente: Budapest è un freezer in grande e noi siamo pezzi di carne congelata che non vedono l’ora di essere consumati.
Questa sera ho uno strano prurito, sullo sterno o da quelle parti, inizia ad essere fastidioso. Vado in bagno (chiamatelo bagno, non esiste la privacy visto che defechiamo guardandoci negli occhi) e mi sciacquo li sopra con dell’acqua fresca, i peli si bagnano, un momento di piacere ma il prurito torna in corsa dal binario numero 2. Penso che non sia niente di grave, forse un foruncolo, la puntura di un insetto, una reazione sconosciuta. Luigi nel frattempo gioca con il cavatappi, Vincenzo lo strappa di mano e apre la bottiglia di vino. Credo che sia un’ottima idea. Li raggiungo e prendo un bicchiere. Faccio cenno di versarne un po’ . Vino, amico mio, amico di Baudelaire, allevia questo prurito per me, rendimi un ragazzo felice. Ho ancora i capelli bagnati, ed è un problema perché non abbiamo un fono. Penso “Cristo” ed esco dalla tana per entrare nel congelatore che è Budapest a chiedere il fono a qualche vicino. Toc Toc. Nessuna risposta. Toc Toc. La porta si apre ed una vecchia mi saluta con qualche parola in una lingua a me sconosciuta. “Do you have a phone?” Non capisce, dovevo aspettarmelo. Francesco che m’ha accompagnato inizia a gesticolare, ora sembra stia facendo l’imitazione di un babbuino che soffia a vuoto, ora sembra qualcuno che voglia far paura, ora un polipo sofferente in fin di vita. Dopo minuti di agonia la vecchia intuisce che abbiamo bisogno di un fono. Ce lo da. Asciugati i capelli Giuseppe, prima che il vino ti rapisca i neuroni e li usi come burattini. Ma sicuro che fono si dica phone? Dubbio passeggero.
Usciamo. Non ho mai letto nessuna storia o racconto ambientato a Budapest, è tutto nuovo per me. Maledetto freddo. Sono quasi le undici e le strade sono deserte. Siamo diretti verso un pub rinomato, pub in rovina, si dice che sia addobbato con qualsiasi rottame, rifiuto, cosa inutile si trovi in giro. Mi aspetto di trovare cessi montati al contrario, sedie attaccate al soffitto e il bancone montato sotto sopra. Entrati, penso che c’ ho quasi azzeccato. Il bar è addobbato nel peggior stupendo modo che abbia mai visto. L’unico problema è che la pelle sopra lo sterno continua a prudermi. Questa volta ancora più forte. E’ un fastidio tremendo questo prurito. Mi allontano verso il bagno. Tanfo universalmente accettato di piscio e merda mischiato a vomito fresco di alcol. Questi sono i momenti in cui senti di appartenere ad una razza, quella umana. Acqua fresca per la mia pelle, grazie. Sollievo. Mi asciugo con un po’ di carta igienica. Puzzolente.
Luigi è già ubriaco di birra e Jagermeister e sta incartando con un paio di canadesi. Io sono seduto poco più lontano e lo guardo contento mentre il prurito inizia veramente a farmi incazzare. Mi sta rovinando la serata, prurito maledetto. “Tutto bene Giusè?” mi chiede Francesco. “Si, ho solo un prurito fastidiosissimo qui in mezzo, sullo sterno. E’ insopportabile” “Mi spiace, passa dai” “Lo spero”. Luigi sta cavalcando la canadese, o la canadese sta cavalcando lui, non riesco a capirlo. Io rido, mi sforzo di rimanere concentrato su quella scena stupenda, per dimenticarmi di quella sensazione fastidiosissima. Grattatemi per favore, grattatemi fino a farmi sanguinare!Usciti dal pub siamo tutti abbastanza ubriachi. Chi di vino, chi di birra, chi di Jagermeister. Direzione Morrison’s 2. Altro pub, altro giro. Questa volta si dice ci sia una pista da ballo. Non vi nascondo che ho gli ormoni sparati a mille, come la musica che mi ritrovo a ballare ora, in questo buco di pub. Ma la vicinanza da calore. Siamo tutti qui dentro, nel luogo che odierebbe qualsiasi claustrofobico. A bere altra birra, a cercare una dolce metà. Io sono confuso, una ragazza mi è appena saltata addosso e io l’ho allontanata. E’ un piccolo porco. Sono confuso, l’alcol è maledettamente devastante. Sono in mezzo alla pista, come uno zombie. Che idiota, penso. Il momento peggiore per far tornare il prurito. Più forte di prima. Mi gratto fortissimo. Sento le unghie scalfire la mia pelle. Provo dolore, bruciore. Verso lacrime di sofferenza. Mi avvicino a Luigi e gli dico che torno a casa. “Noi non torniamo ovviamente. Mi dispiace, ma non possiamo perdere questa serata” “Lo so, me la ricordo la strada di casa tranquillo. Quando arrivo ti faccio uno squillo al cellulare” “Non ti preoccupare, mi fido” “Vado”.
Budapest ghiacciata e sfocata. Passeggio lentamente tra i palazzi alti e ben decorati. Alcuni ragazzi mi passano accanto parlando lingue incomprensibili. Mi guardo dietro ogni tanto, ho paura di essere stuprato. Può succedere no? Le strade sono deserte, il freddo è sempre presente. La camicia bianca è sporca di sangue, me ne accorgo quando un paio di ragazzi mi fissano li con disgusto. “Cristo” penso. Accelero l’andatura, ho bisogno di arrivare all’appartamento e sciacquarmi. Il freddo peggiora la situazione. Prurito, prurito e prurito. Le mie unghie sono ormai color pomodoro. Il dolore è attenuato dall’alcol, ho insistito con la vodka. Le distanze sembrano farsi eterne, infinite. Ci sono quasi, penso.
Penso. Penso.
Non c’è bisogno di fumare, mi ricorda ogni tanto Paolo. E’ solo una debolezza umana, quella di ciucciare una sigaretta. Un vizio che si prende per alleviare i momenti di noia. O cercar di trasformare tutte le ansie in fumo. Non serve fumare Giuseppe. Finiscila. Sei debole. Non hai forza di volontà. Si Paolo, hai ragione. Ma la gente ama viziarsi, di qualsiasi cosa, pur di restar legati saldamente a qualcosa. Qualsiasi cosa pur di mantenere un equilibrio, anche momentaneo. Tutto il mondo gira intorno ad una cicca, all’alcol, al sesso, alla carriera, al lavoro, ai figli, alla propria ragazza, moglie, al proprio piano, chitarra, il proprio personaggio preferito, i libri, la musica, la religione. Se penso all’uomo lo immagino in caduta libera verso non so dove per non so quanto tempo. Dagli un ramoscello, anche fragile e illusorio e lui cercherà di aggrapparsi. Si Giuseppe, lo so. Paolo sei mai stato innamorato? Si. Allora sai anche tu cosa vuol dire avere un brutto vizio.
Inizio a intravedere un monumento familiare. Si è proprio quello vicino casa. Sono felice, finalmente al caldo. Vestiti puliti, coperte, letto. Il semaforo dei passanti è rosso. Aspetto, anche se non c’è nessuna auto che transiti. Inizia a mancarmi Turi. La mia piccola stanza disordinata. Ormai sono macchiato di sangue ovunque, che mi prendano per un omicida pazzo furioso? Lontano si vede una bicicletta pedalare verso la mia direzione. Pazzo. Un pazzo che pedale alle due di notte nel grande freezer. Man mano che si avvicina inizio a distinguere alcuni tratti del volto. Curiosità innata la definisco. Il fanciullino che è in me lo chiamerebbe Pascoli. Il piccolo masochista mi piace soprannominarlo. E’ una donna. Sembra bella. Lo è. Stupenda. Si comporta in modo strano. E’ diretta verso di me, ma dietro di me non c’è una strada, solo un alto muro. Cazzo, penso. E’ sempre più vicina, alzo il passo.
Grida qualche parola in ungherese, cinese, arabo non so. E’ a pochi metri. La mia camicia è sempre più rossa del mio sangue. Si ferma. Sono paralizzato, emozionato impaurito eccitato. Mi sorride. “Oh cristo” sussurro. Continua a blaterale in qualche strana lingua. Mi sorride di nuovo ora mostrandomi i suoi enormi canini. Ma dai, no. Non può essere. Continua a sorridermi fissandomi con i suoi occhi color ghiaccio. Non è possibile. Muovo un passo per scappare ma una mano mi afferra il braccio e mi tira a se. I suoi occhi contro i miei. Uno specchio di vita. “Cosa vuoi da me?” Risponde in arabo. Cinese. Aramaico antico. “Lasciami andare ti prego” Cinese o giapponese. Sento il collo trafitto da una puntura. Come di una zanzara gigante. “Ma sei…” Non riesco a dire un’altra parola, il sangue esce a fiotti dalla giugulare. Il suo vizio è succhiare sangue. Ed il mio sbaglio è stato quello di grattarmi fortissimo. Loro lo sentono l’odore. Sono come squali, li pronti ad attaccarti. Mi stende per terra e inizia a leccarmi dalla gola fin giù. Fino allo sterno. Provo una perversa sensazione di piacere. Liberazione credo. Affonda la sua mano destra in mezzo al petto, proprio verso il cuore. Ha toccato il punto caldo. Boom.
“….s……epp!” “G..u…se…pe.! “Giuse..ppe!” “Giuseppe svegliati!” “Che cazz… Che c’è?” E’ mia madre che grida. “Devi andare all’università oggi? Sono le otto già” “Non è suonata la sveglia”
Sono ancora confuso e paralizzato. C’è qualcosa che preme sul mio petto. Sono impaurito, terrorizzato. Abbasso piano gli occhi. E’ Cloe che mi sta facendo le fusa. Proprio li, sulla pelle sopra lo sterno. La sposto da li sopra e controllo che sia tutto apposto: neanche un graffio.
Anzi, sento un leggero prurito. Proprio li, tra una coscia e l’altra. Nella zona inguinale. Credo proprio sulle palle.
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