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Raccolta di testi in prosa di Giuseppe Silletti
[ LaRecherche.it ]

I testi sono riportati a partire dall'ultimo pubblicato e mantengono la formatazione proposta dall'autore.

*

L’era del delirio

Redenzione.

Siedo su di uno sgabello sistemato vicino alle vetrate che s'affacciano sul mare, soffiando il fumo della sigaretta di fuori. Una splendida visione di grattacieli che si slanciano sulle spiagge: da quassù, al tramonto, il semplice atto di osservare diventa un buon motivo per procurarsi un erezione. Mentre il fumo della sigaretta viene spinto dal vento verso l'alto, il sole scende dietro un grattacielo che si vede in lontananza. Le enormi spiagge si colorano d'arancio, come i palazzi costruiti in prossimità del lungo mare. La gente sembra così piccola da quassù, tanti puntini che passeggiano per le strade, nuotano in mare, giocano a palla sulla sabbia o si fumano sigarette da altre finestre. Non è la Spagna che mi immaginavo ascoltando Paco De Lucia. Siamo a Benidorm, nella Spagna del Sud e c'è una stupenda bottiglia di Vodka al caramello che mi aspetta. Proprio dietro di me.

Vorrei tanto carta e penna per appuntare qualche pensiero. Ma sarebbe inutile. Sono settimane che le parole sono timide e non s'affacciano dal mio cervello. La verità è che l'aria è così magica che i ricordi vogliono rimanere puri, isolati dal mondo esterno. Una specie di egoismo artistico: << Non ci avrete mai >> ribadiscono i ricordi. E come dargli torto?

Poco più tardi sono ancora nella stessa stanza, solo un po' più vestito e profumato, con un bicchiere di Vodka in mano. Francesco e Silvana sono i miei compagni di sbronza, Luigi e Tiziano sono nell'appartamento accanto intenti ad approcciare un gruppo di spagnoli in vacanza. Ma adesso non m'importa, siamo solo io e lei. Sarai mia, baby. La prima donna di questa sera, la più facile da conoscere, conquistare, mandare giù e portarsi a letto. Non c'è bisogno di lunghe chiacchierate, ma solo della mia bocca e delle papille gustative della mia lingua. Sarà bello scoparti su questo tavolo, far uscire i tuoi liquidi come se fossi eccitata e leccarli dal tuo collo in giù. Non ti preoccupare, non sarò geloso. Ci ameremo in due, tre o anche quattro. Realizzeremo un manage a troi con Franco e Silvana. Ti stiamo fottendo in tre, oh mia signora.

 

Un'ora dopo eravamo sbronzi e in cammino verso il quartiere inglese. C'è una strada piena di locali e paninari-merda. Due spogliarelliste mezze nude si esibiscono fuori di due disco-pub, cercando di persuadere i ragazzi ad entrarci. Lo fanno con un culo strepitoso. La cosa buona dei locali è che l'entrata è gratuita, ma l'alcol costa troppo. Oggi è il compleanno di Luigi e stranamente lo è anche delle prime tre ragazze che cerchiamo di approcciare. Vagamente capisco che una è inglese, ma dopo aver sentito una frase del tipo: “Kiss of the birthday” e aver visto Luigi penetrare la sua bocca.. Bè, io entiendo. E' sempre bello osservare certi fenomeni.

Entriamo in un pub, ma non c'è ancora nessuno, quindi ci sediamo ai tavolini li fuori. Tiziano approccia un paio di ragazze, oggi sembra un abile cacciatore. Non ci stanno, mission failed. Non ci resta che consolarlo, ci consoliamo sempre a vicenda. Come se avessimo perso una sfida importante.

<<Allora? Che ti hanno detto?>> chiedo. <<Nulla. Quella bionda non si sbilancia più di tanto. Lasciamo perdere!>> <<Perfetto. Cambiamo locale?>> <<Ok, finiamo di bere e andiamo>> Abbiamo tutti in mano una Desperados: birra più Tequila. Una cerveza mas fina.

Nel secondo locale c'è molta più gente. La musica è commerciale, mixata a pezzi di House Progressive. E' un genere musicale che non conoscevo, mi piace molto. Ogni musica ha un suo impatto emotivo, la musica classica mi fa sognare, il blues mi solletica lo spirito e la Progressive... bè la Progressive si infila dallo sfintere più in basso, ti dilata lo stomaco e salendo per l'esofago ti procura un orgasmo vocale. Mussorgsky ci va vicino con Lo gnomo, ma Reload di Ingrosso è tutta un'altra storia. Altra Desperados, altro ballo, altro giro.

 

La mia miopia è aumentata a causa dell'alcol in circolo. C'è meno equilibrio. C'è meno udito. C'è meno tatto. Pronuncio le parole facilmente, con coraggio. Rischio di cadere, traballo.

Non so come. Non capisco come sia possibile. Che adesso mi ritrovi a parlare con tre norvegesi. E' una strana sensazione. Sembra di essere uno spettatore e attore allo stesso tempo. Mi compiaccio della mia impresa e penso a qualche stronzata per continuare il discorso. Non ne capisco il motivo, di tutto ciò. Penso ai più comuni slogan femministi: La donna non è un oggetto!Strumentalizzazione della donna! Emancipazione della donna! E' così scontata la strada che voglio prendere. La donna non è un oggetto! Strumentalizzazione della donna! Emancipazione della donna! Puntare ad avere un contatto fisico. La donna non è un oggetto! Strumentalizzazione della donna! Emancipazione della donna! Potrei sentirmi un maschilista. O una sotto-specie di pervertito. Io so solo che un chiodo ha bisogno di un martello per essere fissato al muro. Altrimenti come appenderemmo i quadri?

Franco dialoga con la norvegese bionda, alta, occhi azzurri. Una bella ragazza. Io con la mora, media statura, occhi castani, non sembra norvegese ma ha un qualcosa di pazzo nei suoi atteggiamenti che mi attira. Carina. C'è la terza, bionda e bassa che interviene occasionalmente sussurrando parole nel mio orecchio o in quello di Franco. Parole sporche, credo. Finché Luigi non la rapisce e propone di andare a bere qualcosa dentro. Geniale.

Ho sempre pensato che sarebbe stato bello nascere nell'era romana, con i loro culti pagani, le orge e gli stati orgiastici. Alcol, musica e... istinto, puro istinto sessuale, naturale, genuino. Così ho scoperto che la Progressive accompagnata da una danza sensuale potrebbe essere un ottimo metodo per un eutanasia indolore.

“Oh hai comprato un lecca lecca..”

E così ubriaca che non risponde.

“Oh hai comprato un lecca lecca alla fragola?”

Niente.

Mi sento un ballerino professionista. Beato alcol.

<<Vado in bagno>> dice.

Ed è proprio in questi momenti, che posso dar ragione a Freud. Il disagio della civiltà. Quello che provo in questo momento. Mentre lei riappare abbracciata alle amiche e mi saluta da lontano ridendo. Hasta Luego, Amalie.

<<Mi dispiace Peppe>> E' la solita consolazione.

 

Fame nevrotica. Compro un kebab vegetariano dal locale turco sulla strada. Kebab vegetariano senza kebab. Geniale. Nel frattempo accanto a me degli italiani si strattonano con un inglese. Non capisco il perché, ma il tutto si conclude con un paio di spinte. Il Kebab non kebab è pronto. Primo morso. Secondo morso. <<Che facciamo adesso ragà?>> <<Andiamo sul lungo mare, c'è gente ancora>> <<Va bene>> Imbocchiamo la strada del ritorno. Ad un tratto una fitta intensa al fianco destro. <<Cristo>> <<Tutto bene Giusè?>> <<No! Ho la nausea>> “Swooooosh” Vomito tutto, pezzi interi di rucola e pomodori freschi. Il caramello si mischia all'odore delle salse nella Pita e incoraggiano altri conati di vomito. <<Cazzo!>> Una pozzanghera di schifo è ai miei piedi. Sorrido ad una ragazza disgustata che sta osservando la scena. Mi spiace baby. “Swooooosh” Sto creando un nuovo lago qui a Benidorm. Lago di Vomito. I succhi gastrici arrivano a completare l'opera. Ho la bocca acida, puzzolente. Tossisco ripetutamente sputando per terra gli ultimi residui di kebabnonkebab che stavo mangiando. Mi incuriosisco vedendo un pezzo a forma di occhio. <<Oh, guardate! Ho vomitato un occhio! Ah Ah>> Luigi si avvicina a guardare con disgusto. Ha un espressione orribile. <<Giusè, è un occhio!>> <<Cosa?>> <<E' un occhio, guarda tu stesso>> <<Si concordo>> dice Franco guardando anche lui. Mi avvicino piano. <<Ma che cazzo?>> Era un occhio, con tanto di ciglia, pupilla, iride. Un occhio color azzurro. <<L'alcol fa brutti scherzi eh? Ahah. Tiziano guarda tu, sei sobrio!>> dico spingendolo verso la pozzanghera. <<Giusè, è un occhio!>> Istintivamente mi tocco i miei, di occhi. Sono li al loro posto. <<Oh cristo!>> Nel frattempo una folla si è creata intorno al neo-lago Vomito. <<That is an eye!>> riesco a sentire dalla bolgia. L'occhio inizia a chiudersi. Come se ci fossero delle palpebre. <<Oddio, oddio, oddio>> Ed ecco una bocca. L'altro occhio. Un naso. Delle sopracciglia. Un mento. Un collo. Un essere disgustoso fatto della stessa sostanza delle mie secrezioni sta nascendo davanti agli occhi increduli di tutti. Oh Benidorm. E' un umanoide. I suoi tratti sono sempre più chiari. Ha una forma ormai. Sembra una donna. Sta cambiando colore. Sta mettendo su peso. Sta cedendo alla forza di gravità. E' nata una donna dal mio schifoso vomito.

 

<<Ciao!>> mi dice la ragazza nata dal mio vomito. Non riesco a dire nulla, sono completamente paralizzato. <<Che c'è? Hai uno sguardo strano>>. Non poteva essere altrimenti. Credo di soffrire di allucinazioni, ma guardando la faccia di chi mi sta intorno capisco che è una visione comune. <<T-t-u... c-c-hi sei?>> balbetto. <<Vodka!>> <<Ti chiami Vodka?>> <<Si, bel nome vero?>> <<Ahah, ti chiami VODKA?>> <<Non è divertente>><<Scusami, Vodka>> Si chiama Vodka, lei. Dovrebbe essere l'incarnazione di ciò che ho buttato giù poche ore fa. Vodka mi prende per mano e mi trascina con se, lontano dalla folla ancora incredula. Sono spaventato, ma anche eccitato. <<E' stato bello>> mi dice. <<Cosa?>> <<Quello che è successo prima tra di noi, all'appartamento>> <<Ah, cioè?>> Vodka abbassa lo sguardo, triste, delusa dalla mia amnesia. Mi indica il fegato con l'indice della mano destra e sento una fitta proprio lì. Cado in ginocchio dal dolore. <<Che cazzo fai?>> Non risponde, ma vedo l'indice della mano sinistra che sta per essere puntato contro di me. <<No no, non farlo baby>> Questa volta lo punta sulla mia fronte. Un dolore atroce mi attraversa la testa. Sembra che stia per scoppiare. <<Vodka finiscila! Ora mi ricordo! Ti ho scopato sul tavolo con Silvana e Francesco>> Vodka sorride. Vodka felice. <<Aaah... Ora mi dici cosa vuoi da me?>> <<Vieni con me>> La seguo.

Arriviamo sul lungo mare, dove la gente è ancora tanta e intenta a passeggiare lentamente. I più giovani si stanno già ritirando alle case e i più ritardatari si affrettano a raggiungere la movida. Vodka ha un passo veloce e nelle mie condizioni stento a tenerlo. Non so dove siamo diretti. Ci fermiamo al KU beach. Entrati dentro Vodka mi prende il braccio e mi strattona fino al bancone. Ci sono un paio di ragazze ed un ragazzo. Questo parla con loro, le abbraccia e le fa ridere. Vodka si avvicina al ragazzo e lo invita a girarsi. <<Oh cazzo, ma quello...>> <<Shhhhhhhhhh, non dire una parola!>> <<Ma è identico a me!>> <<Ho detto stai zitto!>> Davanti a me è apparso un mio sosia. Non sembra far caso alla mia presenza. Mi avvicino in silenzio e cerco di incrociare il suo sguardo. Quando questo accade la sua faccia si fa cupa. Mi guarda impaurito, come se fossi un pericolo. Mentre parla con Vodka i suoi occhi sono rivolti verso di me, senza sosta. E' davvero inquietante. All'improvviso si gira di spalle e si accorge che le due ragazze con cui prima stava chiacchierando sono sparite. Si rigira verso di me e mi lancia uno sguardo assassino. Va via.

 

<<Vodka, ma chi era?>> <<Eri tu, sei forse cieco?>> <<Emh, non dovrei più sorprendermi di nulla ormai. Sto parlando con la vodka che ho bevuto. Ok ti credo. Che problema ha?>> <<Nulla. Vuole ammazzarti!>> <<Perfetto. Cosa?!? Perché mai?>> <<Perché mi hai fatto tornare in vita, lui mi odia>> <<Cosa hai fatto?>> <<Diciamo che.. Sono un brutto ricordo>> Non mi va di insistere con le domande. Ho solo intenzione di trovare Giuseppe, cioè di trovare me.

Usciamo dal locale e iniziamo a cercare ovunque: nei locali vicini, sulla spiaggia, sul lungo mare. Nulla, sparito. Torniamo al quartiere inglese, è l'ultimo posto dove vedere. Eccolo lì, seduto su una sedia a chiacchierare con una ragazza. Sembra una conversazione molto intima. Lui (o io) la accarezza con dolcezza, le starà dicendo parole dolci. Le solite chiacchiere per arrivare ad un contatto fisico. Ora sono così vicini che non sarebbe strano vedere dietro due ragazzi fare il tifo. Mi avvicino piano, indifferente, sperando di non essere visto. Ma il suo sguardo si posa sul mio e il suo viso si inasprisce. Sussurra qualcosa nell'orecchio della ragazza e prendendola per mano la porta dentro. <<Vodka, ti sei scopato pure lui?>> <<Oh no, non è il mio tipo>> <<Come? Cos'ha di diverso da me?>> <<Bé, lui è astemio>> <<Ahah, certo, come no!>>. Li seguo dentro il locale.

Entrati si sente un odore forte, dovrebbe essere l'aria condizionata. C'è bolgia ed io ho una gran voglia di pisciare. Mi dirigo verso il bagno, utilizzo i pisciatoi sul muro mentre un nero mi guarda e cerca di dirmi qualcosa con lo sguardo. Vuole dei soldi. <<Non ho nulla, mi dispiace..>> Dice qualcosa in inglese che non capisco. E' insistente. Lascio perdere e vado via, sentendomi colpire da dietro da un paio di parolacce. Tornato in pista appare lui, cioè io. Ha qualcosa in mano, forse una bottiglia di Desperados. La agita verso di me colpendomi sulla fronte. <<Cristo, che cazzo fai? Vuoi ammazzare te stesso?>> <<Tu non sei me, capisci?>> <<Bé potrei guardami allo specchio e pensare subito il contrario>> <<Ah si? Fallo>> mi dice indicandomi una parete specchiata. Eccomi li dentro, con il sangue che cola dalla fronte. Le labbra screpolate, gli occhi gonfi. Le occhiaie nere e profonde. <<Bé, sono te un po' più brutto>> Mi colpisce un'altra volta, questa volte in testa. <<Guardati ora!>> Mi rigiro verso lo specchio. Ho dei vetri conficcati in testa. La mia faccia è piena di sangue. Inizio a tossire e vomitare. Solo succhi gastrici, ho già dato. <<Vodka, aiuto!>> Vodka è su un divanetto a pomiciare con un tizio. <<Brutta....>> Non termino la frase, sono piegato a metà per il dolore allo stomaco. L'altro me mi ha infilzato con la bottiglia rotta. <<Brutto ba.....>> Mi piego in ginocchio, sfinito. Tossisco e sputo sangue. Guardo Vodka correre verso di me. Le tossisco sangue addosso. <<Vodka, perchè? Cosa centro io?>> Tossisco.

<<Dovresti saperlo>> Tossisco ancora. <<Dovresti saperlo>> Cristo che tosse. Di nuovo nausea. Mi giro su di un lato e cerco di sboccare. Un qualcosa sta salendo nella gola e mi soffoca. Tossisco e tossisco. E' qualcosa di grosso. Coff Coff. E' terribile. Coff coff. Sembra di star a partorire dalla bocca. Coff Coff COFF. Vomito un pezzo marrone. <<Oh Cristo ma quello è....>> <<Si, è il tuo fegato>> <<Oddio>> Coff Coff. L'altro Giuseppe me si avvicina, lo prende e se lo porta alla bocca. Tira un morso e lo ingoia di gusto. Coff Coff. Io sto morendo, questo è sicuro. Coff Coff.

 

Fine.

 

In quegli ultimi istanti Vodka si dissolse e rimase un pozzanghera per terra. L'altro me, quello buono, scomparve. Rimasi li, con la testa in quella pozzanghera puzzolente, mezzo morto o mezzo vivo. Questa è una vostra scelta.

 

 


Id: 1979 Data: 26/08/2013 01:55:02

*

L’anima di un d’io

Bisogno.
E’ il mio momento. Salgo sul palco, traballante, ubriaco di vodka. Ho ancora un cicchetto di Jagermeister in mano e la faccia del cervo impressa nella mente. Una fissa mentale inutile costruita lì dall’alcol e dalla mia voglia di entrare in paranoia a tutti i costi. Ascoltare le urla della folla esigente si sta rivelando piacevole, esilarante, coinvolgente. C’è una piccola scala ed un tizio vestito di nero con un auricolare, mi incita a salire battendo le mani. Scimmia troppo cresciuta con un cervello da formica, inconsapevole che perdere il pelo è stata una pessima scelta. Disturbo della visione pubblica. Pensieri divaganti su di un uomo scimmia mentre lentamente salgo gli scalini della scaletta. La mia testa sbuca come il sole all’alba, pochi millimetri al secondo ed inizio a desiderare il tramonto di quella infame giornata. Un applauso. Clap clap clap.
Il pianoforte è al centro del palco, tutto solo. Il mio vecchio Yamaha su cui ho passato le mie tristi giornate ad associare facce di cazzo ai Do ed ai Re ed a cercare di liberare il mio spirito bollente. Non ci riesco ancora. Ora sono su questo palco, ignaro di essere stato una perdita di tempo per me stesso. Il cacciatore di idee, il fantomatico corridore masochista. Mi siedo. Clap clap clap. La musica scritta sullo spartito è Gymnopedies n°1 di Satie, la mia preferita. Ora che la vodka costituisce una buona percentuale dei liquidi presenti nel mio corpo, l’impressionista che è in me preme la prima nota, un Sol sulla prima riga in chiave di basso, seguito dall’accordo di Si maggiore. Tempo tre-quarti, velocità lenta. Ma manca qualcosa, il brano è piatto e spigoloso. Sembra quasi un valzer in slow-motion e la mia faccia è tesa, come le spalle e le braccia. “Ma è uno scherzo?” sento gridare dal pubblico. No caro amico, non è uno scherzo, manca il pedale di risonanza e sono fottuto. Se cambiassi musica? Se stupissi con un volgare cambio di genere? Un blues improvvisato. Si eccolo, il mio lagnoso blues, il mio piano che piange di disperazione riportando in vita i fantasmi di quei neri schiavizzati nel delta del Mississipi. Ecco il paese dei folli agricoltori rivoltarsi contro me ed il mio piano. La scimmia depilata che prima m’incitava a salire mi solleva di forza e mi sbatte per terra come i pescatori di Polignano sbattono i polpi sugli scogli. Trauma cranico penso, frattura di due costole, ipotizzo. La scimmia diventa piccola e nera ed io sprofondo nel palco come se fosse di spugna.

 

“Daniele!”, “Daniele? Sei sveglio?”, “Daniele cazzo apri gli occhi! Ma quanto hai bevuto?” Una voce lontana, lontanissima. Ora ricordo, Torre Caffè. Quando hai vent’anni ti incitano a non sprecare minuti preziosi, a goderti ogni singolo istante della vita. Perché poi..Il lavoro, la famiglia, i debiti ed il mutuo. Il suicidio. Quindi, rifiutando ogni tipo di consiglio, spreco minuti preziosi a bere ed oziare pensando, pensando, pensando. L’arte più antica del mondo, pensare.
Esiste un momento particolare della giornata, quello in cui devi decidere come occupare il tempo per distrarti dai pensieri di morte o del tuo futuro (che forse sia la stessa cosa?). O pensieri su come evitare di morire soffrendo, chissà scopando ogni giorno e bevendo a dismisura? Un po’ come Bukowski. Però alla fine ti accorgi di essere una piccola mosca che ronza per la stanza in cerca di merda per nutrirsi. Ah, e che caca dappertutto. Ti rendi conto di quanto sia stato fortunato Charles a non morire di quell’ulcera perforante. Se sapessi della mia sorte, se potessi morire senza lasciar triste nessuno, sarei contento di bere senza sensi di colpa. Mi vergogno profondamente di questo.

In questa poco lucida serata di Luglio, mi ritrovo disteso sugli scogli accanto all’alta torre color caffè a contemplare il cielo stellato e la faccia di Davide, la brutta faccia di Davide che mi fissa con un’espressione tragica. “Sono vivo, tranquillo” Cerco di rialzarmi, chiedo aiuto a D. “Siamo tutti preoccupati, sei scomparso per un’ora intera” “Avevo bisogno di stendermi e contemplare il cielo, sai non scrivo un racconto da mesi, cercavo ispirazione” “Il nostro poeta maledetto! Sei pazzo, andiamo via” ; salito in macchina mi stendo sul sedile posteriore, con la testa appoggiata sulle gambe di Roberto. Dolce Roberto. “Scrivo un diario da due mesi Robè”, “Quindi?” mi risponde, “Boh, te l’ho detto perché sono ubriaco” “Ho notato, che ti prende Danié? Sono due settimane che bevi e bevi e bevi!” “Lo sai che scrivo meglio quando sono brillo? Vuoi leggere il mio diario?” “Va bene, domani” “Ho cambiato idea, non voglio che lo leggi più. Stronzetto” “Ah ah, dormi! Se provi a vomitarmi addosso ti piscio in bocca!” “Eh eh eh” Chiusi gli occhi, penso a Woody Allen che riusce a rendere la tragicità della vita una storia comica per tutti. Penso a Bukowski che mi urla contro “Non diventerai mai un bravo scrittore! La tua vita è troppo vuota, monotona, prudente” Dolce prudenza, la chiamava Gaber. Mi ha salvato il culo tante volte, ma arriva un momento in cui decidi di darla in pasto ai cani.
Arrivo a casa, esco dalla macchina e vomito il vino mischiato a pizza, merda che cola dalla mia bocca. La rottura più grande del vomito è che ti finisce dappertutto, e ti trancia il respiro. Sembra di dover morire asfissiato. Prendo le chiavi e invano cerco di centrare il buco della serratura, Davide mi da una mano e mi trascina fino all’ingresso. “Grazie Dà” “Ti porto a letto?” “No no, ce la faccio, vai” “Ok ciao”.

Ti rendi conto di non essere ancora autonomo quando ti svegli la mattina con tua madre che ti fissa con uno sguardo da cagna rabbiosa. “Ho lavato tutto lo schifo che hai lasciato fuori ieri notte. Quanto hai bevuto?” Troppo calma, ora esplode. “Non era il mio vomito, giuro” “Anche quello sui pantaloni e sulle scarpe” “Si Davide mi ha vomitato dappertutto, quel maiale!” “Non ti credo” “La mia parola contro la tua” “Non fai colazione?” “Non ho fame” “Capisco” In fondo sapevo che lei sapeva, ma è sempre meglio negare. “Ieri notte hai lasciato il PC acceso, l’ho spento io” Non ricordavo di averlo acceso. Lo accendo, controllo Facebook, le e-mail, il mio blog ha ricevuto stranamente diversi commenti. Nuovi commenti su Mary in Vena: una storia d’amore finita nel sangue. Non è possibile. Lo apro, lo leggo. Clap clap clap clap. Applausi dal web. Clap Clap Clap Clap. Ma non è opera mia! La storia parla della mia ex. Parla di come la rapisco e la inietto in vena giorno dopo giorno. Mary in una siringa, la mia droga, la mia dose giornaliera. Gran bella idea. Il telefono squilla: “Pronto?” “Sono Mary. Ora mi spieghi come ti sei permesso di sputtanarmi così sul tuo blog” “Mary, non l’ho scritto io giuro” “No? Coincidenza vuole che hai descritto filo per segno quella sera in campagna di mio nonno. Sul terrazzo. Non hai tralasciato un dettaglio, la marca del preservativo, come mi toccavi, il numero di peli che mi hai strappato, le posizioni. Tutto, per filo e per segno” “Mary non so che dirti, ieri sera ero ubriaco. L’avrò scritto per sbaglio… Ora lo cancello, promesso” “Fanculo Daniè, l’ha letto anche mia madre” Tu tu tu. Mi alzo in piedi, vado in bagno e mi guardo allo specchio. Due occhiaie grosse così. Ah ah ah! Una risata lunga e travolgente. Ah ah ah! Alcol magico! “Perché ridi da solo? Sei impazzito?” Rispondo a mia madre con un sorriso e mi chiudo in camera. Steso sul letto ora piango, perché sono certo del mio incerto. Il cd dei Radiohead che gira nel lettore non m’aiuta. Clap clap clap clap.

 

“Sto uscendo” ed esco. La musica negli auricolari trasmette Muddy Waters, sono diretto verso l’ignoto. Il mio piccolo paesino m’accoglie nelle sue strade. Non so perché lo stia facendo, ma credo che starmene a casa non serva a molto quando desidero che accada qualcosa. Ho bisogno di esplodere, ma non c’è urlo che terrebbe. Non c’è cazzotto che basterebbe, né profumo che solleverebbe. Passa un cane, poi un gatto. Arrivo in centro, il parco è deserto. Mi siedo su una panchina a guardare il vento accarezzare le foglie degli alberi. Aspetto Godot, ma non arriva che polvere. Il Domiziano è aperto, entro e mi siedo al bancone. “Preparami un cocktail, a tua scelta” segue un occhiolino. Un Invisibile puro tutto per me. Un sapore orribile. Lo finisco, un’ altro Invisibile per favore. Un terzo. Saluto ed esco, tornando nello spazio cosmico. Mi siedo su una panchina e alzo gli occhi al cielo, bellissimo. Quando ero piccolo ricordo che cercavo la maledetta orsa maggiore senza mai riuscire a vederla. Oggi vedevo un paio di tette e una lucertola senza coda. Che fantasia, c’è anche una nuvola a forma di gatto. Un gatto volante, “Miao” faccio. Sembra proprio un apparizione, come la nuvola a forma di Madonna a Medjugorje. Che idiota. Mi stendo e chiudo gli occhi. Clap clap clap clap.

 

“Le trombe suonavano per il paese, ed il mio cuore sobbalzava di gioia. Ogni porta aperta, ogni bambino con il suo lecca lecca. I tamburi portavano il ritmo del ballo, la gente ballava. I cani sopra i gatti, i gatti sopra i cani. Le trombe dimenavano acuti pieni di piacere. Orgasmi. I miei orgasmi. La gente saltava e saltava. Piroette e cadute. C’è chi si lanciava nella grossa fontana al centro del parco e chi si denudava sopra una panchina a mo di spogliarello. Le chitarre buttavano accordi dai tetti ed i violini lanciavano note come stelle filanti. Quattro gatti grassi oziavano vicino ad un bidone colmo di spazzatura. Ho venduto l’anima al diavolo per avere tutto ciò, eccomi. Colmo di tutto il possibile danzo per le strade, un tango un valzer. Un grosso carro arrivava da in fondo al corso, era una bottiglia di Vodka impiccata. Sotto di essa c’era Mary a mantenerla. Come se volesse non farla morire. Mary in vena. Sempre li, nel sangue bollente che protegge i suoi simili.

Quando la sensibile non risolve sulla tonica, è proprio allora che abbiamo modulato da realtà a sogno. O da sogno a realtà. La sensibile è scesa.”

 

“Ragazzo sveglia, che ci fai qui?” Un carabiniere mi agita la spalla. “Emh, sono svenuto” “Chiamo un ambulanza?” “Non ce n’è bisogno, la ringrazio per avermi svegliato. Buonasera” “Salve, e stia attento”. Penso a Bukowski, che ogni volta che si svegliava all’aperto si chiedeva se controllare o no la presenza del portafoglio nelle tasche. Lo faccio, non c’è. Maledetto Invisibile. Torno indietro, sotto la panchina non c’è. Il carabiniere è ormai lontano. Bestemmio profondamente.

La strada del ritorno è eterna. Trovare una buona scusa per essersi ritirato alle due di notte, tutto solo. Senza portafoglio. Senza un’identità.

 

 

 


Id: 1978 Data: 26/08/2013 01:51:01

*

Pruriti sterno-inguinali

Escoriazioni inevitabili.
“Come mi trovi?” chiesi a Luigi. “Non stai male, forse insieme a questa giacca ci stanno bene quei pantaloni li” mi dice, indicandomi un paio di calzoni presi da Zara prima di partire. “Hai ragione, ora li provo”. “Adesso va meglio?” “Si Giusè, perfetto, Budapest è tua stasera!” “Ne sono certo…” rispondo ironicamente. Dalle casse collegate al lettore mp3 di Vincenzo si sente Spectrum di Zedd, bellissima, esaltante, orgasmevole. Siamo tutti intenti a sistemarci i capelli, l’abbigliamento, il profumo, il sorriso, la testa, gli obbiettivi, il vino. Oh maledetto vino comprato a due euro dal supermercato sotto l’appartamento, scalda i nostri freddi cuori, letteralmente: Budapest è un freezer in grande e noi siamo pezzi di carne congelata che non vedono l’ora di essere consumati.
Questa sera ho uno strano prurito, sullo sterno o da quelle parti, inizia ad essere fastidioso. Vado in bagno (chiamatelo bagno, non esiste la privacy visto che defechiamo guardandoci negli occhi) e mi sciacquo li sopra con dell’acqua fresca, i peli si bagnano, un momento di piacere ma il prurito torna in corsa dal binario numero 2. Penso che non sia niente di grave, forse un foruncolo, la puntura di un insetto, una reazione sconosciuta. Luigi nel frattempo gioca con il cavatappi, Vincenzo lo strappa di mano e apre la bottiglia di vino. Credo che sia un’ottima idea. Li raggiungo e prendo un bicchiere. Faccio cenno di versarne un po’ . Vino, amico mio, amico di Baudelaire, allevia questo prurito per me, rendimi un ragazzo felice. Ho ancora i capelli bagnati, ed è un problema perché non abbiamo un fono. Penso “Cristo” ed esco dalla tana per entrare nel congelatore che è Budapest a chiedere il fono a qualche vicino. Toc Toc. Nessuna risposta. Toc Toc. La porta si apre ed una vecchia mi saluta con qualche parola in una lingua a me sconosciuta. “Do you have a phone?” Non capisce, dovevo aspettarmelo. Francesco che m’ha accompagnato inizia a gesticolare, ora sembra stia facendo l’imitazione di un babbuino che soffia a vuoto, ora sembra qualcuno che voglia far paura, ora un polipo sofferente in fin di vita. Dopo minuti di agonia la vecchia intuisce che abbiamo bisogno di un fono. Ce lo da. Asciugati i capelli Giuseppe, prima che il vino ti rapisca i neuroni e li usi come burattini. Ma sicuro che fono si dica phone? Dubbio passeggero.

 


Usciamo. Non ho mai letto nessuna storia o racconto ambientato a Budapest, è tutto nuovo per me. Maledetto freddo. Sono quasi le undici e le strade sono deserte. Siamo diretti verso un pub rinomato, pub in rovina, si dice che sia addobbato con qualsiasi rottame, rifiuto, cosa inutile si trovi in giro. Mi aspetto di trovare cessi montati al contrario, sedie attaccate al soffitto e il bancone montato sotto sopra. Entrati, penso che c’ ho quasi azzeccato. Il bar è addobbato nel peggior stupendo modo che abbia mai visto. L’unico problema è che la pelle sopra lo sterno continua a prudermi. Questa volta ancora più forte. E’ un fastidio tremendo questo prurito. Mi allontano verso il bagno. Tanfo universalmente accettato di piscio e merda mischiato a vomito fresco di alcol. Questi sono i momenti in cui senti di appartenere ad una razza, quella umana. Acqua fresca per la mia pelle, grazie. Sollievo. Mi asciugo con un po’ di carta igienica. Puzzolente.

 

Luigi è già ubriaco di birra e Jagermeister e sta incartando con un paio di canadesi. Io sono seduto poco più lontano e lo guardo contento mentre il prurito inizia veramente a farmi incazzare. Mi sta rovinando la serata, prurito maledetto. “Tutto bene Giusè?” mi chiede Francesco. “Si, ho solo un prurito fastidiosissimo qui in mezzo, sullo sterno. E’ insopportabile” “Mi spiace, passa dai” “Lo spero”. Luigi sta cavalcando la canadese, o la canadese sta cavalcando lui, non riesco a capirlo. Io rido, mi sforzo di rimanere concentrato su quella scena stupenda, per dimenticarmi di quella sensazione fastidiosissima. Grattatemi per favore, grattatemi fino a farmi sanguinare!Usciti dal pub siamo tutti abbastanza ubriachi. Chi di vino, chi di birra, chi di Jagermeister. Direzione Morrison’s 2. Altro pub, altro giro. Questa volta si dice ci sia una pista da ballo. Non vi nascondo che ho gli ormoni sparati a mille, come la musica che mi ritrovo a ballare ora, in questo buco di pub. Ma la vicinanza da calore. Siamo tutti qui dentro, nel luogo che odierebbe qualsiasi claustrofobico. A bere altra birra, a cercare una dolce metà. Io sono confuso, una ragazza mi è appena saltata addosso e io l’ho allontanata. E’ un piccolo porco. Sono confuso, l’alcol è maledettamente devastante. Sono in mezzo alla pista, come uno zombie. Che idiota, penso. Il momento peggiore per far tornare il prurito. Più forte di prima. Mi gratto fortissimo. Sento le unghie scalfire la mia pelle. Provo dolore, bruciore. Verso lacrime di sofferenza. Mi avvicino a Luigi e gli dico che torno a casa. “Noi non torniamo ovviamente. Mi dispiace, ma non possiamo perdere questa serata” “Lo so, me la ricordo la strada di casa tranquillo. Quando arrivo ti faccio uno squillo al cellulare” “Non ti preoccupare, mi fido” “Vado”.

 


Budapest ghiacciata e sfocata. Passeggio lentamente tra i palazzi alti e ben decorati. Alcuni ragazzi mi passano accanto parlando lingue incomprensibili. Mi guardo dietro ogni tanto, ho paura di essere stuprato. Può succedere no? Le strade sono deserte, il freddo è sempre presente. La camicia bianca è sporca di sangue, me ne accorgo quando un paio di ragazzi mi fissano li con disgusto. “Cristo” penso. Accelero l’andatura, ho bisogno di arrivare all’appartamento e sciacquarmi. Il freddo peggiora la situazione. Prurito, prurito e prurito. Le mie unghie sono ormai color pomodoro. Il dolore è attenuato dall’alcol, ho insistito con la vodka. Le distanze sembrano farsi eterne, infinite. Ci sono quasi, penso.
Penso. Penso.

 

Non c’è bisogno di fumare, mi ricorda ogni tanto Paolo. E’ solo una debolezza umana, quella di ciucciare una sigaretta. Un vizio che si prende per alleviare i momenti di noia. O cercar di trasformare tutte le ansie in fumo. Non serve fumare Giuseppe. Finiscila. Sei debole. Non hai forza di volontà. Si Paolo, hai ragione. Ma la gente ama viziarsi, di qualsiasi cosa, pur di restar legati saldamente a qualcosa. Qualsiasi cosa pur di mantenere un equilibrio, anche momentaneo. Tutto il mondo gira intorno ad una cicca, all’alcol, al sesso, alla carriera, al lavoro, ai figli, alla propria ragazza, moglie, al proprio piano, chitarra, il proprio personaggio preferito, i libri, la musica, la religione. Se penso all’uomo lo immagino in caduta libera verso non so dove per non so quanto tempo. Dagli un ramoscello, anche fragile e illusorio e lui cercherà di aggrapparsi. Si Giuseppe, lo so. Paolo sei mai stato innamorato? Si. Allora sai anche tu cosa vuol dire avere un brutto vizio.

 

 

 

Inizio a intravedere un monumento familiare. Si è proprio quello vicino casa. Sono felice, finalmente al caldo. Vestiti puliti, coperte, letto. Il semaforo dei passanti è rosso. Aspetto, anche se non c’è nessuna auto che transiti. Inizia a mancarmi Turi. La mia piccola stanza disordinata. Ormai sono macchiato di sangue ovunque, che mi prendano per un omicida pazzo furioso? Lontano si vede una bicicletta pedalare verso la mia direzione. Pazzo. Un pazzo che pedale alle due di notte nel grande freezer. Man mano che si avvicina inizio a distinguere alcuni tratti del volto. Curiosità innata la definisco. Il fanciullino che è in me lo chiamerebbe Pascoli. Il piccolo masochista mi piace soprannominarlo. E’ una donna. Sembra bella. Lo è. Stupenda. Si comporta in modo strano. E’ diretta verso di me, ma dietro di me non c’è una strada, solo un alto muro. Cazzo, penso. E’ sempre più vicina, alzo il passo.
Grida qualche parola in ungherese, cinese, arabo non so. E’ a pochi metri. La mia camicia è sempre più rossa del mio sangue. Si ferma. Sono paralizzato, emozionato impaurito eccitato. Mi sorride. “Oh cristo” sussurro. Continua a blaterale in qualche strana lingua. Mi sorride di nuovo ora mostrandomi i suoi enormi canini. Ma dai, no. Non può essere. Continua a sorridermi fissandomi con i suoi occhi color ghiaccio. Non è possibile. Muovo un passo per scappare ma una mano mi afferra il braccio e mi tira a se. I suoi occhi contro i miei. Uno specchio di vita. “Cosa vuoi da me?” Risponde in arabo. Cinese. Aramaico antico. “Lasciami andare ti prego” Cinese o giapponese. Sento il collo trafitto da una puntura. Come di una zanzara gigante. “Ma sei…” Non riesco a dire un’altra parola, il sangue esce a fiotti dalla giugulare. Il suo vizio è succhiare sangue. Ed il mio sbaglio è stato quello di grattarmi fortissimo. Loro lo sentono l’odore. Sono come squali, li pronti ad attaccarti. Mi stende per terra e inizia a leccarmi dalla gola fin giù. Fino allo sterno. Provo una perversa sensazione di piacere. Liberazione credo. Affonda la sua mano destra in mezzo al petto, proprio verso il cuore. Ha toccato il punto caldo. Boom.
“….s……epp!” “G..u…se…pe.! “Giuse..ppe!” “Giuseppe svegliati!” “Che cazz… Che c’è?” E’ mia madre che grida. “Devi andare all’università oggi? Sono le otto già” “Non è suonata la sveglia”
Sono ancora confuso e paralizzato. C’è qualcosa che preme sul mio petto. Sono impaurito, terrorizzato. Abbasso piano gli occhi. E’ Cloe che mi sta facendo le fusa. Proprio li, sulla pelle sopra lo sterno. La sposto da li sopra e controllo che sia tutto apposto: neanche un graffio.
Anzi, sento un leggero prurito. Proprio li, tra una coscia e l’altra. Nella zona inguinale. Credo proprio sulle palle.

 


Id: 1975 Data: 24/08/2013 18:06:39