Pubblicato il 01/11/2012 19:54:17
I Era impossibile da immaginare, impossibile da non immaginare; la sua azzurrezza, l'ombra che lasciava, che cadeva, riempiva l'oscurità del proprio freddo, il suo freddo che cadeva fuori da se stesso, fuori da qualsiasi idea di se' descrivesse nel cadere; un qualcosa, una minuzia, una macchia, un punto, un punto in un punto, un abisso infinito di minuzia; una canzone, ma meno di una canzone, qualcosa che affoga in se', qualcosa che va, un'alluvione di suono, ma meno di un suono; la sua fine, il suo vuoto, il suo tenero, piccolo vuoto che colma la sua eco, e cade, e si alza, inavvertito, e cade ancora, e cosi' sempre, e sempre perche', e solo perche', essendo stato, era...
II Era l'inizio di una sedia; era il divano grigio; era i muri, il giardino, la strada di ghiaia; era il modo in cui i ruderi di luna le crollavano sulla chioma. Era quello, ed era altro ancora; era il vento che azzannava gli alberi; era la congerie confusa di nubi, la bava di stelle sulla riva. Era l'ora che pareva dire che se sapevi in che punto esatto del tempo si era, non avresti mai piu' chiesto nulla. Era quello. Senz'altro era quello. Era anche l'evento mai avvenuto - un momento tanto pieno che quando se ne ando', come doveva, nessun dolore riusciva a contenerlo. Era la stanza che pareva la stessa dopo tanti anni. Era quello. Era il cappello dimenticato da lei, la penna che lei lascio' sul tavolo. Era il sole sulla mia mano. Era il caldo del sole. Era come sedevo, come attendevo per ore, per giorni. Era quello. Solo quello.
(da Mark Strand: "Blizzard of One" - 1998, traduzione di D. Abeni)
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