Se la realtà mi nega la sua calda confidenza
dandomi del ‘Lei’ altera e nemmeno il ‘tu’
di chi non mi vede mi fa trasalire, dove troverò
la forza per tendere
un brandello di coscienza al cielo?
Una volta trascinavo la carcassa del mio sepolcro
come un trofeo di guerra e ingannavo candidi fogli
con su scritti i motti della mia risentita beatitudine.
E se tutto questo aveva un prezzo lo pagavo in contanti
senza sapere da dove venissero quei denari luccicanti.
Ora una voce che mormora da un abisso inaridito
e rimbalza sui fianchi di taglienti scogliere
mi dice che fuori corso ormai è la mia vita:
ha preso l’ambio il puledro per una deriva inaspettata,
per una rotta segnata da un dio che non mantiene.
‘Sistema le tue cose’ – ripete , con la monotonia
dell’esercizio di uno studente di violino – nel quaderno
è scritto un distico che ha poco di sublime, e ricorda.
Ricorda il suono misterioso delle maschere cadute
dai visi amati ogni serata amica; la stagione che
tra litanie di infiniti bardi mesta vanità attingeva
succingendo la sua purpurea veste pudica;
il commiato crudele di corpi divenuti ombre
che sciolsero le sillabe di un testo reso indecifrabile.
L’essere testimone di tutto questo non ti ha fatto eletto.
Oh, non avrai tu il salterio che riscatta il tempo!
Betsabea è fuggita col suo sposo quando ha letto
la brama nell’ardore dei tuoi occhi e tu sei rimasto solo
tra le colonne inattingibili del tempio
e alle tue spalle sgorga eterno il tuono
dagli inferi dell’arca.
Ma esso pure, lo sai, ha in sorte
una promessa di rovina e fuoco vasto.
Tra due polveri ti è dato scegliere soltanto:
sabbia di deserto o cenere d’olocausto.
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