Pubblicato il 05/05/2017 22:44:15
Napoli. Sabato 13 maggio 2017, ore 11.00 si chiude, nel Museo nazionale della ceramica Duca di Martina, la serie di appuntamenti con le Conversazioni in Floridiana, tra arte, letteratura, teatro e musica, partita il 15 di ottobre 2016. Gli incontri, a cura di Luisa Ambrosio (progetto di Mariateresa Sarpi), sono stati dedicati a “Gli inesauribili travestimenti del mito: dei, eroi, racconti meravigliosi” e si sono svolti un sabato al mese. Questo di sabato 13 ha per oggetto d’interesse “Miti di ieri e miti di oggi” e vedrà l’intervento del Prof. Marino Niola, antropologo, UNISOB. Anche in questa occasione la conversazione con il docente universitario, sarà seguita dalla visite alle opere, realizzando così un modo compiuto per apprendere il museo e le sue collezioni, utilizzando riferimenti al contesto storico-culturale nel campo letterario, musicale, teatrale, oltre che della storia dell’arte e delle tecniche di produzione delle opere stesse. Si ricorda anche che la partecipazione agli incontri è con il biglietto di ingresso ridotto (2 euro) ed inoltre che il C.I.D.I., ente accreditato per la formazione presso il MIUR, rilascia ai docenti e agli studenti, che ne facciano richiesta, attestato di partecipazione valido ai fini dell'aggiornamento e del riconoscimento di crediti formativi. Ma veniamo alla necessità “emozionale e culturale” di conoscere e frequentare il Museo Nazionale della Ceramica Duca di Martina, dedicato alle arti decorative il quale, com’è cosa nota, viene ospitato all’interno della Villa Floridiana, al Vomero. E’ sede dal 1931, di una delle maggiori collezioni italiane di arti decorative e ne fanno parte oltre seimila opere di manifattura occidentale ed orientale, databili dal XII al XIX secolo. Personalmente alcuni giorni fa mi sono incantata ad osservare, sempre troppo affrettatamente vista l’ampiezza dell’offerta, le ceramiche e le stupende porcellane smaltate e non, facenti parte della raccolta, che dà il nome al Museo. Questa è stata costituita, nella seconda metà dell’Ottocento, da Placido de Sangro, duca di Martina e poi donata nel 1911 alla città di Napoli dai suoi eredi. Penso debba ritenersi una “necessità morale”, la conoscenza e la frequentazione dei nostri Musei, in generale e di questo, in particolare, specialmente dalla fascia giovane della società napoletana, anche in quanto questa attività eviterebbe, come è accaduto per il passato, che la Villa Floridiana corra il rischio di “chiudere i battenti” come nella primavera del 21 marzo 2011, laddove venne chiusa a causa della caduta di alcuni alberi, ma poi lo restò in quanto, come spiegò l’assessore all’Ambiente del Comune di Napoli Gennaro Nasti: - “(…) dopo i recenti tagli del ministero dei Beni culturali, non ci sono più soldi per la manutenzione del parco. La Floridiana è infatti di competenza della Soprintendenza, così come il parco di Capodimonte a Napoli.”- Fatto sta che soltanto Sabato 21 maggio 2016, i napoletani poterono riavere , dopo anni di restauri e di lavori, il primo piano del Museo Duca di Martina e il belvedere della Villa Floridiana. Venne riaperto anche il particolarissimo tempietto dorico, che fungeva da luogo di riposo della duchessa di Floridia e l’area interna del Teatrino della Verzura. Nei mesi seguenti furono effettuati interventi per la messa in sicurezza degli alberi e la pulizia del sottobosco, rifatti i “Corpi di Guardia” degli ingressi di via Cimarosa e via Falcone, restaurate le serre, lo scalone monumentale del parco che dalla Villa porta al Belvedere, le due fontane monumentali e rifatti alcuni viali del parco. Vene fatto di chiedersi chi fosse la dolcissima donna, dagli ardenti occhi neri, che aveva incantato il cuore di un vecchio re. Fatto sta che le fece dono, nel 1823, del parco sulla collina del Vomero (al tempo zona quasi del tutto agricola, su cui risaltavano Castel Sant’Elmo, la Certosa di San Martino ed alcune ville nobiliari tra le quali Villa Carafa di Belvedere), ossia della tenuta del principe Giuseppe Caracciolo di Torella, dove si ergeva una imponente villa che, in onore della moglie, il Re chiamò Floridiana. La duchessa di Floridia (Lucia Migliaccio di Partanna), fu da lui conosciuta in Sicilia, tra il 1799 e il 1801, ma qualche anno più tardi, nel suo secondo esilio durato nove anni,ebbe modo di apprezzarla ulteriormente, trovandosi lontano da Napoli a causa dell’invasione francese del Regno di Napoli. All’epoca lei era moglie del nobile siciliano, Benedetto Grifeo, elevato a nobiluomo di corte di sua maestà. La regina Maria Carolina d’Asburgo Lorena non era certo stata e non era all’epoca, donna da conforto ed amorevoli cure, per cui non fu affatto strano che il di lei consorte si legasse di un amore tenace e consolidato nel tempo, a quella donna ammirata da Wolfang Goethe, che l’aveva conosciuta diciassettenne, principessa a Palermo nel 1787, dedicandole dei versi. Morta, dovremmo dire, finalmente, la legittima consorte, a Vienna l’8 settembre del 1814, Ferdinando IV, non rispettando i mesi di lutto stabiliti, il 27 novembre del 1814, sposò Lucia Migliaccio, duchessa di Floridia, anch’essa vedova dal 1812. Si racconta che il figlio Francesco, il futuro successore al trono del Re Ferdinando, gli ricordasse appunto il fatto che la regina fosse morta da troppo poco tempo e Ferdinando gli rispondesse: -“Guaglio’ lassa sta’a mammeta!” Alludendo alla cattiva e non certo irreprensibile compagnia che gli aveva fatto Maria Carolina, come moglie. Naturalmente si trattò di un matrimonio morganatico: Lucia diventava vera moglie di Ferdinando I di Borbone, ma senza titolo di Regina, in quanto, diversamente, gli eventuali figli della coppia avrebbero avuto il diritto di successione al trono. Fatto sta che in questa villa il sovrano e sua moglie trascorsero in tranquillità gli ultimi anni della loro vita. Di Donna Lucia, cui il re di Napoli Ferdinando IV (III di Sicilia e I delle Due Sicilie), per anni, scrivendole apriva con un: -“cara e buona Lucia mia”-, e chiudeva con un: -“E sono il tuo affezionatissimo compagno che ti ama teneramente Ferdinando B.”- occorre ricordare anche che si trattava di una donna ricca di charme, ma anche di animo mite e gentile. Dal suo ritratto si evince che fosse bruna, molto seducente e dall’eterno aspetto giovanile e che l’abate, Giovanni Meli, nell’ode Sugli occhi di Nice: - “Ucchiuzzi niuri/ Si taliati/ Faciti cadiri/ Casi e citati./ Jeu muru debuli/ Di petra e taju/ Cunsidiratilu/ S’allura caju.”- si riferisse appunto agli occhi di Lucia. Sembra giusto dunque sentirci un pochino suoi ospiti, ammirandone il ritratto posto all’ingresso el Museo, e percepire lo sfarzo che l’accompagnava, anche riflettendo sul fatto che i poteri assolutistici accumulavano ricchezze di cui i cittadini, nello stato parlamentare e costituzionale, possono felicemente usufruire, ma per cui devono provare rispetto e amore. Bianca Fasano.
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