Quel voltagabbana del tempo
ha lasciato una manata sul tuo volto
distratta com'eri da tutti quei discorsi
che prendevano il largo
dal duplice porto dei tuoi occhi
non te ne sei accorta che domani
guardandoti allo specchio
quella volta che era troppo tardi
per continuare a tradirsi
a farsi avanti a gonfiare il petto
e sperare che fossero dispari i petali
di quel fiore che hai reciso
non è bastato
a conservarti bella
solo la terra del prato lo piange ancora come un figlio
con lacrime di coccodrillo e nessuna ghirlanda
quante foglie hai visto cadere quest'anno?
Tante da farne almeno un giaciglio
su cui consumare due corpi acerbi di cera
tesi nello spasmo ingenuo
di un confidenziale reciproco "ti voglio"
nuvole di desiderio a lume di candela
sottratte al fango appena in tempo
dal sottile velo della pelle
con le vene tutte in superficie
a metter radici nella carne
prima che vengano i vermi a mangiarne
e farne bottino.
Dove andremo a finire
quando anche queste bocche sanguinarie
non avranno più di cosa dire?
Dal pozzo della memoria io non attingo
che per bere di piccoli sorsi
il resto è sete e oblio, al limite del ridicolo
sete d'oblio.
La vanagloria dei ricordi t'assottiglia le caviglie Caramia
rendendo giustizia alla straordinaria fattura delle ossa
e ti schizzano gli zigomi come ai tossici
le tue giunture nodose
verranno al pettine delle mie dita
come corteccia
c'è ancora chi la taglia
per lasciare piccoli cuori nel bosco
ad arrugginire disadorni
di tutte quelle carezze
che non abbiamo meritato di farci.
Certo, quando il ruggire nervoso
della falena sonnambula
ci colse di sorpresa sulla soglia di casa
col suo sbatter d'ali e d'ancore
demmo la colpa alla luce dimenticata accesa
alla finestra aperta
e all'innata voglia di schiantare
dell'insetto senza sonno
ma la colpa è sempre nostra
se facciamo quello che facciamo
e qualcuno si fa male
volava più non vola, la sua condanna
e la nostra?
Ammettere che il cuore ti bruci in seno
quando ti guardo negli occhi
e te li spoglio coi miei occhi nudi
risulta anacronistico e fuori tema
di questi tempi
si finge di fingere e comunque non si è veri.
Filosofo dentro e puttana fuori
sarebbe una combinazione micidiale
con cui affrontare la stagione decisiva
per capire chi governa il mondo e come
tu ci vai vicina, devi aggiustare le proporzioni.
Di tutt'erba un fascio e del fascio un rogo
per scaldarmi le mani
io la Luna e i falò
impegnati in un discorso senza fondo.
Conquistare un posto di non freddo, di non morte
per dare la possibiltà al pensiero
di farsi sangue e vento
magari tra le tue cosce testarde
leccarle come ferite a lingua avvelenata
per contagiarsi e sopravvivere malati
alla ferocia di questi giorni
che hanno deposto il loro senso
come veste sulla riva
più bugiardi della notte.
Nuotavi dove non si tocca
dando la tua forma all'acqua
lasciando che passassero dalla bocca
solo quelle parole che potevano servire
ad accorciare le distanze
< vieni a Me> cantava la sirena
ed io ero sordo paralizzato e basta
la mia anima ancora ne trema
continuando a cercare i suoi cocci
tra le sabbie di quella spiaggia
una clessidra rotta
vado e vengo dai miei stati d'assenza come l'onda
senza sosta
quanto ho pregato quando ti ho vista
scrollarti di dosso quell'estate
come se niente ti avesse scalfita a parte il sole
che un dio qualunque ti comprasse per me
ma non si muove foglia che dio non voglia
e lui non vuole
a quanto pare non è questa la stagione che mi consola.
Tornano le rondini per un ultimo passaggio
le loro ali hanno punte dappertutto
s'affilano con l'aria
ci bucano le nuvole
e si aprono le vene
mentre prendiamo la mira per colmare il bicchiere
col nostro stesso sangue:
cara la Luna sta sera falcia ancora
non c'è pienezza in lei
che non possa deporre le sue forme
nello sguardo del pastore
o nel canto del lupo
solo ali di farfalle nere e corteccia intorno
per dirti che sei bella
ma già l'ombra ti consuma
sembri un vuoto da riempire, un'ansa
e il desiderio di essere fiume
ti avessi presa almeno una volta
ora potrei dire di averti persa e farne la mia croce
invece conto le mosche
volare via di mio pugno.
Ride di me quel voltagabbana del tempo
mentre mi guardo sotto il tuo stesso cielo
riflesso nello stagno del mio inconscio
e non mi riconosco
non grido, non piango, non chiedo perdono
vivo sospeso: chi sono? dove mi trovo?
e tu non mi rispondi dall'altra parte dello specchio
ma vaffanculo
ad alta voce un' altra volta
sto parlando da solo.
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